sabato 23 dicembre 2023

ITALIENAREN – Innovazioni tradizionali

Innovazione: l’atto, l’opera di innovare, cioè di introdurre nuovi sistemi, nuovi ordinamenti, nuovi metodi.
Tradizione: trasmissione nel tempo, di generazione in generazione, di consuetudini, usi e costumi, modelli e norme.
Così si legge sul dizionario Treccani la definizione di queste due parole. Innovazioni tradizionali, quindi, sembrerebbe un ossimoro, ma in realtà non lo è perché anche le tradizioni più profane e non legate alla religione hanno trovato, nel corso degli ultimi anni, il loro posto nel cuore delle persone. Andiamo dunque, in ordine cronologico di apparizione nel mese di dicembre, a fare una lista soggettiva, scherzosa e non assolutamente esaustiva di queste innovazioni tradizionali.
Iniziamo con il fantasmagorico “Whamageddon”. Il nome è abbastanza catastrofico ma è solo un concorso non a premi, se non consideriamo la gloria, al quale si partecipa con amici reali o virtuali che avviene in tutto il mondo, a distanza via internet, in qualsiasi momento dal primo dicembre alla Vigilia. L’obiettivo è riuscire a non ascoltare la canzone “Last Christmas” della band britannica “Wham!” per tutto il periodo natalizio. Quasi impossibile evitarla considerando le innumerevoli visite in questo periodo nei centri commerciali, mercatini di Natale e passeggiate in centro. Una sola volta sono riuscito ad arrivare indenne a Natale perché è veramente un’impresa titanica, degna di un asceta tibetano.
Passiamo poi all’antica arte di liberare il calendario del 13 dicembre da tutti gli impegni all’ultimo minuto per riuscire ad andare al concertino di Santa Lucia dei figli che la scuola ha deciso di programmare al “comodissimo” orario delle due di pomeriggio come se nessuno avesse un lavoro da portare avanti per mantenere i sopraccitati figli. Non andarci? Pena di morte e decapitazione per mano dei sensi di colpa instaurati dalle maestre e i genitori degli altri bambini. Vedere, però, quei piccoli marmocchi cantare in playback canzoni natalizie in svedese ripaga dell’intero pomeriggio perso al lavoro.
A poche settimane dal Natale è il momento di attuare la machiavellica tecnica che consiste nel riciclare i regali degli anni passati o anche quelli appena ricevuti se si è veloci nel rimpacchettare e se si ha poco pelo sullo stomaco. Il tutto sta nel ricordare chi ha regalato cosa e nell’avere sempre della carta natalizia per pacchetti nell’armadio. Fondamentale.
E siamo alla vigilia. Accendiamo la televisione, rilassiamoci e godiamoci la presenza delle persone più care e più importanti della nostra infanzia. Mamma e papà? Fratelli e sorelle? Nonni e zii? No, no e no. Sto parlando di Eddie Murphy e Dan Aykroyd, i protagonisti del leggendario “Una poltrona per due” che accompagna la Vigilia degli italiani alle ore 21.35 su Italia 1 dal lontano 1983. Se vi siete trasferiti in Svezia e non avete i canali italiani come è successo a me, non disperate perché Paperino e i suoi amici (“Kalle Anka och hans vänner”) vi terranno compagnia alle ore 15.00 su SVT1.
Che tu sia andato alla messa di mezzanotte o meno, alle prime ore del Natale non puoi sottrarti ai giochi di società fino a morte sopraggiunta per esaurimento nervoso. Bicchierini di grappa o di liquori intervallati da caffè doppi aiuteranno a restare svegli durante una bella partita a Monopoly. Il gioco deve almeno durare fino alle ore piccole – altrimenti non vale – così da poter rovinare amicizie che duravano da decine di anni o rapporti con i familiari, che erano comunque logori, ma che godevano di una temporanea tregua pacifica durante le feste. A casa mia di solito il cessate il fuoco s’interrompe quando mia sorella si ferma su Parco della Vittoria con albergo in mio possesso. Lei va in bancarotta e io evito uno scappellotto per il rotto della cuffia. A volte le parti s’invertono.
Smaltita la sbornia di cibo e di alcol della cena del 24, si ricomincia con quella del pranzo del 25. Quando pensi che tutto sia finito giunge l’attività più snervante ma necessaria all’ora del dessert: spulciare i canditi e l’uvetta dal panettone. La tavolata non è più un ritrovo di famiglia, ma si trasforma nella foresta pluviale africana dove un branco di altri primati, gli scimpanzé, si prodigano nel social grooming, l’atto di pulizia reciproca, con l’amico panettone.
Infine, giusto citare anche la tradizione innovatrice jolly che può avvenire in qualsiasi momento, anche a partire addirittura da settembre, ma che s’intensifica da dicembre in poi e in particolar modo dopo Natale. Si tratta delle sofisticate, a volte eleganti a volte pragmatiche, mosse samurai per sviare o evitare di rispondere alla più fatidica e avvilente delle domande: “Che cosa fai a capodanno?” A volte ti lanci in progetti di viaggi, pianificazione di feste esagerate o voli pindarici sul menù della cena, ma sai benissimo che con due figli piccoli a carico la soluzione migliore e più sensata è quella di andare a dormire alle dieci, svegliarsi alle undici e cinquanta, festeggiare con un calice di acqua gassata ancora sotto le coperte e poi tornare a dormire a mezzanotte e dieci. No, scherzo. In realtà il programma è quello di cercare di stare svegli il più possibile e ritrovarsi davanti a due opzioni: farsi tenere gli occhi aperti con gli aghi sulle palpebre come in Arancia Meccanica per riuscire a resistere fino alla mezzanotte passata oppure addormentarsi alle undici e venti e festeggiare l’arrivo del nuovo anno la mattina successiva. In passato ho già testato entrambe le alternative con ottimi risultati.
E ora, se non vi dispiace, vado ad aprire la casella di oggi del calendario dell’Avvento. Se sarò abbastanza rapido riuscirò a rubare i cioccolatini ai miei figli.
 
---
Ecco il link all’articolo su Italienaren - Il lavoratore:
https://italienaren.org/Innovazioni-tradizionali/

martedì 19 dicembre 2023

ITALIENAREN – Il trasformista

Oggi ha un vestito rosso con dettagli bianchi. Domani ne avrà uno nero, ma sempre con rifiniture bianche. Tra qualche mese sarà giallo e ornato di piume e poi ancora cambierà in verde con sfumature floreali. Non gli serve neanche una cabina del telefono per cambiarsi d’abito, ma gli basta un magazzino, uno scaffale o una dispensa. Si toglie il vestito con un po’ d’acqua e poi se ne appiccica un altro con la colla. Alla fine però, a guardar bene, è sempre lui.
Non ci si può rimproverare se qualche volta, da neofiti della vita svedese, ci si confonde e si pensa che siano diversi. È normale sbagliare con questo abile trasformista dei supermercati, ma i più esperti lo possono smascherare con facilità.
Se non si era capito, non si sta descrivendo un supereroe o un mago, ma qualcosa da bere tipicamente svedese. Questa bevanda è un must. Attenzione, però, non va pronunciato all’inglese, /mʌst/, bensì alla svedese /mus:t/. Questa bibita si presenta sugli scaffali dei supermercati, sulle tavole imbandite e sulle tovaglie da pic-nic sui prati verdi nelle sue “diverse” vesti, cercando di non farsi riconoscere. È il prezzemolo della cucina svedese e non puoi mai mancare nelle feste che si rispettino. Che sia julmust (natalizio), vintermust (più scuro perché invernale), påskmust (pasquale) o sommarmust (estivo a Midsommar) è sempre la stessa brodaglia.
Dal colore ambrato scuro e dalla frizzantezza limitata, al primo approccio il must si presenta con un gusto amarognolo, lievi sfumature dolciastre e con un leggero retrogusto di chinotto sgasato. Per i più nostalgici italiani, ricorda la cola soda o la popsi (nomi inventati), quelle specie di imitazioni malriuscite della coca-cola o della pepsi di seconda fascia che si compravano – o che forse si comprano ancora – a basso prezzo nei discount di periferia in Italia. Assomiglia a quella bevanda che ti propinava la nonna insieme alle caramelle Roxana (anche questo nome inventato per rappresentare un generico tarocco delle Rossana che la povera vecchina sbagliava di comprare al supermercato) quando le facevi visita, quasi per punirti perché non andavi a trovarla abbastanza spesso.
Col passare delle sorsate di must — se uno osa — il gusto si avvicina allo sciroppo della mamma comprato in farmacia che ti infilavano forzatamente in gola con l’imbuto quando avevi l’influenza. In effetti, il paragone con la farmacia non è così sbagliato in quanto una delle marche di must più famose è Apotekarnes, che significa letteralmente “dei farmacisti”. Ovviamente c’è da chiedersi se in origine venisse usato veramente come medicinale contro la tosse o come deterrente per i bambini che si comportavano male, ma ovviamente sono solo leggende metropolitane inventate in questo istante.
Col passare degli anni vissuti in Svezia e dopo diversi tentativi di avvicinamento al must — se uno persevera — un po’ alla volta, il gusto diventa sempre più familiare e tradizionale. Non sovente, infatti, può capitare di ritrovarsi a genuinamente desiderarlo quando lo si vede stappato a qualche festa aziendale e a berlo con gusto assieme ai più vichinghi dei colleghi. A volte, con grande sorpresa soprattutto per sé stessi, ci si può ritrovare ad apprezzarlo e, nei casi più estremi, addirittura ad amarlo.
In controtendenza al senso comune, alcuni svedesi dichiarano persino che il gusto del must possa essere percepito diversamente in base ad alcuni fattori quali il tempo di conservazione, lo stato d’animo di colui che lo beve o dal periodo dell’anno[1]. Non ci si deve però far ingannare così facilmente da questi commenti dettati più probabilmente dagli effluvi alcolici delle feste che da analisi serie e ponderate, perché sotto i diversi abiti c’è sempre lui, il nostro amico trasformista pronto al suo successivo cambio. Dove, in farmacia? No, a tavola.
 
---
Ecco il link all’articolo su Italienaren - Il lavoratore:
https://italienaren.org/il-trasformista/

[1] https://www.elle.se/mat-och-vin/vet-du-vad-skillnaden-ar-mellan-julmust-och-paskmust/4333670


martedì 12 dicembre 2023

RACCONTI - Cosa farò da grande?

Numerobis passeggia sorridente tra le strade di Alessandria d’Egitto nel 59 a.C. mostrando a Panoramix, Asterix e Obelix le case e i palazzi strampalati che ha progettato e costruito durante la sua carriera. Non è affatto preoccupato che le scale siano irregolari, le colonne storte e i muri pendenti. A Numerobis non importa che gli egiziani e i suoi amici dalla Gallia pensino che le sue abilità di architetto siano alquanto limitate. Lui va avanti per la sua strada e fa quello che gli piace. A lui importa solo di mantenere viva la sua grande passione ed esaudire gli ordini della sua bellissima regina Cleopatra. Nei prossimi tre mesi dovrà costruire un grande palazzo, ma lui non ha paura. Ha accettato il nuovo progetto senza indugi convinto di sapere quello che fa.
 
Io vorrei proprio essere come Numerobis. Mi farebbe bene. Ne avrei bisogno. In generale, ma soprattutto in questo periodo dato che sarò a breve costretto a cambiare lavoro nonostante non ne abbia voglia. Dovrei prendere tutto con più leggerezza per evitare di stare male. Dovrei buttarmi in una nuova avventura con entusiasmo e avere fiducia che tutto si sistemi. Invece mi preoccupo e cado nella solita domanda che mi tormenta e mi fa rimuginare: cosa farò da grande?
Me la faccio da una vita e probabilmente continuerò a farmela anche molto dopo l’età della pensione. Ovviamente non ho ancora trovato una risposta.
Da piccolo, tra ricerche sui delfini scritte a mano su fogli a quadretti coi buchi e gli “esperimenti” con le piante e gli insetti, credevo che la strada giusta fosse la biologia. Poi però sono arrivati svariati pareri dissuadenti e brutti voti a scuola che mi hanno fatto desistere. Non convinto dei cinque in pagella in scienze naturali ho avuto la malsana idea che avrei potuto fare il medico. A bloccarmi è stato fortunatamente l’esame di ammissione all’università, che non ho mai fatto. Ho provato a intraprendere la strada del ricercatore in Psicologia, ma dopo aver raschiato il fondo non ho più ottenuto fondi e sono così rimasto col culo per terra. In crisi durante i miei primi difficili anni come psicologo clinico ho accarezzato l’idea di cambi radicali di carriera. La mancanza di coraggio e i contatti giusti hanno fermato sul nascere il web designer, il talento e la voce hanno stroncato l’attore, le crisi esistenziali e l’insicurezza hanno tarpato le ali allo scrittore e, infine, il buonsenso ha prevalso sull’amministratore teatrale.  
 
Alla ricerca d’ispirazione, durante una pausa dal sito dell’ufficio di collocamento svedese, ho rivisto il cartone “Asterix e Cleopatra” e alla fine devo dire che in effetti assomiglio a Numerobis più di quanto pensassi. Ho sempre adorato costruire con i lego e i blocchi di legno, sia da piccolo sia da adulto. Le poche sufficienze che avevo alle superiori erano in disegno tecnico e storia dell’arte. Tra le varie carriere immaginarie che avevo ipotizzato da giovane non mancava architettura e probabilmente sarebbe stata una scelta sensata. Altrettanto probabilmente avrei ottenuto gli stessi risultati del nostro amico egizio. Infine, e soprattutto, Numerobis ha accettato ogni suo nuovo incarico perché altrimenti Cleopatra lo avrebbe dato in pasto ai coccodrilli del Nilo. Un po’ quindi come sta succedendo a me ora che devo cambiare lavoro per non essere divorato dal mutuo e dalle bollette.
Quello che è certo è che sia a me sia a Numerobis servirà la pozione magica di Panoramix per sopravvivere in attesa di diventare grandi e forti.

mercoledì 6 dicembre 2023

ITALIENAREN – Addobbi

Che il Natale cada il 25 dicembre di ogni anno non ci sono dubbi.
Ma quando si può iniziare a preparare l’albero di Natale? Quando è umanamente accettabile prendere l’abete vero o di plastica che sia e appenderci le palline e le lucette? Quando è consentito iniziare questo tradizionale rituale senza venir linciati sui social media dagli orsi polari da tastiera o senza essere tacciati come ansiosi patologici o eretici da mandare in pasto all’inquisizione?
Domande legittime alle quali non è per niente facile rispondere. Ora, però, con la mia consueta serietà e precisione dei miei pezzi cercherò di indagare e arrivare a un responso definitivo che faccia contenti tutti e nessuno.
In assenza delle autorevoli riviste che si trovano dal parrucchiere ho dovuto rivolgermi ad altre affidabilissime fonti informative, cioè leggendo qua e là su internet, senza scomodare il mitico Salvatore Aranzulla che ridendo e scherzando ha veramente scritto un articolo su come addobbare il PC per Natale. In base ai siti che ho trovato, l’opzione più gettonata in molti paesi del mondo sembra essere la prima domenica dell’Avvento.
Da qui in poi, però, nascono diverse varianti, regionali e internazionali. Alcune propongono di addobbare l’albero molto tardi, il 21 o il 22 dicembre, in una simbolica concomitanza con il solstizio invernale. Altre, invece, più ligie alla tradizione cattolica, affermano che la data giusta sia l’8 dicembre, il giorno dell’Immacolata Concezione.
Altre tradizioni locali legate alla religione cristiana vanno aggiunte alla discussione con le date del 6 dicembre a Bari, il giorno dedicato a San Nicola, e quella del 7 dicembre a Milano, il giorno di Sant’Ambrogio. Giusto per ricordare ancora una volta al mondo interno che da noi in Italia ognuno fa sempre quello che gli pare.
Poi c’è anche chi gioca ancora più d’anticipo, come negli Stati Uniti d’America per esempio, dove apparentemente si può cominciare a preparare l’albero dal giorno del Ringraziamento (il penultimo giovedì di novembre). E per restare oltreoceano, nella patria degli Yankee, come non citare il famosissimo e iconico abete rosso norvegese alto quindici metri esposto al Rockefeller Center di New York City. Le sue cinquantamila luci, sapientemente disposte sui rami grazie a un incredibile totale di circa 8 chilometri di cavi elettrici, si accendono tipicamente tra la fine di novembre e l’inizio di dicembre.
Neanche in un paese abbastanza standardizzato e incline al seguire le regole come la Svezia non c’è consenso sulla data giusta per addobbare l’albero. Si passa infatti dai cultori dell’albero da adornare il giorno prima della Vigilia, a quelli più allineati con gran parte del resto del mondo nella prima domenica d’Avvento, fino ad arrivare agli estremisti che appendono alle porte di casa corone natalizie e appoggiano sui balconi delle finestre le tradizionali 7 candele di Natale disposte a punta (adventsljusstakar) già da Halloween in poi.
Se pensate che siano robe da pazzi, vi scandalizzerà sapere che quest’anno a casa mia, sotto forte pressione dei bambini, l’albero è stato addobbato già da metà novembre. Se all’inizio mi sembrava esagerato, ora apprezzo l’atmosfera creata dalle luci in un mese notoriamente buio e triste come novembre.
Quasi impossibile, dunque, giungere a una conclusione adeguata. Ma che importa? Ognuno faccia come preferisce e non rompa le palle (di Natale) agli altri. In fondo, a che serve la data “giusta” se neanche Natale cade sempre il 25 dicembre? Chiedete infatti agli ortodossi che lo festeggiano a gennaio.
 
--
Ecco il link all’articolo su Italienaren - Il lavoratore:
https://italienaren.org/addobbi/


mercoledì 29 novembre 2023

ITALIENAREN – Torture

Non lo fare, penso. Distolgo lo sguardo cercando di pensare ad altro, per distrarmi dal dolore che mi provoca solo osservando la scena. Lei lo fa lo stesso. La mia curiosità è stata troppo forte e ho comunque guardato.
La mia faccia cerca di non mostrare orrore ma traspare comunque un senso di disagio nei miei occhi. Per fortuna lei non se n’è accorta perché è troppo concentrata sul suo intento.
Dopo essersi infilata una matita prima nell’occhio destro e poi in quello sinistro, ha finito. Mi sbaglio. Dalla borsa estrae una pinzetta che sembra più una tenaglia da carpentiere per la grandezza delle ganasce. La ragazza non si fa remore e grazie allo strumento metallico toglie con forza tutto ciò che c’è in eccesso dalla sua superficie corporea. Io metto le mani davanti alla faccia ma scruto con un misto di fascino e di terrore le sue mosse tra lo spazio creato dalle mie dita.
Non può andare oltre, mi dico, confidando nella sua volontà di non farsi ulteriormente del male. Invece ora la ragazza si frusta la faccia, prima le guance e la fronte con un pennello più ampio e fortunatamente più morbido, dopo le labbra con una bacchetta rigida che le martoria la bocca.
Perché lo fa? Mi chiedo. Basta, invoco pietà. Le non concede la grazia, né a me né a sé stessa, e passa all’atto finale, il più terribile di tutti. Con la mano destra afferra saldamente il peggior strumento di tortura che l’essere umano abbia mai inventato. Un attrezzo metallico con un’estremità simile all’impugnatura delle forbici e con l’altra che termina in due ganasce semicircolari che si sovrappongono. È il temibilissimo piegaciglia. Sembra a tutti gli effetti uno strumento medievale e se fosse davvero esistito all’epoca, Dante Alighieri lo avrebbe sicuramente collocato nelle mani di qualche dannato dei gironi infernali. È un attrezzo che non augurerei nemmeno al mio peggior nemico, ma lei, la ragazza che sto ormai fissando da qualche minuto, lo usa con una semplicità e nonchalance da mettere i brividi. Maneggia l’arnese con destrezza ed esperienza invidiabili e in un batter d’occhio le ciglia sono piegate alla perfezione.
Nonostante possa sembrare la trama di un film dell’orrore, in realtà è solo la descrizione di una ragazza che si sta truccando. Io sono comunque impressionato. Non sono sicuro di poter andare avanti a guardare. Per fortuna è arrivata la mia fermata. Eh, già, perché tutto il darsi da fare della ragazza sarebbe normalissimo se non fossimo seduti su un vagone della metropolitana in movimento.
A Stoccolma però è una procedura standard. Succede quotidianamente di imbattersi in queste sinuose amazzoni con le loro armi e strumenti di tortura a portata di mano, sia che la metro sia affollata sia che sia vuota. Con uno specchietto in bilico sulla mano sinistra oppure sfruttando il riflesso sui vetri delle finestre o sugli occhiali da sole del dirimpettaio e con il rossetto sulla mano destra si fanno belle durante una corsa in metro. Non si curano però del rischio che una frenata improvvisa del conducente o una spinta involontaria di un altro passeggero possa provocar loro una gita all’ospedale con una matita viola conficcata nell’occhio. Quello sì che sarebbe un vero film horror oppure un nuovo interessantissimo caso neurologico alla Phineas Gage[1].
 
---
Ecco il link all’articolo su Italienaren - Il lavoratore:
https://italienaren.org/torture/

[1] https://it.wikipedia.org/wiki/Phineas_Gage

mercoledì 22 novembre 2023

RACCONTI – Business planner

Allora vediamo un po’. No, mi spiace. Non si può.
No, guardi. Sabato mattina non è proprio possibile. Nuoto per Alexander e Kung-fu per Sebastian. Nel pomeriggio neanche. Ma come perché? Ginnastica preparatoria per tuffi, per entrambi. Dall’altra parte delle città. Guardi sul calendario se non mi crede. G-I-N-N-A-S-T-I-C-A. Scritto in stampatello. Vede?
Martedì sera: allenamento di basket per Sebastian. Fargli praticare questo sport era un mio pallino personale e devo confessarle che vederlo fare canestro è una gran bella soddisfazione. E Alexander? Fa il tifo.
Mercoledì, no: lezioni di pianoforte. Solo per Sebastian. Alexander è a casa di un amichetto a mangiare wurstel con ketchup e a saltare sui letti cercando di non vomitare i suddetti wurstel.
Venerdì sera? Abbiamo un amichetto a casa, invece. Off-limits, dunque. Ci sono i pancakes che vanno cucinati… da me. E poi i padroni di casa e gli ospiti sono impegnati in riunione nella tana creata con le tende, le coperte e i cuscini, oppure sono rintronati nell’inferno della discoteca con canzoncine sceme da YouTube, oppure sono sfatti e distrutti coi cartoni davanti alla televisione durante l’after party. Mi sa che non c’è modo di incastrarci nessun’altra attività. Non se ne parla.
Prima? Nel pomeriggio di venerdì, dice? Bù. Non si spaventi per così poco. Bù vuol dire “no” in mandarino. Oh, il cinese è il futuro. Non si transige. Il futuro va messo in programma nel presente. Non vorremmo mai dover rimpiangere il passato.
Lunedì… lunedì… lunedì. Dunque, vediamo un po’. No. Scuola la mattina, lezioni di italiano per i madrelingua nel pomeriggio. Oh, queste non le ho decise io. Non mi guardi così.
Domenica pomeriggio, neanche per idea: Parkour per Alexander e nuoto per Sebastian. Non me ne parli. Le attività nel mezzo del pomeriggio sono insopportabili. Se becco chi li ha iscritti a questo corso. Aspetti… ah, una nota a piè di pagina dice che sono stato io a farlo. Hm, deve essere un dettaglio che mi è sfuggito. Aggiungo un appunto “togliere attività nel prossimo semestre”. Ecco fatto.
La mattina di domenica potrebbe essere libera, ma abbiamo museo della scienza e della tecnica. No, no, no. Non si perderebbero il museo neanche per tutti i dolcetti del mondo. Per carità. Non tocchi la sala dei videogiochi al terzo piano se ci tiene alla vita.
Domenica mattina prossima. Nah, siamo ai mercati di Natale. Eh, sì. Di già. Non è troppo presto. In Svezia non è mai troppo presto. Cosa, cosa? Vuole veramente togliere ai nostri assistiti la visita di un personaggio inventato al quale non credono più con una visita a personaggi reali? Babbo Natale è intoccabile. Senza neanche nominare i regali…
Come? Mi faccia controllare. Beh, sì. Giovedì pomeriggio cred… ah, no. È il compleanno del vicino di casa italiano. Entrambi invitati. Ho visto male. Niente da fare. Cioè… tanto da fare, troppo da fare, intendevo dire. Eh eh eh.
Eh lo so, i miei assistiti sono molto impegnati. Sa com’è con questi giovani d’oggi. Non si può far mancare loro nulla. Nulla. Sono tutte attività importanti per il loro benessere psicofisico. Dovrebbe saperlo anche lei.
Perché le sto dando dei lei? Hm… in effetti non lo so, mamma. Mi sono lasciato prendere dalla frenesia di tutti questi impegni.
Sì, in effetti, venerdì prossimo potremmo anche prendercelo libero e guardarci in tranquillità il nuovo film della Pixar, sdraiati sul divano, coccolandoci sotto una copertina morbida e abbuffandoci di popcorn caldi. Semplice ed Elementare.
Hai ragione, mamma. Dobbiamo proprio darci tutti una calmata.


venerdì 17 novembre 2023

ITALIENAREN – In letargo

È arrivato quel periodo dell’anno. Quello che pochi aspettavano, che pochi vorrebbero, ma che ha la sua funzione. È il momento giusto per nascondersi, chiudersi in casa, sbarrare le finestre, battere i denti, stringersi alle persone care e accumulare le provviste per il lungo inverno che arriverà inesorabile. È arrivato il terribile novembre.
È il momento di andare in letargo, come fanno gli animali e la natura. Gli orsi al parco di Skansen trovano una tana al calduccio e al riparo dalle intemperie e dallo sguardo indiscreto dei turisti avidi di foto. Le foglie ormai gialle, arancioni e rosse degli alberi si ritirano dai rami e si accucciano sui marciapiedi e dentro i tombini nelle città oppure distese sui prati o sotto un sottile strato di neve in campagna. Il sole pallido e intimorito si nasconde dietro le soffici nuvole grigie e col passare dei giorni diventa sempre più bravo a sparire anche dietro l’orizzonte.
Gli oggetti non sono certo da meno e si ritirano allo stesso modo. I tavolini da esterno dei bar e dei ristoranti si ripiegano su sé stessi e si rifugiano in un magazzino accanto alle ragnatele. L’arredamento in vimini dei balconi e delle verande si copre con un telone impermeabile in attesa di temperature più miti. Gli pneumatici estivi delle automobili si stivano nelle cantine dei proprietari oppure nei depositi dei meccanici, impilati insieme a tutte le altre gomme. Le biciclette che non hanno il coraggio di indossare i copertoni chiodati ed esporsi al rischio di scivolare sulle lastre di ghiaccio della strada si abbandonano nei garage condominiali, legate ad una catena nella speranza che qualcuno le abbeveri ogni tanto con un po’ di olio. La copertina leggera di cotone del letto matrimoniale si piega in sei parti, prende il posto del piumone nella grande busta di plastica sottovuoto e va a fare compagnia alla polvere sotto il letto.
Anche le abitudini e i comportamenti umani subiscono radicali variazioni in novembre. Le pance e gli ombelichi scoperti delle ragazze – le adolescenti in generale e le caviglie in particolare fanno eccezione – si rintanano sotto maglioncini caldi e coprenti (sigh). Le maniche corte dei ragazzotti svedesi si proteggono alla buona sotto giacche che devono essere rigorosamente leggere in modo tale da fare intravedere il testosterone. Per quanto mi riguarda, io, le mie energie e la voglia di lavorare si afflosciano sul divano senza troppe aspettative, in attesa di tempi migliori. In fin dei conti, se non degenera in depressione stagionale, non è poi così una brutta ide(a).
 
---
Ecco il link all’articolo su Italienaren - Il lavoratore:
https://italienaren.org/In-letargo/

lunedì 13 novembre 2023

RACCONTI – Tiro alla fune

Da una parte un gigante forzuto. I suoi muscoli sono tesi allo spasimo sotto la canottiera rossa alla Arnold Schwarzenegger degli anni ‘70. Le vene scoppiano schiacciate tra i bicipiti ingrossati e la pella tirata. La sua faccia si contrae in espressioni esasperate. Sta sudando come un maratoneta e sta mettendo tutta la forza che ha dentro di sé per portare la corda verso di sé.
Dall’altra parte c’è un tipo magrolino. I suoi occhiali hanno le lenti spesse e la montatura nera di gomma rigida. Il suo sguardo è mefistofelico e la sua espressione facciale sottolinea la sua scaltrezza e preparazione. Tiene la corda con due dita come se gli facesse schifo, ma grazie alle sue subdole capacità manipolative del pensiero è come se avesse una forza insuperabile.
I due titani sono alla pari. Entrambi tirano la corda con la stessa intensità e potenza. Ognuno di loro ha i propri metodi infallibili. Entrambi sanno quello che stanno facendo. Entrambi sono convinti di vincere.
E io?
Io sono in mezzo. Trascinato a destra e a sinistra, in avanti e indietro da questi due enti immaginari che non mi lasciano in pace. Succede spesso.
Questa mattina ne è stato un esempio.
È lunedì. Sono le sette, ma sono sveglio da venti minuti. Ho appena finito di fare colazione e sono ancora in pigiama. Ho lasciato dormire un po’ i bambini. Dormono in due letti vicini e si tengono la mano. Sono così carini e soprattutto così silenziosi quando dormono che mi dispiace doverli svegliare, ma è ormai giunto il momento di alzarsi dal letto e andare in cucina dove latte e cereali li aspettano.
Apro le tende per fare luce, ma non ha nessun effetto perché fuori è ancora buio. Mollo un urlaccio che li intima ad alzarsi ma non vengo ascoltato. Scosto le coperte e l’unico risultato che ottengo è una contrazione involontaria dei loro muscoli condita da un paio di mugugni.
Ci vuole qualcosa di più. Qualcosa di più forte. Ci vuole l’artiglieria pesante. Mi abbasso e scuoto mio figlio più piccolo nel tentativo di trascinarlo via dal mondo dei sogni. In tutta risposta lui si gira di scatto e mi arpiona il collo con le sue braccia calde dalla notte appena trascorsa. Perdo l’equilibrio e cado sul letto al suo fianco. Il mostriciattolo piovra di cinque anni ne approfitta per spostarsi velocemente verso di me e mi blocca anche con le gambe. Sono immobilizzato.
Ed è proprio in quel momento che inizia il tiro alla fune tra i due titani sopraccitati, il muscoloso energumeno e il diabolico manipolatore.
Non posso, dice subito il cervello. Rilassati, suggerisce il corpo. Io do un bacio a mio figlio sulla guancia soffice e rotonda.
Dovete andare a scuola e io al lavoro, protesta il cervello. Non senti quant’è morbido il materasso, fa notare il corpo. Io ricambio l’abbraccio.
In effetti giusto oggi non c’è fretta, constata il cervello. È così piacevole qui, sorride il corpo. La mia mano si sposta magicamente sulle coperte e le sistema sopra le nostre spalle.
Non posso accettare di arrivare troppo tardi al lavoro, analizza il cervello. Goditi questi momenti perché non torneranno quando questi due saranno adolescenti e non vorranno più neanche farsi sfiorare, sussurra il corpo. Io allungo una mano sulla spalla dell’altro figlio disteso poco più in là e lo accarezzo.
Sto diventando un pigrone smidollato, si lagna il cervello. Dormi, sentenzia il corpo. Io non faccio niente.
Il sole non è ancora sorto. La mia mano prende gli occhiali e li appoggia sul comodino. Le palpebre sono pesanti e non oppongono resistenza. Si sta così comodi distesi nel letto, al calduccio. Il corpo ha ragione. Non c’è fretta. Oggi vince lui. Mi dispiace cervello. Non c’è impegno che regga il confronto di stare abbracciati ai tuoi figli di cinque anni e sette anni in un uggioso lunedì mattina di novembre. La mia faccia è all’altezza della loro. Non c’è niente che mi possa togliere da qui. Io e i bambini siamo tutt’uno. Inspiriamo ed espiriamo in sincrono. Tutto emana armonia celestiale. Loro mi respirano in faccia e io…
Noooo, urla il cervello. Mi hai fatto prendere un colpo, sussulta il corpo. Io apro gli occhi di colpo.
La fiatella nauseabonda mattutina dei miei figli dà la scossa definitiva alla partita. Il cervello ritrova forze inaspettate. Io mi scosto dalla posizione fetale che avevo assunto e mi allontano dall’odore fatale dell’alito.
Sono le sette e venti, va in panico il cervello. Aspetta, hai ancora bisogn… il corpo non fa in tempo a replicare e io sono già in piedi.
Maledetto cervello. Alla fine ha vinto ancora lui. Con la sua insensibile astuzia l’ha spuntata anche questo lunedì.

mercoledì 8 novembre 2023

ITALIENAREN – Spa

Una promessa è una promessa. Soprattutto se è un regalo. Specialmente se si tratta di spa.
Non sto parlando di un biglietto per andare a vedere il Grand Prix del Belgio di Formula 1 e nemmeno la pazza idea di aprire una società per azioni. Mi riferisco, invece, a un centro benessere: bagni caldi, saune e relax. Un dono per il compleanno di mia moglie.
Il progetto è semplice: scegliere una giornata infrasettimanale, chiedere ferie dal lavoro e prenotare in una delle tante bellissime spa che Stoccolma offre. Fatto. Ora basta solo liberarsi dei bambini. Come fare senza incappare in qualche crimine e senza coinvolgere i servizi sociali? Così: prepariamo una borsa leggera con il cambio, lasciamo i bambini a scuola e io e mia moglie fuggiamo in macchina come ladri pronti al delitto perfetto. Scappiamo prima che i due marmocchi si voltino e in men che non si dica siamo diretti verso la nostra meta. Usciamo dal traffico cittadino e man mano che ci allontaniamo ci ritroviamo sempre più immersi nel verde dell'arcipelago stoccolmese finché giungiamo a destinazione.
Il personale della spa ci fornisce costume, accappatoio e ciabatte e siamo pronti. Dopo gli ultimi giorni di lavoro io sono teso come uno spaghetto. Provvedo subito a immergermi nell'acqua a 39 gradi e comincio ad ammorbidirmi. Mi piego ma non mi spezzo, da bravo spaghetto italiano. Manca il sale ma non importa. Anzi c'è anche quello, mi correggo, ma serve per il bagno turco.
Non faccio in tempo a sciogliermi un po' che è arrivato il momento delle attività che il centro propone. In ritardo e in palese contraddizione con l'atmosfera di calma e armonia, corriamo verso la classe di Yin yoga. Nonostante sia rigido come un colonnello tedesco della DDR in pensione mi metto diligentemente nelle posizioni suggerite e ascolto il mio corpo. Lo faccio talmente bene che a un certo punto sento uno strappo. Temo sia il muscolo quadricipite della coscia o che mi sia scappata una puzzetta, ma per fortuna è solo il costume che si è un po' lacerato a lato. Niente di grave. Respiro profondamente. Il corpo e la mente si mettono per una volta tanto d'accordo e comincio a sentire i benefici della pratica ascetica. Suona il gong ed è purtroppo già ora di lasciar spazio ad altre classi. Infatti il programma propone mezz'ora di completo silenzio, immersi nella profondità dei propri pensieri. Rimango senza parole: da quando sono diventato padre non so più cosa sia. È un'attività che consiglio vivamente ai miei figli ma temo che non la praticheranno mai. Vorrei rimanere ma passo oltre perché con tutta l'acqua che ho bevuto devo andare assolutamente in bagno.
Quello che invece non mi perdo è la meditazione sonora con le campane tibetane. È una meditazione accompagnata dal suono e dalle vibrazioni provocate da ciotole di metallo simili a insalatiere o scodelle per la zuppa calda di diverse grandezze. Le sensazioni sono estremamente piacevoli e tranquillizzanti. L'insegnante – la stessa della classe di yoga – si è trasformata in una deejay, o una batterista heavy metal se si preferisce, con tutte le ciotole disposte a semicerchio davanti a sé. Il suo concerto è meraviglioso e molto distensivo per i nervi. Dopo pochi minuti spalmato bellamente sul pavimento perdo il contatto con il mondo dei vivi. Nonostante mi senta pesante come una betoniera di cemento, Morfeo mi trasporta via lontano oltre l'orizzonte trascinandomi per i talloni. Mi risveglio ogni tanto per il mio stesso russare e quando la classe finisce non ho nessuna voglia di andarmene. Farfuglio "Mamma, ancora cinque minuti!" mentre mia moglie mi toglie senza pietà la copertina calda e mi espone ai freddi venti nordici che mi congelano anche i pensieri.
Dopo un pranzo sopraffino c'è ancora tempo per esplorare la spa. Faccio una ripassata ai bagni termali, sia per il corpo sia per i piedi. Per curiosità provo subito il bagno turco che mi lascia senza fiato come solo quelli che hanno mangiato aglio in abbondanza sulla metropolitana affollata sanno fare. Non appena metto mezzo piede dentro, infatti, sento il respiro mancare a causa del calore e dell'umidità che mi assale. Resisto pochi minuti e passo oltre. Visito la sauna a 80 gradi con annessa immersione nell'acqua ghiacciata per riattivare la circolazione e far scomparire i testicoli e scopro anche l'esistenza della Ganbanyoku, una sauna a 40 gradi dove è possibile riposare più a lungo grazie alla temperatura più abbordabile. Neanche ci fosse bisogno di spiegarlo, faccio una capatina nel mondo dei sogni anche qua.
Il tempo passa in fretta e dopo aver fatto merenda a base di frutta e tè verde – compenserò più tardi a tutta questa botta di vita sana con un bel cornetto zozzo al cioccolato – ci accorgiamo che è ora di ritornare a casa e recuperare i bambini a scuola. Non ho rimpianti. Sento che è arrivato il momento di andare. Anche perché dopo sei ore di bagni e sauna di ogni tipo può pure capitare che ci si rompa un po' i coglioni e si voglia tornare alla vita di tutti i giorni.
Ci cambiamo, usciamo dalla spa, prendiamo la macchina e ci ributtiamo nel traffico cittadino. Guido in scioltezza senza mai avvicinarmi neanche lontanamente al limite di velocità. Sento l'odio degli automobilisti bloccati dietro di me nelle stradine strette che non riescono a superarmi e il loro clacson infuriato. Io però sono impassibile e non reagisco. Mi sento un'ameba senza spina dorsale, un budino senza consistenza, un involucro di pelle che contiene tutti gli organi e le ossa frullate assieme. Non importa. Dopo questa giornata sono in pace con me stesso e con il mondo. Se mi fermasse la polizia potrebbe però sospettare che sia sotto uso di stupefacenti ma neanche questa preoccupazione mi sfiora. Tutto mi scorre a lato senza impensierirmi come un ruscello di acqua pura e rigenerante. Ora mi sento leggero nell'anima e nel corpo. La leggerezza però si percepisce soprattutto nel portafoglio.
 
---
Ecco il link all’articolo su Italienaren - Il lavoratore:
https://italienaren.org/spa/

giovedì 2 novembre 2023

ITALIENAREN – Perline

Sto cercando il prossimo libro da leggere nella libreria di casa. La mia concentrazione è totalmente dedicata alla ricerca di uno specifico romanzo che so di aver acquistato qualche anno fa e che ora è diventato il prescelto. Scorro con le dita tra i volumi incastonati e alla fine mi appare in tutto il suo splendore e saggezza. È arrivato il suo momento. Lo estraggo con foga dalla pila degli altri libri e all'improvviso sento cadermi addosso una pioggia di perline. Non è una metafora per esprimere la gioia per aver trovato il libro giusto da leggere, è proprio una pioggia di perline di plastica vere. Avevo dimenticato di averle lasciate là sopra i libri qualche ora prima a riparo dalle mani maldestre dei miei figli che avrebbero potuto fare danni incalcolabili al lavoro che avevamo iniziato insieme. Ci metto un paio di secondi per rendermi conto di quello che è successo e subito dopo impreco per la mia goffaggine. Urlo troppo forte e sveglio mio figlio che si era addormentato da poco dopo il rituale della lettura della storiella serale. Oltre che maldestro, dunque, sono anche stupido per aver gridato e averlo svegliato. Lui si dispera perché gli ho rovinato la pärlplatta incompiuta a forma di labirinto che avevamo iniziato a preparare poche ore prima.
 
Cosa è una pärlplatta? È una piastrina di plastica rigida sulla quale si possono appoggiare, una ad una da bravo amanuense medievale, delle perline di plastica riciclata a forma di minuscoli rotoli di carta igienica di diversi colori per formare uno schema o un pattern, un po' come in un mosaico. Trasformandosi poi in un'efficiente casalinga di Voghera si può passare sopra il ferro da stiro per consentire al calore di fondere la plastica quel tanto che basta da far tenere unita la composizione. Con una pärlplatta ci si può sbizzarrire in moltissime creazioni: non solo semplici targhette decorative con disegni e figure di ogni tipo dando completamente sfogo alla fantasia, ma anche addobbi per l'albero di Natale, spille, braccialetti, ciondoli e collane, orecchini oppure addirittura dei coloratissimi sottobicchieri. La pärlplatta è un'espressione artistica tipicamente svedese. Infatti è stata inventata e patentata da Gunnar Knutsson a Vällingby (nella periferia di Stoccolma) all'inizio degli anni '60. Io non ricordo di averci mai giocato da bambino in Italia ed è un peccato perché è davvero divertente e creativa. È anche molto meditativa in quanto posizionare una perlina alla volta con cura e precisione richiede concentrazione e presenza mentale. È anche molto "bestemmiativa" purtroppo perché quando le perline non vogliono saperne di stare ferme, sfuggono alla presa delle mie ditone paffute oppure cadono e si disperdono sul pavimento di casa diventa complicato e faticoso ritrovare la pazienza e ricominciare. Inoltre è un modo fantastico per passare più tempo con i bambini e realizzare un progetto assieme, nonostante spesso la pärlplatta inneschi il mio atavico perfezionismo e appena mi accorgo che i bimbi sbagliano o fanno confusione, di solito dopo cinque minuti, sono costretto ad allontanarli come farebbe un burbero buttafuori con i clienti molesti all'ingresso dei locali notturni oppure come un arbitro severo ma giusto quando espelle un giocatore per un brutto fallo.
 
Ora posso chiudere la parentesi e ritornare alla mia disperazione per aver fatto volare giù dalla libreria tutte le perline della pärlplatta che stavo costruendo per mio figlio. Non ce la faccio a vederlo così mogio e devo promettergli che riparerò al mio errore. Gli do un bacio e lo mando a dormire perché ormai sono già le otto e mezza passate. Lui sembra soddisfatto e io mi rimetto al lavoro. Punto una lampada ben illuminata sul tavolo da lavoro, mi rimbocco le maniche, inforco gli occhiali e afferro una pinzetta per completare questa semplicissima placchetta di perline da circa settecento pezzi. Mi sento Gil Grissom di CSI mentre analizza i suoi insetti. Abbasso quindi la testa e lavoro sodo e con attenzione… e finisco in un lampo. Facile.
— Ecco fatto! Eh che ci voleva? Ci avrò messo cinque, dieci minuti?
Nessuno mi risponde. È buio e silenzioso attorno a me. Nessuna macchina gira per le strade della città. Comincio ad avere un brutto presagio. Alzo gli occhi verso l'orologio appeso al muro e sbianco. Sono le due e mezza di notte. I muscoli delle spalle e del collo mi dolgono da morire e domani devo andare al lavoro. Per la disperazione sbatto la testa sul tavolo, ma le vibrazioni fanno traballare la pärlplatta che infine si rovescia e fa cadere di nuovo tutte le perline.
Inspiro profondamente. Cerco di trattenere l'uragano di bestemmie che sento dentro i polmoni, ma non ce la faccio.
Tre secondi più tardi tutti gli abitanti del palazzo si svegliano nel cuore della notte.
 
---
Ecco il link all’articolo su Italienaren - Il lavoratore:
https://italienaren.org/perline/

mercoledì 25 ottobre 2023

ITALIENAREN – Vocali svedesi

A, E, I, O, U, Y, Å, Ä e Ö.
Un mistero.
Una sfida.
Una maledizione.
Sono loro, le vocali svedesi. Un vero grattacapo per chi vuole imparare la lingua. Tranquilli, non vi ammorberò con noiose e complicate dissertazioni di psicolinguistica e fonetica (anche perché non sarei in grado di farle) ma vi introdurrò queste fantastiche letterine svedesi a modo mio, a cazzo di cane. Vi avviso quindi già da subito che ci saranno una marea di imperfezioni e alcune inesattezze. Le ho messe volutamente a fine di bene, con affetto e un pizzico di ironia. Astenersi dunque precisini e puntigliosi. Andate altrove se volete qualcosa di più serio e utile[1]. Benvenuti invece perditempo e bighelloni.
 
Nonostante il disclaimer iniziale alcuni andranno avanti lo stesso e molti di essi storceranno il naso leggendo questo pezzo ma è bene che sappiano che non li aiuterà affatto a pronunciare meglio le vocali svedesi perché per quello serve invece la posizione della lingua, delle labbra e della faringe come cassa di risonanza. Le vocali svedesi possono essere luuunghe o cort, FORTI o debolucce. Hanno il brutto viziaccio di influenzare molto la pronuncia delle consonanti che le stanno vicine non lasciandole mai in pace, un po' come nel proverbio "dimmi con chi vai e ti dirò chi sei".
Data la loro natura dispettosa, ho deciso quindi che oggi non le presenterò in ordine alfabetico (come sono state scritte qui sopra), ma a caso. D'altronde anche l'ordine alfabetico svedese mi ha sempre dato l'impressione di essere quasi casuale o per meglio dire rattoppato all'ultimo secondo, con quelle ÅÄÖ messe all'ultimo dopo la Z, come se fossero state dimenticate. Non compatitele però, perché quelle tre brutte pesti si vendicano quotidianamente con tutti gli stranieri che cercano di pronunciarle correttamente.
Ora però bando alle ciance e preparatevi al peggio.
 
A – iniziamo da una facile, una normale, una che non ti vuole mettere in difficoltà. Invece no. Sarebbe troppo semplice. La A ti fa credere che si pronunci sempre A come in pace, carote e patate in italiano. Lo fa spesso, a dire il vero, ma ogni tanto, quando si alza col piede sbagliato, ti frega, si traveste e sembra una O, come in gatan (=via), dove la seconda A è Dr Jekyll e la prima è Mr Hyde.
Å – È la vocale queer, quella che nasce come una A ma si sente una O, come in regnbågsflagga (=bandiera arcobaleno). Per quanto mi riguarda può identificarsi in quello che vuole, io la amo lo stesso per quello che è perché è una di quelle che mi dà meno problemi di tutte.
Ö – Ovvero la faccina sorpresa… come quella dei barman quando tento invano di ordinare una birra (öl) e non capiscono. La Ö è il mio più acerrimo nemico da quando vivo in Svezia perché la mia bocca va in sciopero al momento di posizionarsi nel modo corretto a forma di bacetto e cado facilmente in errore. La Ö è molto facile da confondere con la precedente Å. Attenzione infatti se date appuntamento agli svedesi a Åland (arcipelago di isole in Finlandia) perché il rischio è che possano invece recarsi a Öland (isola nel sud della Svezia) oppure nei casi più estremi in Holland (=Olanda). Il mio consiglio è quello di mandare un messaggio scritto di conferma e non sentirsi solo a voce.
I – Prendiamo fiato e rilassiamoci perché questa vocale è tutto sommato semplice e non nasconde particolari insidie. Mi raccomando, però, meglio sempre stare all'erta e tenere d'occhio queste pazze vocali svedesi perché potrebbero sempre rifilare brutti scherzi.
O – La O è birichina come la A. A volte è semplice e si pronuncia come la O in italiano, per esempio in social (=socievole), ma se messa al centro dell'attenzione s'intimidisce, si chiude in sé stessa e diventa quasi una U, come in osocial (=asociale).
U – Si pronuncia quasi come una O. No, scherzo. Si pronuncia come una U ma va allungata moltissimo, più di quello che si possa pensare. Un esempio lampante è la U nella parola jul (=Natale) che si comincia a pronunciare la sera del 24 dicembre e si finisce a juni (=giugno) o addirittura a juli (=luglio) se si va troppo per le luuunghe.
Ä – Vedi lettera successiva.
E – La metto vicina alla Ä perché le due vocali in questione non sono facili da distinguere. Una è chiusa e l'altra è aperta. Lascio a voi decidere in che ordine. Sfido infatti a capire la differenza tra egg (=spigolo) e ägg (=uovo) senza provare a prepararsi uno spigolo all'occhio di bue, ovviamente. Le cose si complicano ulteriormente e si tingono di imbarazzo quando alla festicciola sadica si presenta anche la consonante H e non vi resta che scappare a casa augurando a tutti un Buon fine settimana: Trevlig älg! No, un secondo... ho appena scritto Buon alce! Intendevo, Trevlig helg! Ecco, così va bene.
Y – A, E, I, O U… ipsilon… come il famoso medley Disco samba dei Two Man Sound, trio di musicisti brasilian… hm no, trio belga. Non vi sto prendendo in giro è davvero un trio belga[2] e la Y è davvero una vocale in svedese. È una via di mezzo tra la U e la I, passando per la Ö nei giorni dispari e con targhe alterne a occhi bendati. Facile, vero? A me fa impazzire e spesso mi viene voglia di affettarla con la yxa (=accetta).
 
Bene, ora che sapete tutto, ma proprio tutto sulle vocali svedesi è ora di festeggiare.
Pe pe pe pe pe pe pe pe pe pe (da ripetere sei volte)… e via di trenino di Capodanno, anzi Nyårsaftons lilla tåg!
 
---
Ecco il link all’articolo su Italienaren - Il lavoratore:
https://italienaren.org/vocali-svedesi/


[1] https://swedish-for-all.se/sfi-steg-learning-steps/uttal-1-vokaler/
https://uttal.se/vokaler/
https://www.omsvenska.se/uttal/vokaler-och-konsonanter/
http://pratar.weebly.com/vokaler.html
 
[2] https://www.soundsblog.it/post/disco-samba-capodanno-trenino-medley-canzoni

mercoledì 18 ottobre 2023

RACCONTI – Paesello

La prima cosa che noto ogni volta che torno in Italia per un periodo di vacanza è la presenza del “fuso orario”. A differenza dei miei genitori che me lo chiedono sempre, io so che Italia e Svezia hanno la stessa ora in tutti i periodi dell’anno, ma il fuso orario di cui parlo è legato alle differenze culturali e alle abitudini alimentari. Trovare infatti un punto d’accordo con gli amici per darsi appuntamento oppure decidere l’orario del pranzo e della cena con i familiari è impresa degna del planning manager della Casa Bianca.
L’altro aspetto temporale si manifesta quando faccio un giro per il paese dove sono cresciuto. In certe zone il tempo sembra essere andato avanti veloce fino a un lontano futuro dove la civiltà umana è scomparsa da secoli e tutto è diroccato, dai negozi alle abitazioni. Il quadretto distopico è completato dalla presenza di 30 gradi a ottobre che rende attuale ogni scenario catastrofico della crisi climatica. La conseguenza di queste temperature è che le cimici, quegli orribili insettini verdi che volano non sapendolo fare bene come gli aeroplanini di carta che lanciavo da piccolo, sono le nuove creature dominatrici di questo secolo e di queste lande desolate. Quelle bestie invadenti sono i nuovi Visitors del pianeta Terra e ormai occupano impunemente e indisturbate tutte le abitazioni del paesello. La politica e le forze dell’ordine non fanno ovviamente niente per fermare questa invasione. C’è chi invoca la vespa samurai, chi l’aglio confondendosi probabilmente coi vampiri e chi l’odore del tabacco, creando alla fine un clima di tutti contro tutti e senza alcuna soluzione tangibile al problema. Intanto tutto è imballato nella burocrazia che è… ma che ve lo dico a fare? Anche chi non è italiano sa come funziona.
Cerchi di distrarti guardando la televisione e ti viene da ridere notando che c’è ancora il Grande Fratello… parlo del programma televisivo, non dei dibattiti politici che dilagano in tutto il paesello.
Spengo tutto. Vado a mangiarmi una pizza. Prima però devo passare dalla banca e chiedere un mutuo, visto il listino prezzo “stoccolmese”. Mi consolo pensando che almeno si mangia bene, dai. Oltre ai ragni: leggenda narra che si ingoi circa otto ragni all’anno. Credo che a casa mia nel paesello si alzi la media vertiginosamente. No, scherzi a parte. Nessuna polemica sul cibo. O forse è questo il problema, che nel paesello ci si accontenta di essere un’eccellenza culinaria, mentre ci ritroviamo con i culi in aria… o meglio dire per terra.
Sono comunque felice di questa vacanza: ho fatto incetta di famiglia, amici e cibo. Adesso è ora di tornare a casa ma le sorprese non sono finite. L’atterraggio del mio aereo era previsto per mezzanotte ma il volo fa un’ora di ritardo come annuncia lo speaker: “Ci scusiamo per il disagio che vi porterà ad arrivare a casa a notte fonda e che vi renderà uno zombie al lavoro domani mattina!”. Grazie Semi-Palindrome Air. Probabilmente questa è la punizione per aver parlato male del paesello.
Dopo l’attesa sfiancante alla fine però arrivo in Svezia dove tutto funziona bene. Atterro al Terminal 4 di Arlanda e mi costringono a fare una camminatina di dieci minuti fino al Terminal 5. L’autobus però parte all’uscita del Terminal 4. Logico. Quindi devo camminare nella direzione opposta appena percorsa, questa volta da fuori. Ovviamente perdo la corriera e la prossima è tra 40 minuti. Grazie Arlanda. Questa invece è la punizione per aver parlato male delle cimici-Visitors.
Dopo un sonnellino sul sedile della corriera, la coincidenza fortuita dell’autobus a Stoccolma e una breve camminata, alle tre di notte arrivo a casa. Esausto, appoggio la testa sul cuscino e… tre, due, uno: driiiin. Suona la sveglia. Sono già le sette. È ora di fare colazione con pappa d’avena, mettersi il cappotto pesante, farsi schiacciare in metro come sardine e andare al lavoro prima dell’alba e tornare dopo il tramonto.
A vederla così, il paesello già mi manca.

venerdì 13 ottobre 2023

RACCONTI – Astinenze

Passeggio per le strade di questa bella località di mare in estate. Sono in Italia per farmi una bella dose di sole, aria ricca di iodio e acqua salata. È una vera e propria annuale disintossicazione dal lungo inverno svedese. Sono tranquillo e sereno. Mi rilasso godendomi le vacanze. All'improvviso però tutto cambia quando vedo lei. All'angolo della strada mi lancia uno sguardo beffardo. Mi ha trovato subito. Ho i sudori freddi ma una scarica di dopamina si abbatte sul mio cervello. Distolgo lo sguardo ma sono eccitato. Cammino e vado oltre facendo finta di niente. Ora non posso. Ora no, perché sto andando al mare con la famiglia. Mi sforzo di non incrociarla con lo sguardo e vado oltre. In quei cento metri di camminata faccio fatica a non voltarmi e sto male, ma una volta girato l'angolo mi sento meglio. Ho fatto la cosa giusta.
Arrivo alla spiaggia e mi sdraio al sole, mi faccio un bagno refrigerante e mi mangio un buon gelato. Tutto è alle spalle. Quasi. Un pensiero infatti non mi lascia tregua: "E se ci ricasco?" Mi rassicuro che non succederà ma nel profondo della mia mente non ne sono sicuro. Reprimo il pensiero ingoiando un altro gelato e quando è ora di tornare a casa dalla spiaggia prendo di proposito un'altra strada, così non ci faccio più caso e me ne sto tranquillo.
Finché arriva la sera, dopo cena, quando mia moglie mi manda a prendere un gelato per tutta la famiglia (sì, un altro gelato… d'estate è concesso) e passo di nuovo per la via di questa mattina. Lei mi aspetta sempre là. Al solito angolo. Cerco di distogliere lo sguardo. È difficile resistere. È una tentazione troppo forte. Sono in crisi nera. So benissimo quello che lei mi può offrire. Uso tutte le mie energie mentali per non pensarci, ma più porti all'attenzione un desiderio e più questo si rinforza. È come una palla che più la spingi sott'acqua e più grande sarà la forza che la riporterà in superficie. Sono al massimo dei miei sforzi. Guardo altrove nonostante lei mi fissi impietosa dall'altro lato della strada in attesa del mio inevitabile cedimento. Mi concentro sulla musica che sento arrivare dai bar affollati. Guardo le belle ragazze a passeggio. Niente funziona come vorrei.
"Se lo faccio solo una volta, lo posso controllare!" Penso mentre la guardo dritta davanti a me.
"Sarà solo una cosa veloce, che male mi farà?" M'illudo attraversando la strada.
"In fondo mi mancava tantissimo e sono stato bravo a resistere per tutti questi mesi." Mi compiaccio dei miei sforzi e abbasso ulteriormente le difese mentre le sono ormai a un passo.
Alla fine soccombo. Cado vittima di quella debolezza e di quel vizio che mi attanaglia da sempre. Di nuovo. In fondo, se voglio roba buona italiana sono costretto a farlo qui e ora per non dovermi rivolgere ancora a quella odiosa consegna postale.  
Un attimo dopo tengo già in mano quello che lei mi ha offerto con tanto feroce sadismo e gioia nel vedermi soffrire. Soppeso il prodotto di tanti sforzi e fatiche. Ne annuso il profumo avvicinandolo bramosamente al naso. Ne ammiro la cura e la qualità dei dettagli. Mi guardo attorno e mi stropiccio gli occhi della varietà che mi viene proposta. Mi pregusto la sensazione liberatoria di estasi che proverò quando userò i suoi prodotti nella tranquillità e intimità di casa mia, al riparo di sguardi indiscreti e molesti.
Tutto questo turbine di emozioni e di sensazione è semplicemente stupefacente. Mi chiedo come io abbia potuto farne a meno per più di sei mesi. Mi chiedo anche come io abbia potuto evitare il suo fascino durante i primi giorni di vacanza in Italia senza approfittarne subito appena atterrato in suolo italiano.
Dopo molta ricerca e devota venerazione delle varie proposte, riesco miracolosamente a limitare la mia scelta a un solo prodotto. Con gli occhi lucidi e l'aria inebetita mi dirigo alla cassa per ottenere un regolare scontrino del mio acquisto. Pago il prezzo dovuto alla commessa ed esco con il mio bel libro nuovo in mano. Un romanzo che avevo nella mia lista dei desideri da tanto tempo e che ora finalmente aggiungerò alla pila di libri che mi sono prefissato di leggere e che probabilmente non riuscirò a terminare prima della pensione.
Sniffo il profumo della carta stampata un'altra volta, accarezzo la copertina patinata togliendo un po' di polvere e sospiro soddisfatto. Mi volto a darle l'ultimo sguardo e la saluto. A presto, cara libreria.

mercoledì 4 ottobre 2023

RACCONTI – La strazio

Sono bloccato su una sedia: le mani sui braccioli, i piedi sul piedistallo, la testa ferma, gli occhi ben spalancati a guardare avanti. La persona di fronte a me mi ha appena imbottito di domande sulla mia vita e sulle mie abitudini. Il tempo sembra non passare più da quando sono entrato qua dentro. Sono qui da minuti, ore o addirittura giorni? Non lo so. Immagino che il Trattamento Ludovico a Alex DeLarge in Arancia Meccanica fosse qualcosa di simile, ma forse sono il solito esagerato.
Non vorrei essere qui. Mi pento di aver fatto questa scelta, di essere venuto in questo luogo maledetto di mia spontanea volontà. Vorrei essere altrove.
Eppure era la scelta giusta. Era giunto il momento di portare a termine questa tortura.
"È meglio la numero uno o la numero due?"
Non è Mike Bongiorno dal regno dell'aldilà che mi chiede quale busta preferisco e, dato che lo sto evitando da anni, non può neanche essere il mio medico di base che mi propone un paio di creme antifungine da usare sulla schiena. Quella è la voce dell'oculista che mi chiede con quale lente vedo meglio le lettere dall'altra parte della stanza. Un po' come quando la tua compagna ti invita a esprimere una preferenza tra il divano grigio topo di campagna a sinistra o quello grigio topo di città a destra quando siete in visita all'IKEA (spoiler alert: non c'è nessuna differenza). Quello che faccio, quindi, è scegliere una lente o l'altra in base all'istinto, se non addirittura al caso.
"Cosa vedi in questa riga?"
Ecco la domanda che mi tortura più di tutte. La domanda che mi accompagna da quando avevo quattro anni e che mi ha condannato a inforcare gli occhiali e a non lasciarli più. La domanda che mi ha sempre lasciato senza risposte e con un forte senso d'ansia e d'impotenza. Con l'occhio "buono" riesco anche a cavarmela, ma con l'occhio destro sono quasi cieco e cercare di interpretare la forma di quella maledetta lettera è pura sofferenza. Mi sono sempre chiesto se ci siano davvero delle lettere o se l'oculista si diverta a mettere dei segni a caso, tipo rune celtiche oppure sanscrito antico ogni volta che io mi approccio alla tavola optometrica. Ma poi, perché dovrei leggere quelle letterine? Neanche fossi Babbo Natale con gli elfi seduti accanto a me davanti al caminetto.
Da piccolo ogni tanto trovavo una scusa per avvicinarmi alla tavola optometrica e imparavo a memoria l'ordine delle lettere presenti. Era bello poter fregare così l'oculista che per me era una persona sadica che sghignazzava per le mie incapacità visive. Ricordo ancora le risate che mi facevo quando poi, uscito dal negozio col mio nuovo paio di occhiali dalla gradazione sbagliata, festeggiavo la riuscita del mio inganno andando a sbattere involontariamente contro tutti i muri che trovavo. Che pirla.
"Questi li vedi orizzontali o verticali?"
L'oculista passa poi ai suoi classici trucchetti da illusionista e giochi di prestidigitazione. Se tappo un occhio vedo una sequenza di linee, se tappo l'altro intuisco che ci sia qualcos'altro ma non so bene cosa: una macchia del test di Rorschach sarebbe più chiara. In realtà vorrei solo chiudere entrambi gli occhi e sparire dal negozio e ritrovarmi magicamente di nuovo a casa a tortura conclusa. Non posso farlo però e sono invece costretto a continuare a stare ai giochi perversi di quel personaggio in camice bianco che ormai non sembra neanche divertirsi più perché preso da una sorta di compassione per i miei continui fallimenti. Almeno io li percepisco così. L'ho già scritto che sono il solito esagerato? Mi pare di sì.
"E ora guarda qua: tranquillo, non è pericoloso!"
E prima che io possa rendermi conto che questa è la tipica affermazione che mette una gran preoccupazione nel paziente (io, in questo caso), mi ritrovo un raggio sparaflashante alla Men in Black sparato dritto negli occhi che mi acceca completamente. Per un millisecondo, ma mi rende cieco. Mi dice che è un test per il riflesso della dilatazione pupillare ma io credo che sia un metodo astuto per cancellare la memoria degli ultimi e dei prossimi cinque minuti e farmi dimenticare il prezzo del conto da pagare della visita, degli occhiali e delle lenti, così poi potrò tornare agli accertamenti di controllo senza farmi troppe remore.
"Abbiamo finito!"
Oh, il momento più bello di tutti. La frase che aspettavo da quando mi sono seduto in sala d'attesa. La liberazione che mi fa abbassare finalmente le spalle da livello Generale dell'esercito prussiano a livello pappamolla di scuola di polizia. È il lasciapassare che mi fa rilassare tutti i muscoli del corpo e gli sfinteri anali, con notevoli sforzi nel trattenere le conseguenti scoregge…
"Che cos'è questa puzza?"
…cosa che non sempre mi riesce a quanto pare.
A parte questo spiacevole e imbarazzante inconveniente ora non mi resta che aspettare un mesetto che le miei lenti speciali vengano create su misura e un altro mesetto che mi vengano fatte recapitare dall'altra parte del mondo. Mi chiedo se questi tempi d'attesa eterni dipendano dal fatto che le mie lenti siano prodotte a mano da monaci tibetani solamente dopo aver raggiunto il nirvana oppure se sia solo la mia solita sfiga. Non lo saprò mai.
Ad ogni modo, la giornata finisce e io torno a casa esausto. Sono davvero a pezzi. Affrontare le proprie paure e ansie è faticoso. Se avessi saputo che era così difficile non lo avrei mai consigliato ai miei pazienti in tutti questi anni da psicologo. Mi sento comunque orgoglioso per aver risolto questo problema da vero uomo: ovvero prenotando una visita oculistica dopo averla posticipata all'infinito e non aver dato priorità alla mia salute per paura di eventualmente ricevere brutte notizie come per esempio diventare cieco o dover passare da occhiali con lenti spesse come un fondo di una bottiglia a occhiali con lenti spesse come il fondo di una damigiana. Tutto sembra portare a berci sopra, ma non troppo, altrimenti rischio di dimenticare l'importante lezione di oggi: la prossima volta metterò da parte la mia virilità a vantaggio della mia salute.
E quell'altra visita dal dottore che dovevo fare? Ah, ci penserò domani.

mercoledì 27 settembre 2023

ITALIENAREN – Parchi acrobatici

Sto sudando freddo. Ho le vertigini. Lo stomaco è in subbuglio. Mi tremano le gambe. Normale quando la tua vita è appesa a un filo. Letteralmente.
Il filo in questione è quello di un parco di divertimento con le teleferiche e i percorsi ad ostacoli sospesi. Ce ne sono tanti sparsi fuori città a Stoccolma. Ognuno di loro ha piste e tracciati di diversa difficoltà, sia per bambini sia per adulti, alcuni vicini al terreno, altri a dieci metri sospesi tra i tronchi dei pini silvestri del bosco svedese. Sono sicuri e ben costruiti e permettono di godere la natura e mettersi alla prova, fisicamente e mentalmente. Non sono però raccomandabili a chi soffre troppo di vertigini.
Io ho voluto osare e ho fatto subito lo sfrontato provando le piste intermedie. Dopo lo shock iniziale per l'altezza che mi aveva un po' paralizzato, deglutisco, mi faccio coraggio e, passo dopo passo, con cautela riesco a superare le mie paure e vado avanti. Mi asciugo il sudore dalla fronte e sorrido. Ce l'ho fatta. Ho superato il primo ostacolo. Sono orgoglioso di me stesso. Guardo avanti e osservo il resto della pista pianificando le mie mosse. Ora mi aspettano altre sfide.
Proprio quando mi decido a proseguire sento un rumore fastidioso provenire da lontano. Sono delle grida che giungono dal bosco. Non sono i bambinetti fastidiosi che poco fa rompevano le palle lanciando sassetti agli altri durante la breve introduzione sulla sicurezza dell'imbracatura tenuta dal personale. È qualcos'altro. Non è umano. Affretto il passo, ma le urla si avvicinano. Salto da un ramo all'altro, mi volto e scorgo delle ombre dai movimenti rapidi. Sembrano degli animali neri e pelosi. Sono dei primati, delle scimmie urlatrici, per la precisione. Comincio a percepire il loro odore. Sento il loro fiato sul collo. Ormai sono vicinissime. Mi toccano le spalle. Mi prendono una mano. Mi bloccano un piede. Mi sono addosso e urlano festanti. Passano le loro mani prensili sulla mia fronte e mi bloccano la testa. Io cerco di chiudere gli occhi ma loro mi costringono a guardare. Ridacchiano e saltellano seguendo un rito collettivo. I loro versi sembrano quasi parole che intonano una canzone tribale. Mi sembra di sentire un ritmo di tamburi di sottofondo. A quel punto la mia trasformazione è iniziata. Ormai tutto è compiuto. Sono pronto. Mi hanno liberato. Impossibile dire se siano passati minuti o ore.
Improvvisamente mi sento forte e spavaldo. Senza paura. Eseguo i passaggi velocemente e con una semplicità imbarazzante. Ora sono io la scimmietta della foresta. Mi lancio da un cavo all'altro al grido di "I believe I can fly". Sono sicuro dei miei mezzi. Mi sento onnipotente. Ho la sensazione che niente mi potrà mai fermare ora che sono una copia di Indiana Jones.
Qualche minuto più tardi sono bloccato a dieci metri d'altezza, appeso a una corda, con un piede su una pedana e l'altro su una rete oscillante. Non so cosa fare. Non posso tornare indietro. Non posso andare avanti. Comincio a sentire dell'umido nella parte posteriore delle mutande. L'incantesimo è finito. Lo spirito degli scimpanzè mi ha abbandonato di colpo distratto da un passante che mangiava noccioline. Le dita delle mani sono in tensione e mi fanno male. Non posso staccarle dalla corda per cercare nelle tasche la sicurezza che avevo fino a qualche minuto fa. Non resta altro che trovare il coraggio per superare anche questo ostacolo nel percorso più difficile del parco. Devo ammettere che avevo sottovalutato la difficoltà. Sorrido nervosamente a un bambino di dodici anni che sta aspettando annoiato che io vada avanti. Tremante muovo in avanti il piede destro. Il bambino stronzo saltella sulla pedana e fa oscillare tutto pericolosamente. Poi ridacchia divertito gustandosi il mio sguardo preoccupato e perso nel vuoto che ho sotto di me. Non ho né tempo né mani libere per mandarlo a fanculo, quindi sono costretto a trovare una soluzione al problema. Sposto un piede a destra, uno a sinistra, torno indietro con il piede destro, faccio roteare la mano sinistra, eseguo un passo di salsa sulla corda a penzoloni ripensando al gioco Twist e quasi per magia mi ritrovo a fine percorso. In fin dei conti forse una scimmietta mi è rimasta sulla spalla.
Scendo subito e vado a riconsegnare l'imbracatura prima che mi venga la malsana idea di riprovarci e prima che le gambe tremanti recuperino energie. Meglio accontentarsi per oggi. Ho già fatto troppo l'eroe e l'esploratore di sta ceppa per questa domenica.
All'ingresso del parco una ragazza del personale mi chiede come sia andata dicendo di avermi visto disinvolto alle prese con la pista più difficile. Sorrido con aria sfacciata fingendo di impugnare una pistola immaginaria e mostrandomi di profilo.
«Pericolo è il mio secondo nome!» Lei aggrotta la fronte e alza gli occhi al cielo. Ho come l'impressione di non averla impressionata. «… e immagino che Poco sia il tuo primo nome!» Mi risponde con arguzia e un pelo, giusto un pelino, di sarcasmo. Me lo sono meritato. Così me ne vado nascondendo la coda tra le gambe.
Poco pericolo insomma nei parchi acrobatici di Stoccolma ma tanto divertimento.
 
---
Ecco il link all’articolo su Italienaren - Il lavoratore:
https://italienaren.org/parchi-acrobatici/

venerdì 22 settembre 2023

ITALIENAREN – Falso allarme

Stop. Fermi tutti. Calma. Non ci sarà nessun blocco della metropolitana tra T-Centralen e Slussen[1] come era stato annunciato qualche giorno fa. Nessun terrorismo psicologico. Chiedo scusa. Spero mi darete la possibilità di fare pace, proprio come hanno fatto il comune e la regione di Stoccolma scongiurando il cataclisma che avevo esageratamente paventato pochi giorni fa.
Falso allarme dunque. Niente tragedia greca.
Come quando ti fa tanto male la pancia e ti scappa la cacca, corri disperatamente in cerca di un bagno, lo trovi, ti sembra di scoppiare, ti cali i pantaloni ma scopri che era solo un'innocua scoreggina (non tanto innocua a dire la verità).
Come quando vi guardate intensamente negli occhi e con voce rotta vi convincete di essere incinta (in alcuni casi vi disperate, in altri saltate dalla gioia), ma alla fine era solo un ritardo nel ciclo.
Come quando è mezzanotte e mezza al pranzo di matrimonio di tuo cugino Mario, ti servono un sorbetto al limone ed esulti perché credi che sia finita, ma è solo una pausa per sciacquare la bocca tra i dodici primi piatti e i nove secondi piatti (poi ci saranno i dolci ovviamente).
Come quando i Troiani temevano un attacco letale da parte dei Greci, si erano assediati armati fino ai denti dietro le mure di casa, ma poi per fortuna a bussare al portone non era l'esercito ma solo un bel regalo a forma di cavallo gigante corredato da un biglietto di scuse… ops!
Come quando hai finito l'esame più importante della tua vita, sei soddisfatto, hai risposto a tutte le domande in maniera egregia, ti pavoneggi per avere pure risparmiato quindici minuti, ma giri il foglio e ti accorgi che c'era anche il retro da risolvere.
Come quando i tuoi figli si sono addormentati dopo che hai letto loro cinque libri e raccontato quindici favole a lieto fine, li senti ronfare e molto delicatamente ti allontani come un ladro che ha rubato tutte le caramelle, ma loro spalancano gli occhi vispissimi e chiedono senza pietà un'altra storiella.
Come quando si accende lo speaker di Trenitalia in stazione, balzi in piedi trepidante, sei speranzoso che annunci l'arrivo al binario due dopo che ha già accumulato venti minuti di ritardo, ti allontani dalla linea gialla in maniera preventiva, ma la voce robotica aggiunge ulteriori venti minuti d'attesa.
Come quando… va bene, basta. Mi sono spiegato. Falso allarme.
Non bisogna però cantar vittoria troppo in fretta. Infatti, anche se il blocco tra T-Centralen e Slussen è stato tolto, alcuni disagi come ritardi e treni cancellati rimarranno, quantomeno per la giornata di venerdì. Non ho ancora capito dov'è la novità.
 
---
Ecco il link all’articolo su Italienaren - Il lavoratore:
https://italienaren.org/falso-allarme/


[1] https://sl.se/aktuellt/nyheter/avstangning-avbruten/

mercoledì 20 settembre 2023

ITALIENAREN – Stop

Chiudo gli occhi e inspiro.
Stop. Non ce la posso fare. Ho appena letto una notizia devastante e solo dopo qualche secondo ne ho realizzato le potenziali conseguenze. Brutta notizia per me… e per molti altri come me.
Ho ancora gli occhi chiusi e la mia fantasia comincia come sempre a farmi brutti scherzi. Immagino i ritardi dei treni. Mi vedo invecchiare seduto alla panchina della banchina mentre la vita mi scorre a fianco e i figli dei miei figli vanno avanti per la loro strada mentre io sono ancora alla fermata. Non mi è difficile pensare a tutte le persone come me che iniziano una lotta all'ultimo sangue per i pochi posti rimasti nel vagone. Corriamo come soldati scozzesi comandati da William Wallace nella battaglia di Falkirk, dove è importante ricordare che furono quasi tutti sterminati. Mi visualizzo tra i fortunati passeggeri sopravvissuti, schiantato contro un muro di altri passeggeri infastiditi e sudati. Siamo pressati come aringhe in una scatola di latta di surströmming. La puzza che ne viene fuori è purtroppo la stessa. Mi sento addosso i microbi di tutti, soprattutto di quello che mi ha appena starnutito in faccia il suo raffreddore e di quello che non fa altro che tossire come un motorino ingolfato da più di dieci minuti. Infine mi osservo da lontano tra la cordata di disperati che camminano da T-Centralen verso sud. Siamo come schiavi egiziani che trasportano pesanti pietre di gesso cubiche per la costruzione non delle piramidi ma della nuova dannatissima chiusa di Slussen.
Finalmente arriviamo alla fermata successiva e all'improvviso comincia a fare caldo. Troppo caldo per essere fine settembre. Non è normale. Il cielo si tinge di rosso, la terra brucia, l'asfalto si scioglie e dalle viscere emergono le fiamme dell'inferno. Una voce dall'altoparlante della metropolitana ci invita a salire sul vagone che ci porterà a destinazione senza bloccare le porte. Lo speaker informa che non tutti ce la faranno. Suona sinistramente come la voce di Satana mascherata da quella di un dipendente della SL, la ditta dei trasporti stoccolmese. L'allarme delle porte automatiche fischia e quest'ultime si chiudono alle mie spalle.
A quel punto mi risveglio dall'incubo. Sto bene. Non è stato niente di così grave a dire il vero. È solo il disagio che immagino avverrà prossimamente tra venerdì e lunedì, quando bloccheranno la tratta della metro tra T-Centralen e Slussen[1]. Problemi da Primo Mondo, niente di più per fortuna. E così finalmente espiro. Avevo trattenuto il fiato per tutto il tempo senza rendermene conto. Normale che il cervello non avesse abbastanza ossigeno per ragionare correttamente.
Inspiro ed espiro di nuovo. Più lentamente. Mi aiuta a calmarmi ed essere più consapevole del problema e più attento alle possibili soluzioni. Apro gli occhi e ora ci vedo chiaro.
Potrei lavorare da casa ma non mi è concesso perché devo essere al lavoro per fare terapia ai miei pazienti.
Potrei usare la macchina ma sarebbe un errore madornale pensando al traffico che sicuramente si creerà in quei giorni. Lì sì che farei davvero esperienza dei gironi infernali danteschi.
Potrei prendere il bus numero quattro per quasi tutta la tratta e aggirare lo stop ma è un percorso troppo lento e non lo consiglierei nemmeno al mio peggior nemico.
Potrei dirottare per un breve pezzo sul pendeltåg, il treno dei pendolari di Stoccolma, ma mi scappa una risata sarcastica per aver solo pensato a questa soluzione in quanto i suoi problemi e ritardi sono risaputi come le scappatelle del re.
Ci penso e ci ripenso… giusto: ci sono. Ho la bicicletta. Sono "solo" 10 chilometri, ma di tutta salute ed esercizio fisico. Non mi fanno paura. In fondo li ho fatti per venti mesi durante la pandemia, anche durante tempeste di neve invernali e piogge torrenziali.
Prendo dunque il casco, mi vesto sportivamente per stare più comodo, infilo i guanti perché ormai fa freddino, scendo in garage e sono pronto. La bici però non lo è: la gomma infatti è a terra. Stop anche qui.
Alzo gli occhi al cielo scoraggiato e penso: quando parte il prossimo pendeltåg? Devo essere proprio disperato.
 
---
Ecco il link all’articolo su Italienaren - Il lavoratore:
https://italienaren.org/stop/