mercoledì 24 maggio 2023

RACCONTI – La leggenda

Dopo un viaggio in metro, un cambio in autobus e una breve fila arrivo finalmente ai piedi di questa imponente e maestosa invenzione dell'ingegno umano. Lunga circa 170 metri e alta 60, svetta leggera sul filo dell'acqua nonostante sia fatta d'acciaio e pesi circa 63 mila tonnellate. Con la sua chiglia rossa, prua protesa in avanti e poppa sinuosa e accogliente ospiterà me e la mia famiglia per le prossime due notti di traversata del mar baltico alla velocità di crociera di 21 nodi.
— Ah… che bella la trombonave!
Pensavo di averlo solo pensato e invece credo di averlo detto a voce alta e con un sorriso ebete in faccia.
— Guarda che ho le mie cose! — mia moglie mi fa notare questo particolare e poi affonda — E poi ci sono anche i bambini.
— Love boat, allora? Così evitiamo troppe spiegazioni.
Lei scuote la testa. Non importa. Io sono comunque felice di salire a bordo canticchiando "Mare profumo di mare… con l'amore io voglio giocare…" Il capitano mi guarda male. Per fortuna che parla finlandese e che (forse) non capisce l'italiano.
L'antica leggenda narra che le navi da crociera delle tratte di linea tra Stoccolma e le città finlandesi di Turku e Helsinki della compagnia Viking Line offrano costi contenuti per viaggio e pernottamento, alcol a profusione facilmente acquistabile nel negozio duty free a bordo, discoteche incluse nel prezzo e soprattutto la presenza di belle gnocche bionde e disinibite. Il mito delle Viking Line è un Valhalla dedicato al libertinismo sessuale e al divertimento sfrenato.
Tutto molto bello.
Se solo fosse vero.
Avevo già constatato quindici anni fa, da poco trasferito in Svezia, che questa idilliaca descrizione della trombonave era un'esagerazione. Durante questo viaggio ho potuto confermare.
 
MITO 1: i costi bassi. La crociera della Viking Line è un'ottima opportunità per viaggiare in modo più ecologico rispetto all'aereo e permette di visitare una piacevole città nordica senza spendere per ulteriori hotel. La cabina ha un costo ragionevole ma bisogna stare attenti a non scendere nei ponti più bassi se non si vuole avere la stessa sensazione di dormire con qualcuno che russa come il motore di una nave da crociera e che nessuna ciabatta lanciata in faccia può fermare. Inoltre è meglio evitare anche cabine situate sotto i ponti più alti, dove c'è la sala ballo per evitare musica a palla fino a tarda notte. Io comunque ho scelto bene e mi sono pure addormentato con un sorriso al pensiero paradossale che, essendo in barca e nonostante il letto fosse confortevole, questa notte ho dormito sotto a un ponte.
Se dunque il prezzo del pernottamento è abbordabile, non lo è quello del cibo e dell'alcol. Una volta i prezzi erano bassi, ma la pandemia deve averli colpiti duramente perché ora i ristoranti hanno qualità da chioschetto da strada, scelte limitate e prezzi esagerati. Inoltre il negozio Tax Free a bordo è molto Tax e poco Free.
 
MITO 2. Divertimento sfrenato… per i bambini forse. Si potrebbe definire più accuratamente come divertimento non sfrenato ma limitato. I vari bar e ristoranti offrono anche alcuni concertini piacevoli, ma le sale da ballo sono sotto il controllo di marpioni sessantenni che cercano di abbordarti (nella maggioranza dei casi se sei una donna) o attaccarti un pippone su quanto sia meravigliosa l'Italia (se sei un uomo e nel malaugurato caso siano riusciti a capire che vieni dal Belpaese). Gli unici modi per non essere infastiditi sono dotarsi di un partner preferibilmente geloso, territoriale e aggressivo o aver bevuto talmente tanto da essere diventati voi il marpione sessantenne. Però siete saliti sulla Viking Line attratti dal mito e quindi non avete un partner fisso con voi e ormai gli alcolici costano un rene.
I bambini comunque si divertono. Ci sono sale coi videogiochi, salette con piscina di palline, castello, scivoli e film Disney riprodotti in ripetizione… purtroppo in lingua finlandese. Se questo non dovesse bastare il pupazzo Ville Viking, un gatto bianco che non fa le fusa, compare all'improvviso a metà crociera per allietare e spaventare allo stesso tempo i bimbi che gli si avvicinano. Quantomeno i miei figli reagiscono in questo modo ambivalente.
 
MITO 3: si tromba. Credevo di averlo già spiegato all'inizio, ma meglio chiarirlo un'altra volta. Sulle navi da crociera non si tromba… almeno non io, almeno non questa volta.

giovedì 18 maggio 2023

RACCONTI – Il pugile

Aiuto! Aiuto! È scappato!
Un pugile è a piede libero in città. Non è certo una novità. Il pugile in questione è latitante da una vita. Trova rifugio ovunque gli capiti, ma ha una particolare predilezione per i luoghi più inaspettati. Si nasconde infatti infimo dietro gli angoli dei palazzi, dietro il sedile di una metro, dentro un vecchio collega di lavoro, tra la leva del cambio e il volante della macchina o sotto il cuscino della camera da letto. Anche le sue tempistiche sono impressionanti. Ha una rapidità di movimenti e un’abilità nel gioco di piedi tale da far perdere facilmente le sue tracce. Compare all’improvviso, colpisce e poi scopare altrettanto velocemente. Controlli sotto al letto e lui non c’è, guardi di nuovo un secondo dopo e il pugile è lì pronto a colpirti. Ti godi un libro interessante e fino a pagina 154 non s’è mai visto, ma ne giri una pagina in più e lui è pronto a massacrarti.
La settimana scorsa, per esempio, stavo camminando nell’aria fresca della pausa pranzo fiutando come un segugio i pochi raggi di sole che la giornata invernale offriva, credevo di essere in pace col mondo, di non aver fatto nulla di male e stavo solo pensando al mio lavoro, ma il pugile è spuntato fuori da un cespuglio e mi ha rifilato un destro in piena faccia. Mi ha fatto un male cane. Non ho fatto in tempo a vedere dove fosse scappato perché sono rimasto inginocchiato a terra per qualche minuto massaggiandomi la mandibola.
Un altro giorno ero nel salotto di casa e osservavo compiaciuto una foto dei miei figli di qualche anno fa. Sembrava un momento bello, un attimo di gioia, invece chi è spuntato da dietro lo scaffale della libreria? Sì, proprio lui, sto cazzo di pugile. Ero in pigiama e pantofole, con gli stessi tempi di reazione di Internet Explorer con più di due finestre aperte, e così un jab di sinistro e un gancio col destro mi hanno scaraventato sul divano. E da lì chi si muove più. Lui intanto è fuggito dal buco della serratura della porta d’ingresso.
Ieri stavo fissando nostalgico il mare all’orizzonte pensando alle ultime vacanze estive ormai lontane e, nonostante non ci fossero muretti, cespugli o buche dove potersi nascondere, lui è apparso dal nulla. Questa volta un po’ me l’aspettavo, così mi sono messo in guardia e ho schivato il suo colpo abbassandomi. Compiaciuto della mia mossa ho abbassato le difese, lui ne ha approfittato e prima mi ha mollato un potente uppercut che mi ha alzato dal suolo e poi mi ha finito con una serie di colpi rapidi alle reni e allo stomaco, lasciandomi senza fiato ma con tante, troppe parole in testa.
Nonostante lui abbia calzoncini corti, cinturone dorato del campione, scarpine scattanti, guantoni rossi da Rocky Balboa, fisico scolpito, e nonostante il dolore sia reale, c’è qualcosa di strano in questo pugile: lui non tira mai veramente pugni. Sarebbe più facile subire i suoi cazzotti, perdere qualche dente, rompersi il naso per poi riposare e recuperare le energie. Invece no, lui è più infimo. Lui è più cattivo. Invece dei pugni il pugile fuggitivo usa le parole. Quelle che non si percepiscono con le orecchie ma che quando arrivano si fanno sentire. Sono le parole che dico e sento solo io. Sono i miei pensieri.
Combatto col pugile da anni. Come fanno tutti, d’altronde. Non sono solo. A volte lo sfioro soltanto, altre volte lo faccio sanguinare un po’. Spesso mi distrugge. Ogni tanto mi salva la campanella di fine round perché mi distraggo col lavoro, la famiglia o gli amici. Quando mi va bene mi rannicchio all’angolo del ring, sotto lo sgabello, e sparisco gradualmente riuscendo ad addormentarmi.
Qualsiasi iniziativa prenda, però, la sfida con questo maledetto pugile resta sempre impari perché il rischio di andare K.O. per me è sempre alto, per lui inesistente. Perché non contano i punti che metto a segno, i danni che gli infliggo o i round che porto a casa, lui torna sempre più in forma di prima. Quindi è inutile lottare e spingerlo via quando ti chiude all’angolo. La mossa migliore è lasciarlo colpire a vuoto, incassare con ironia qualche colpo e ignorarlo finché lui si stufa e ti lascia in pace… ma ovviamente solo fino al prossimo match.

martedì 9 maggio 2023

ITALIENAREN – Intervista a Ingela Lundh

È una bellissima giornata di sole in aprile a Stoccolma. Ingela mi aspetta seduta ai tavoli all'aperto del ristorante e si gode il magnifico panorama della città. Il cielo è terso, si sta bene anche se tira un po' di vento. Ci guardiamo e consideriamo l'idea di mangiare fuori. Lei è svedese e io vivo qui da quasi 16 anni, quindi sono praticamente diventato un vichingo anch'io. Dopo cinque minuti iniziamo l'intervista… all'interno del locale.
    Ingela ha fatto talmente tante cose durante la sua carriera professionale che è difficile scegliere da dove cominciare. Ha fatto l'attrice di teatro in svedese, inglese e italiano, ha recitato in film per il cinema e per la tv (premiata anche come migliore attrice non protagonista al Madrid International Film Festival), ha prestato la sua voce a videogiochi e pubblicità, ha lavorato come voice coach per compagnie teatrali (recentemente con "Sweeney Todd" e "En midsommarnattsdröm" di Britten alla Kungliga Operan di Stoccolma) e per aziende di management consulting. Prima di incontrarla ho ripassato il suo curriculum sul suo sito[1] e mi è venuto il capogiro. Tutto questo talento mi lascia senza parole.
    — Quando penso alle mie carriere, — Ingela mi salva dall'impasse con un'interessante metafora in un italiano perfetto — le immagino come fossero due cappelli: uno è quello che indosso quando faccio l'attrice, l'altro è quello che porto come voice coach.
    — Perché hai scelto di fare l'attrice?
    — Non c'è un momento specifico della mia vita nel quale ho scelto di fare l'attrice. È qualcosa che ho sempre avuto dentro di me. Fin da bambina giocavo a far finta di essere in televisione, parlavo e recitavo con la lampada in faccia creando i miei monologhi e dialoghi immaginari. Le influenze della mia famiglia mi hanno anche aiutato molto. Da una parte i miei genitori mi hanno dato una mente organizzata e mi hanno fatto rimanere con i piedi per terra. Dall'altra le connessioni con il mondo dello spettacolo del resto della mia famiglia hanno alimentato la mia sete di arte: mia zia infatti faceva la ballerina, mio zio il violinista e due delle mie cugine ora sono diventate una cantante lirica e l'altra una regista teatrale. Sono molto grata di entrambi questi influssi.
    — Come si è evoluta la tua carriera nel corso degli anni?
    — Ho studiato e lavorato molto all'estero, soprattutto a Londra. La mia esperienza inglese, che è ancora viva, mi ha formato moltissimo sia come professionista sia come persona, ma non è facile inserirsi nel panorama artistico svedese per chi non ha studiato alla Teaterhögskolan. Dopo qualche progetto andato in porto nella seconda metà degli anni 2000 al Dramaten di Stoccolma, a sorpresa le mie opportunità sembravano svanite. Negli ultimi cinque anni però ho visto il frutto di quello che ho seminato nel tempo e la mia carriera ha avuto una svolta positiva. Un po' alla volta infatti mi sono ritagliata sempre più spazio in diversi lavori e progetti svedesi e internazionali.
    — Qual è stata la svolta?
    — Principalmente due cose. Una è stata la grande influenza della mia insegnante londinese Patsy Rodenburg, vocal coach del National Theater, dalla quale ho imparato molto come attrice e come insegnante. Grazie a lei ho acquistato molta fiducia in me stessa e questo mi ha permesso di essere più consapevole dei miei pregi e anche dei miei difetti. L'altra svolta è avvenuta dieci anni fa quando ho deciso di indossare anche l'altro cappello, cioè la scelta di lavorare anche come voice coach. Questo mi ha aperto strade anche al di fuori del mondo dello spettacolo, per esempio come gestione della voce per manager che mi ha permesso di lavorare in tutto il mondo.
    — Ma senti… — sono affascinato dal suo percorso ed esito un istante prima di farle questa domanda — dubbi ne hai mai avuti?
    — Certo, sempre avuti. — tiro un sospiro di sollievo al pensiero che anche Ingela è umana, poi lei continua — Ogni giorno, sia sulla scelta della carriera artistica sia sulle mie capacità attoriali e pedagogiche. Penso che i dubbi siano inevitabili ma allo stesso costruttivi perché che mi spingono fuori dalla mia comfort zone, mi aiutano a cercare quello che voglio veramente e a migliorarmi senza pensare mai di essere arrivata. Sono i dubbi che mi portano a scegliere questa carriera ogni giorno. Strano a dirsi, ma i dubbi servono.
    — Posso portarteli via?
No, non è una mia domanda, è la cameriera che chiede se abbiamo finito di mangiare, ci porta via i piatti e ci regala un momento di riflessione durante l'intervista.
    — Dunque tu sei nata in Svezia, hai studiato e lavorato in Inghilterra per molti anni e hai anche vissuto un anno in Italia a Modena, giusto? Quali differenze hai notato nel fare e vivere la cultura in questi tre paesi?
    — Per me Stoccolma è casa, Londra è il cervello e l'Italia… — sorride mentre si prende una pausa scenica — eh, l'Italia sono le viscere. Questo è un po' lo specchio delle differenze culturali che io ho percepito tra questi paesi. La Svezia è un paese piccolo, forse un po' chiuso e con la paura di perdere il controllo, ma con una caratteristica che apprezzo molto: non c'è la paura del silenzio. Gli inglesi invece sono più cerebrali e tutto è basato sullo humor, la battuta pronta e il doppio senso… a volte questo può essere soffocante. In Italia c'è più ospitalità e più generosità ma anche più disorganizzazione. Tutto questo ovviamente si manifesta nel modo di comunicare e di fare cultura in questi tre paesi.
    — Quindi, se la stessa compagnia teatrale dovesse mettere in piedi lo stesso spettacolo in questi tre paesi, che cosa dovrebbe aspettarsi dal pubblico?
    — Il pubblico svedese è più silenzioso, più educato e più attendista. Non vuole perdersi una parola o una sfumatura dello spettacolo. Si scalda col tempo: all'inizio è un po' freddo ma alla fine dà molte soddisfazioni se ha apprezzato lo spettacolo. Il pubblico inglese invece reagisce di più, partecipa di più ed è più esigente. Sembra quasi che voglia essere un passo in avanti rispetto al testo. Il pubblico italiano è spesso più rumoroso e più caloroso. Questo ovviamente trasmette molta energia all'attore che recita ed è una sensazione meravigliosa.
    — Verissimo. L'ho provato anch'io sul palco, visto che siamo quasi colleghi. — e prima che mi trafigga anche con il coltello che tiene in mano e non solo amichevolmente con lo sguardo per l'azzardo della mia ultima affermazione, cambio discorso — Ho come la sensazione che staresti ore a parlare di cultura e di teatro. Purtroppo però devo "Marzullizzarmi" e concludere l'intervista.
Ingela mi guarda un po' smarrita. Probabilmente non conosce Gigi Marzullo. Io le spiego e chiarisco:
    — Si faccia una domanda e si dia una risposta.
    — Hm… qual è il mio obiettivo nei prossimi due o tre anni? — ci ha pensato un po' ma poi sorride e ci prende gusto — Tre cose: trovare un ruolo in una produzione internazionale, preferibilmente un ruolo comico, lavorare a teatro o all'opera come voice coach e… comprare una casa in Italia per le vacanze.
Ingela ha le idee chiare. Beve l'ultimo sorso di caffè dalla tazza e gli occhi vanno al futuro, oltre la finestra del ristorante. È uno sguardo fiero e deciso. Sono sicuro che con il suo bagaglio culturale e professionale e con la sua determinazione raggiungerà questi e anche altri splendidi obiettivi.
 
Ecco il link all’articolo su Italienaren - Il lavoratore:
https://www.italienaren.org/intervista-a-ingela-lundh/


[1] https://ingelalundh.com


giovedì 4 maggio 2023

ITALIENAREN – Godis

I godis sono il male.
È quasi una contraddizione visto che in svedese la parola "godis", abbreviazione di "godsaker", in italiano vuol dire cose buone. I godis sono qualsiasi tipo di caramella, cioccolatino o dolcetto di piccole dimensioni che presenta una grossa quantità di zucchero al suo interno. Io credo che siano il male perché causano carie ai denti, sono dannosi per lo stomaco, rompono l'appetito e creano dipendenza fisica e psicologica. Sono talmente malvagi da avere causato uno scandalo politico a metà degli anni '90 in Svezia (ricordate il Toblerone?) e la parola "godis" viene anche usata per definire promesse politiche troppo generose e quindi molto probabilmente non mantenibili. Inoltre alcuni dolcetti non sono neanche così buoni. Pensate, per esempio, alle caramelle al gusto mela verde o ananas… bleah! Mi vengono i brividi solo a nominarle. Poi per molti palati italici non ancora adattati al gusto nordico anche le liquirizie salate (al salmiak o cloruro d'ammonio) potrebbero rientrare in questa categoria, ma la discussione a riguardo richiede un dibattito troppo lungo per essere sviscerato in questo racconto. Vi basti sapere che per qualche masochistico motivo a me piacciono.
I godis non influenzano solo la salute delle persone ma anche i giorni della settimana. In Svezia, infatti, il sabato è fortemente legato, almeno per i bambini, minorenni o maggiorenni che siano, al lördagsgodis. Il concetto si basa sul principio secondo il quale, per la prevenzione delle carie, i genitori preferiscono dare molte caramelle ai propri figli in un giorno solo (sabato appunto) piuttosto che distribuirle lungo tutto l'arco della settimana. Lördagsgodis è in uso nel vocabolario svedese sin dal 1957 ed è un metodo tutt'ora utilizzato, nonostante alcune critiche sulla sua efficacia dato che sembra sia la quantità di zuccheri e non la frequenza di utilizzo che porti a più carie.
Il consumo di godis in Svezia è tuttavia lo stesso molto diffuso grazie anche alla facile reperibilità del prodotto. Si possono infatti acquistare ovunque, soprattutto nei supermercati con scaffali, settori e corsie intere dedicate solo alle caramelle sciolte (lösgodis). L'utente le può prendere da solo con una paletta e un sacchetto essendo apertamente esposte per tentare il pubblico. Io ammetto infatti di aver più volte ceduto e di aver rub… hm, preso in prestito alcune caramelle, come campione prova per saggiarne il gusto prima dell'eventuale acquisto che poi avviene in cassa basandosi sul prezzo fisso al chilo. Robe da far crepare d'invidia Hansel e Gretel e di diabete tutti gli adulti che leggono i fratelli Grimm.
I godis dunque sono il male e io, molto modestamente, suggerirei un cambio di nome in "Ondis" (dallo svedese "ond" che significa cattivo, malvagio).
Io e la mia famiglia, infatti, abbiamo detto basta a questa porcheria e da qualche anno a questa parte abbiamo deciso di comprare per spuntino solo frutta di stagione, yogurt e al massimo frutta secca per noi e i nostri figli. Fate come noi e ponete fine alle angherie dei godis.
 
Più tardi al supermercato.
— Allora, Roberto, cosa compriamo? Gli orsetti di gomma o i ciucci frizzanti alla coca cola?
— Hmm… fai tutti e due, va'.
— Ah-ah-ah… come sempre allora!
 
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Ecco il link all’articolo su Italienaren - Il lavoratore:
https://italienaren.org/godis/