giovedì 30 settembre 2021

RACCONTI – La chiamata

— Ci siete? Mi sentite?
No, non è una seduta spiritica. È una videochiamata su Whatsapp. Da una parte del filo ci sono io, mia moglie e miei due figli in Svezia e dall’altra parte i miei genitori in Italia.
— Ciao mamma! Mi vedi?
Non ho risposta.
Passano un paio di secondi. Nessuna risposta.
In quei due lunghissimi secondi c’è di tutto. Passo con una facilità imbarazzante dalla gioia di rivedere i miei genitori al senso di colpa per tener loro lontani i nipotini. Dalla speranza che i miei figli si avvicinino a fare un saluto alla tristezza perché i miei genitori non sono qui con noi… o meglio perché noi non siamo lì con loro. Il creatore del cartone animato Inside Out sarebbe impazzito se avesse potuto guardare dentro il mio cervello in quel momento.
Non faccio in tempo a riprendermi che succede l’inevitabile con le comunicazioni a distanza. Il video si blocca. Giusto, mancava la rabbia a completare il quadretto e dentro di me vorrei lanciare il cellulare talmente lontano da raggiungere i miei genitori in Friuli.
Si sente abbastanza bene ma non si vede più niente. Mia madre parla a voce più alta per compensare. Lei crede che sia un metodo infallibile per sconfiggere la tecnologia moderna. La assecondo e alzo la voce anch’io. Intanto la scritta sullo schermo mi informa, molto gentilmente e con discrezione devo dire, che il video è andato in pausa.
Ma che vuol dire? In pausa? È stanco? Ha bisogno di riposare prima di continuare la chiamata? Ha chiamato i sindacati e ora è in sciopero perché l’ho usato troppo?
Do qualche colpo al cellulare da bravo (quasi) quarantenne nostalgico che si ricorda ancora come si trattavano i computer negli anni novanta. Il video riprende. Ottimo. Il vecchio classico metodo funziona ancora. Mi sento più saggio.
Mia madre comincia a parlare a macchinetta per dirmi tutto quello che mi aveva già detto prima quando il video non funzionava. Inutile spiegarle che il problema non era l’audio. Dopo questa inutile ripetizione di informazioni sulle vicissitudini di tutto il parentado, mia mamma si congratula e applaude le mie straordinarie capacità di risoluzione dei problemi. Mi fa sentire di nuovo quel ragazzino che ha appena imparato ad allacciarsi le scarpe… a strappo col velcro. Mia madre mi sorride e dai gesti capisco che sta tessendo le mie lodi. È felice. Lo sarei anche io se potessi sentirla. L’audio infatti è sparito. Potrei allenarmi a leggere il labiale se solo mia madre tenesse la telecamera del cellulare puntata sulla sua faccia e non alternativamente sul soffitto o sul pavimento. Sto per dare un altro colpo al telefono ma l’apparecchio si accorge delle mie intenzioni e si ravvede. L’audio riparte, ma ora va a velocità quadruplicata per recuperare tutto quello che mi sono perso. Nel frattempo mia madre continua a parlare muovendo le labbra. Per un istante ho l’impressione che il video stia mostrando le immagini di mia madre che pronuncia parole ancora non dette. Ho una strana sensazione. Una specie di déjà-vu al contrario.
È un cellulare o una macchina del tempo?
Che strazio. E io che volevo solo far vedere i bambini ai miei genitori. Mostrar loro come sono cresciuti e costringere i bambini a parlare un po’ in italiano dato che con me e mia moglie italiana lo parlano con la stessa intensità e frequenza di una medicina amara che esce da un contagocce intasato. Dove abbiamo sbagliato? Piango dentro di me, mentre mi sposto in salotto alla ricerca di quei due birbanti di tre e cinque anni. I bimbi però sono rapiti dagli alieni… hm, dalla televisione. Che poi è un po’ la stessa cosa se ci pensi. Almeno così credevo quando guardavo i Visitors in televisione, cagandomi addosso dalla paura.
In sostanza è impossibile attirare l’attenzione dei bambini verso la videochiamata. Inutili le richieste di mia madre di mandarle un bacio. I bambini sono completamente assorbiti dai cartoni animati. Quando sto per perdere la speranza e chiudere la videochiamata, i bambini si girano verso il cellulare e incredibilmente salutano e parlano con i miei genitori. Con un certo fastidio raccontano pure quello che hanno fatto oggi a scuola.
Che è successo? Un miracolo? Lo schermo ha iniziato a sanguinare dagli occhi?
No, mia moglie ha spento la televisione e minacciato i bambini di togliere loro i cartoni per i prossimi quindici giorni se non parlano al telefono con i nonni. Tutto con la sola forza dello sguardo (forse ho capito chi sia la vera aliena qua dentro).
La conversazione non dura molto. Niente illusioni. Non appena i cartoni ripartono i bambini ricominciano a guardare la televisione e io continuo ad avere problemi di connessione. Sia con i miei figli rapiti dal tubo catodico, sia con i miei genitori persi dall’altro lato della filo.
Provo a raccontare cosa mi è successo al lavoro, ma loro non mi sentono. Lo ripeto almeno cinque o sei volte, usando sinonimi, parafrasi e pure endecasillabi sciolti, ma loro mi sentono a singhiozzo. Impreco.
— Non dire quelle brutte parole!
Ah questo l’hanno sentito bene… ma è l’antenna di Radio Maria che interferisce a intermittenza selettiva la chiamata e mi punisce per non essere un bravo cattolico?
Provo tutte le stanze della casa. Niente. Non c’è campo. Non c’è scampo. Le parole vanno ancora a scatti. Ricomporre le frasi che stanno dicendo i miei genitori è impossibile come terminare un puzzle raffigurante una litografia di M.C. Escher. Nel disperato tentativo di riprendere la linea mi metto in piedi su una gamba sola sullo sgabello dell’ingresso. Sporgo il braccio verso il router e con la mano cerco l’angolo giusto dove so che prende meglio.
Non funziona neanche così. Purtroppo non è la prima volta che mi succede. Dovrò parlarne con la compagnia telefonica.
Dopo aver ripetutamente rischiato di perdere l’equilibrio fisico e mentale, mi arrendo.
— Mamma, papà… ci sentiamo un altro giorno!
Per un attimo c’è silenzio, anche se in sottofondo mi sembra di sentire una risata satanica provenire dai microchip del cellulare. Il telefono ha vinto.
— No, aspetta!
È mio padre che si ravvede.
— Ora usciamo.
Usciamo? Da dove? Dagli inferi?
Poi mi spiegano. E sono io a rimanere in silenzio. Incredulo.
I miei genitori sono a casa di amici. In una cantina. Nel seminterrato. Una specie di bunker antiatomico insomma.
Mi viene una gran voglia di rinchiuderli là dentro.

martedì 28 settembre 2021

PUBBLICAZIONI – Alla scoperta dell’acqua calda



Pubblicato nel 2020, “Alla scoperta dell’acqua calda” è un romanzo basato su un’avventura distopica fantastica che mette in evidenza con un tocco d’ironia quanto sia importante usare senso critico nel leggere la scienza e differenziarla dalle notizie infondate e dannose per la società. L’idea nasce dalle mie esperienze dirette e indirette nel mondo accademico e dall’ispirazione tratta dai sarcastici premi IgNobel che onorano la ricerca improbabile e in qualche modo divertente.
 
Il libro purtroppo non ha avuto presentazioni letterarie dal vivo a causa della pandemia da Covid-19 che ha limitato gli eventi pubblici e mi ha tenuto per quasi due anni lontano dall’Italia. Sono stati però realizzati due video trailer (versione ufficiale e versione ironica in linea con il tono del romanzo). Inoltre, al romanzo “Alla scoperta dell’acqua calda” sono state dedicate recensioni molto positive da alcuni blog letterari (Chicchi di pensieriAncora un altro libro, Lunatica’s book, Il bistrot dei libri, Le mie ossessioni librose) e interviste all’autore (Il lavoratore).
 
Quarta di copertina
Che cosa ci fanno alcuni scienziati imprigionati in una remota isola del Pacifico? Per scoprirlo dobbiamo fare un salto in un ipotetico futuro dove la ricerca che non porta vantaggi per la società è punita con l’incarcerazione. Il protagonista Fleming, con l’aiuto di Einstein, Pascal, Copernico e Kelvin, mette in atto un piano rocambolesco per salvare la comunità scientifica dell’isola e intraprende un viaggio alla ricerca della propria identità per scoprire se la prigione sia quella sull’isola o quella dentro sé stesso.
Grazie alla metafora di un’avventura distopica, questo romanzo vuole far riflettere sull’importanza di saper leggere criticamente la scienza e di stimolare le persone a capire la differenza tra ricerca utile e notizie infondate.


“Alla scoperta dell’acqua calda” si può acquistare nei seguenti formati:
- cartaceo: su Amazon;
- e-book: su AmazonKoboGoogle Books o nello shop on-line dell’autore e regista Alex Cantarelli.

venerdì 24 settembre 2021

RACCONTI – L’impresa

Sono partito dall’Italia più di 14 anni fa con pochi oggetti personali, una valigia, neanche tanto grande, e tanti sogni, alcuni realizzati e altri no. Oggi mi ritrovo davanti alla cantina di casa mia a Stoccolma con un matrimonio, due bambini e duemilatrecentoventicinque oggetti vari sul groppone (tranquilli, moglie e figli non sono rinchiusi in cantina, sono sani e salvi a casa). Sì, proprio così: 2325 oggetti. Li ho contati, uno a uno. Ma come cazzo è successo?
Cerchiamo di riordinare le idee. Premetto che io non ho nessun squilibrio mentale. Che sia chiaro: non sono matto. Non ho nessun disturbo psichiatrico. Neanche quello dove accumuli compulsivamente e patologicamente oggetti e beni materiali, anche se inutili o dannosi, senza riuscire mai a liberartene. Hoarding si chiama in inglese. Almeno così mi ha spiegato quel signore in camice bianco che mi prescrive Xanax ogni mese.
Dopo le idee passiamo a riordinare la mia cantina. Già, perché devo vincere una sfida epica. Una delle sfide più dure che l’umanità debba affrontare: il trasloco! Terrore e stridore di denti. Chiedo gentilmente alla regia di enfatizzare il momento con la giusta colonna sonora. Musiche tratte dai film di Alfred Hitchcock o di Dario Argento dovrebbero andare bene, grazie.
Prima del trasloco bisogna svuotare la cantina. Così ora sono di fronte a questa invalicabile muraglia cinese, questo mastodontico Pirellone, questo blocco di Tetris dove anche se allinei alla perfezione le scatole sul pavimento non spariscono come nel gioco. Osservo il mio nemico con le mie belle bustone IKEA, cinque blu e una gialla (quella che non dovresti portare via dal negozio ma che sono riuscito a intascarmi qualche anno fa). Lo so, sono una brutta persona. In Svezia il furto della busta gialla è un’azione moralmente molto deplorevole… più spregevole di non fare la raccolta differenziata e seconda solo al preferire una BMW a una Volvo.
Basta con le ciance. È ora di passare all’azione. Mi metto l’elmetto (quello della bici… si fa con quello che passa il convento) e mi getto a capofitto sugli scatoloni. Comincio a tirare fuori cose da tutte le parti: vecchi vestiti dei bambini, vestiti di mia moglie, vestiti miei, vecchi vestiti dei bambini (l’ho già scritto, lo so, ma sono talmente tanti che mi sembrava giusto ripeterlo almeno due volte per rendere loro giustizia). Per un secondo mi fermo, riflettendo sul fatto che potremmo aprire un negozio di H&M senza problemi. Poi ricomincio a scavare. Trovo scatole vuote di elettrodomestici che abbiamo in casa da anni (potrebbero essere utili se un giorno dovessimo venderli), giocattoli da bebè, libri orrendi che non leggerò mai (ops, è lo scatolone con le copie avanzate del mio ultimo romanzo), vasi, cuscini (potrebbero servirmi dato che probabilmente passerò la notte qui), kit per allenare il gatto a fare i bisogni nel water di casa, una tavoletta del cesso vecchia (ok… credo che sia arrivato il momento di mettere in dubbio il fatto che io non abbia disturbi mentali), una rete da pallavolo con trivella per fare i buchi per i pali (sì, avete letto bene!), pattini da ghiaccio di tutte le misure, quadri, triangoli, cerchi, rettangoli, ruote della macchina per l’inverno e per finire un coniglio bianco e una colomba che escono dal cilindro del mago. Voilà!
Il gioco di prestigio, però, non è ancora terminato. Un po’ alla volta tolgo tutte le scatole, borse e altra robaccia. Comincio a vedere la luce in fondo al tunnel. Come quando gratti il fondo sporco di una pentola ma ti accorgi che stai raschiando anche il teflon. Ho già fatto dieci giri dalla cantina a casa con le mie bustone IKEA cariche fino all’orlo. Finalmente riempio l’ultimo scatolone con un paio di scarpe che non uso da almeno dieci anni e sono pronto a lasciare la cantina… vuota! La guardo con soddisfazione e con l’orgoglio tipico di chi ha appena raspato via l’ultima cucchiaiata di Nutella dal vasetto.
Torno a casa da eroe. Da vichingo con lo scalpo dei miei nemici. Mia moglie mi aspetta festante sulla soglia di casa. Mi accoglie con tono di voce gioioso.
— Ho appena parlato con gli amministratori condominiali. Siccome ci trasferiamo nello stesso condominio come i nuovi padroni di casa del nostro appartamento, ci lasciano tenere le rispettive cantine. Non dobbiamo svuotare la nostra!
La scatola che stavo reggendo mi cade davanti ai piedi. Le mie braccia ci rimangono attaccate.

lunedì 20 settembre 2021

PISSICOLOGIA – Avanti e indietro

«Che faccio? Provo? Hm… oggi c’è troppa gente.
E se poi aspetto troppo e non la trovo più? Vero, devo farmi avanti.
E se poi è quella sbagliata? Ma la tengo d’occhio da tanti giorni ormai: è giusta per me.
E se poi pagherò cara questa scelta? Ne vale la pena, guarda che bella!
E se poi non mi lascia respirare? Non dire sciocchezze, sai che non è una di quelle.
E se poi mi pento di quello che ho fatto? Non c’è problema, posso cercarne un’altra.
E se poi non trovo altre che mi piacciono? Non c’è solo questo posto per cercarne.»
«Ci stai ancora pensando?»
Carlo Gustavo annuisce: «Sai che non so mai decidermi!»
«E comprala sta maglietta!» Sigismondo si spazientisce «Non possiamo mica stare qui tutto il giorno!»
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Il pomeriggio dello stesso giorno.
«Vedi, è come nel GAD.»
«Che?»
«Generalized Anxiety Disorder… in italiano è DAG: disturbo d’ansia generalizzato.» Sigismondo prende fiato «L’ho detto in inglese per fare un po’ il figo.»
«Che cosa vuoi dire?» Carlo Gustavo si sforza.
«Ripensavo a quello che mi hai detto prima al negozio di articoli sportivi sulla tua indecisione.»
«Ah, capito.»
«Quant’era? Trenta, quaranta?»
«Sì, la maglietta mi è costata trenta euro.» Puntualizza Carlo Gustavo. «Dici che è troppo?»
«No, non è questo il discorso!» Ribatte Sigismondo. «Devi lasciare stare i pensieri intrusivi.» Carlo Gustavo fa fatica a rispondere e Sigismondo continua. «Non avere paura di tutti quei pensieri “E se poi…”, lasciali andare.»
«Come? Dovrei lasciarli stare? Ma mi fanno stare male!»
«Vero, ma solo nel breve termine. Se invece li lasci stare dopo un po’ ti abitui. Cosa succede se invece li contrasti con tutte quelle risposte e tutti quei pensieri rassicuranti?»
Carlo Gustavo fa fatica a capire a che gioco sta giocando l’amico. Sigismondo ne approfitta e coglie la palla al balzo: «Te lo dico io. Diventano più forti di prima! Diventano ancora più convincenti e più difficili da controbattere.»
«Non capisco.» Carlo Gustavo ancora una volta non ci arriva.
«Guarda, è come una partita di tennis contro Roger Federer. Puoi provare a sfidarlo. Magari, se lui si distrae, ogni tanto fai qualche punto. Puoi addirittura andare vicino a vincere un game. Ma alla fine sai che lui è molto più forte di te. Sai benissimo che non lo batterai mai!» Sigismondo rifiata. «Tu lanci la palla di là e lui ti risponde con una palla veloce e tagliata. Tu riesci miracolosamente a rispondere, ma lui ti rispedisce la pallina nell’angolo opposto. Ti fa correre come un matto da una parte all’altra. Avanti e indietro. Alla fine, lui vince la partita senza neanche sudare e tu sei a pezzi, stremato e sconfitto.»
«E allora che faccio?» Carlo Gustavo forse ha capito dove vuole andare a finire Sigismondo. «Dovrei smettere di lanciare la palla a Federer? Magari già dall’inizio?» Sigismondo annuisce. «Non posso controllare le risposte di Federer. L’unica cosa che posso controllare e la mia battuta. Se io non gli lancio la palla, lui non mi risponde e non possiamo continuare a giocare…» Carlo Gustavo si ferma di colpo, colto da un’epifania. «Se io non gli lancio il servizio, dopo un po’ Federer si stufa di giocare e la partita finisce senza né vinti né vincitori!»
«Evvai!» Sigismondo esulta. «Game, set and match!»
«Ma così non vale!» Carlo Gustavo lancia la racchetta per terra mentre osserva la palla rimbalzare più volte nel suo campo di gioco.
«Io non sono Federer… ti sei fermato e io ho fatto l’ultimo punto decisivo! Mi devi trenta euro!»