mercoledì 24 novembre 2021

KISSENEFREGA – La scoperta

Svezia. Stoccolma. Anno Domini 2013. Ore 16.29.
Il giovane ricercatore Roberto Riva dal laboratorio di psicologia sperimentale della professoressa Svensson nel prestigioso Karolinska Institutet fa una scoperta rivoluzionaria. Una scoperta che sconvolgerà la vita dell’uomo. Di un uomo, a essere precisi. Lui stesso.
In breve tempo il giovane ricercatore darà un nome a questa scoperta sensazionale: la spunticena. Non è uno spuntino. Non è una vera e propria cena. È più uno spuntino travestito da cena. Un lontano, lontanissimo, parente dell’apericena. Lo stesso grado di parentela e somiglianza che c’è tra il giovane ricercatore e Brad Pitt degli anni d’oro.
La spunticena è una pratica nordica che consiste in un invito a una cena di lavoro alle ore 16.30. È semplice quanto sconvolgente e si può descrivere in questo modo. Si prenota facilmente un ristorante aperto (quelli aperti ancora per pranzo non contano). Si finisce tutti di lavorare alle ore 16.00, anche 15.30 se necessario. Ci si trasferisce allegramente verso il ristorante. Si mangia, si beve, si chiacchiera di lavoro o di altro. Non necessariamente in questo ordine preciso e non contemporaneamente. Si beve di nuovo se l’alcol è pagato dal datore di lavoro. Si beve ancora a prescindere da chi lo paga. La pancia è piena, il cervello è sazio. Tutto bello. Poi si torna a casa… alle 18.00, massimo 18.30!
A casa, da spettatori, si fa compagnia al resto della famiglia che si ostina ad andare avanti con pratiche obsolete e prettamente sudeuropee come una cena a orario normale. Si sta con la famiglia o ci si fa i fatti propri per il resto della serata. Si beve un po’ d’acqua per reidratarsi dopo tutto l’alcol bevuto e si va a dormire non prima di essere passati dal gabinetto almeno un paio di volte. Ci si alza dopo cinque minuti per fare di nuovo la pipì e per il famoso spuntino di mezzanotte meno due ore. Una sorta di approvvigionamento in preda a una fame spudorata che si basa sull’ingurgitare qualsiasi cibaria si riesca a trovare nella dispensa di casa, peggio di una ricetta svuotafrigo di Giallo Zafferano. Questo è dunque il prezzo da pagare per aver scoperto la spumeggiante spunticena svedese.

E voi direte: e chi se ne frega della spunticena svedese? Beh, non prendetevela con me, non è colpa mia… io vi avevo avvisati: rileggete il titolo della rubrica, per piacere!

mercoledì 17 novembre 2021

RACCONTI – Il puzzle

Riverso il contenuto della scatola sul tavolo.
Ovviamente la maggioranza dei pezzi è girata al contrario. Mai che me ne vada bene una. Non importa, non mi perdo d’animo e giro pazientemente tutti i pezzi dal lato giusto.
Vediamo un po’… hm, questo è difficile. Per fare un buon puzzle si dovrebbe partire sempre dai bordi, ma il problema di questo disegno è che tutti i pezzi vorrebbero stare in mezzo. Come posso fare?
Intanto trovo subito un paio di pezzi che stanno bene vicini. Sono il lavoro e gli hobby. Ah, no. Mi sbagliavo. Non si attaccano. Dovrò trovare un altro posto per i passatempi. Però il lavoro sta sicuramente in centro. Questo è certo. Ma quanto è grande questo pezzo? Copre tutto. Va beh. Andiamo avanti e vicino al lavoro c’è il pezzo famiglia. Eh già: lavoro e famiglia devono stare in mezzo. E la salute dove la mettiamo? Anche quella in centro ovviamente.
Sposto questo pezzo qua. Metto quell’altro là. Ma perché il pezzo bambino non sta fermo un secondo? Ma… sono due pezzi bambino! Eh già. Ricordo ancora quanta fatica ho fatto a incastrare nel puzzle il primo. Poi ne è arrivato un altro e pensavo di impazzire, ma alla fine ce l’ho fatta. Pensavo di essere a posto, di averli piazzati, invece non stanno mai fermi, cambiano forma e posizione in continuazione e devo sempre trovare un nuovo modo di sistemarli. Difficilissimo. Soprattutto perché si portano sempre via il pezzo sonno. Lo nascondono sotto il loro cuscino e di notte devo andare a cercarlo. Che bei colori vivaci però. Che spensieratezza. Passerei ore a guardarli, ma c’è il resto da finire. Ecco fatto, ora ho sistemato i pezzi bambino vicino ai pezzi giocattoli e ai pezzi libri. Dovrebbero starsene lì per un paio d’ore.
Andiamo avanti. Cosa abbiamo qua? Il pezzo vita di coppia. Bello questo! Uno dei miei preferiti. Era coperto dal pezzo impegni. Ora lo prendo, ma… c’è un altro pezzo attaccato. Se voglio la vita di coppia mi devo prendere anche il pezzo baby sitter? Sì. Ed è pure un pezzo costoso. Quanto vorrei che ci fosse il pezzo nonni invece, ma il pezzo vita all’estero, quello che sta sempre vicino al pezzo senso di colpa e al pezzo senso di inadeguatezza per la lingua e la cultura straniera, li tiene spesso separati. La cosa peggiore è che ho messo io il pezzo vita all’estero nella scatola.
Nel puzzle non è l’unico pezzo lontano dagli altri. Guarda questo, per esempio, con tante bandiere, ricordi ed emozioni: il pezzo degli amici rimasti in Italia e di quelli sparsi per il mondo. Per questo sento sempre che dovrei trovarci un po’ di spazio ma a volte purtroppo non ce n’è. Magari ora lo metto un po’ in centro, tra il pezzo telefonata ai genitori e il pezzo viaggio in Italia, poi vediamo se lo devo spostare di nuovo.
Oh, qui c’è un pezzo tutto sudato, appiccicaticcio, mi scivola via dalle mani. Guarda che forma strana che ha: tutto storto, piegato in due, con la pancia. Poraccio, è proprio fuori forma. Dev’essere il pezzo esercizio fisico. Ogni tanto lo dimentico anche se dovrebbe andare in centro. Lì vicino al pezzo salute che ha un buco. Come un buco? Ah sì, mi manca il pezzo visita col dentista. L’ho perso sotto il divano sei mesi fa. Prima o poi lo ritrovo.
Ho bisogno di un pezzo pausa. Guardo in tasca e per fortuna trovo due pezzi jolly che piazzo subito vicino al pezzo salute mentale: il pezzo pizza e il pezzo torta! Per quelli troverò sempre un po’ di spazio.
Con la pancia piena è più facile lavorare. Ora però sono già le dieci di sera. E dove metto allora il pezzo leggere, il pezzo scrivere e il pezzo teatro? Il pezzo leggere lo metto vicino al pezzo viaggio al lavoro in metro. Il pezzo scrivere lo devo incastrare da qualche parte. Che sia un racconto, un capitolo del nuovo romanzo o un imbarazzante lavoro di autopromozione (cercando di sembrare meno patetico di quello che sono) ma un pezzo scrivere lo devo mettere sulla tavola. Devo. Altrimenti vado via di testa. Ah, mi manca il pezzo teatro. Per quello purtroppo ora non c’è spazio. Beh magari un angolino solo ci sta. Non è molto, ma mi dovrò accontentare per ora.
Bene. Ora ho finito. Ho messo tutti i pezzi al loro posto. Il puzzle è al completo. Che bel disegno. Quanti colori, ritratti, luoghi, sensazioni. Proprio bello. Mi è costato fatica e abilità da equilibrista per sistemarlo, ma ora è come lo volevo... più o meno.
Vado subito a mostrarlo con orgoglio a mia moglie e ai miei figli. Hm, e che cos’è questo pezzo per terra? Oh no, è il pezzo trasloco! Ora dovrò rifare tutto il puzzle della mia vita per farcelo stare.

giovedì 11 novembre 2021

RACCONTI – La guerra

Il grande capo Erik passeggia davanti alla sua schiera di guerrieri scelti. È alto, biondo e dagli occhi azzurri. Ha le spalle larghe e la barba folta. Cammina col petto all’infuori e in testa porta un elmo borchiato con due corni all’insù. È orgoglioso dei suoi uomini e donne forzute, puri e fieri vichinghi del Nord, tutti forgiati con lo stampino dal grande Odino a sua immagine e somiglianza.
— Questo è il nostro momento. Questo è il momento che stavamo aspettando. Ora tocca a noi!
La landa giace placida davanti agli occhi assetati di sangue di questi combattenti invincibili.
— Chi siamo noi?
— Svedesi!
— E che cosa vogliamo noi?
— La loro morte!
— Non ho sentito… che cosa vogliamo noi?
— LA LORO MORTE!
Sono carichi. Sono pronti all’attacco. Battono a ritmo le loro armi contro gli scudi e ululano come lupi affamati.
Dall’altro lato del campo di battaglia c’è il loro più acerrimo nemico.
Io.
O meglio: io con un piatto in mano.
 
È così che immagino i miei colleghi fisioterapisti, medici e infermieri svedesi quando mi vedono arrivare in sala pranzo con un piatto di pasta al ragù riscaldata al microonde. Appena spiego che quello è l’avanzo della cena di ieri partono i loro ferocissimi attacchi con metaforiche spade e lance.
— Ma quindi hai mangiato pasta anche ieri sera?
— Sì, genio! (Scherzo… genio non oso dirlo per non suscitare le loro ire).
— Jaha.
Intanto io comincio a mangiare. Loro incalzano.
— Non è molto vario ed equilibrato.
— Lo è invece: oggi pasta al ragù (in realtà dico pasta alla bolognese altrimenti non capiscono), ieri pasta al pesto, la settimana scorsa pasta alla carbonara…
— Quindi hai mangiato pasta per tre giorni di fila?
Mi interrompono e io annuisco.
— Scusa, ma quanto spesso mangi pasta?
— Due, anche tre volte a settimana: sono italiano.
Sorrido cercando di persuaderli a deporre l’ascia di guerra. Loro mi freddano mentre leccano il coltello sporco di salsa.
— Mai pensato che siano troppi carboidrati?
— No, anzi. Li adoro. Infatti mangio pizza almeno una volta a settimana.
Loro schiumano dalla bocca a queste parole.
— Faccio colazione con latte e cereali.
Loro grugniscono come pitbull incazzati pronti ad assalirmi.
— Faccio spesso spuntini con crackers e grissini.
Me li sento addosso da ogni parte. Li sento scalpitare mentre pensano alle loro diete con varie combinazioni di lettere che comprendono principalmente grassi e proteine, schifando le basi della cucina mediterranea. Io invece continuo imperterrito col mio pranzo.
— Quando posso mangio volentieri piadine farcite, tortellini e gnocchi.
Loro non ce la fanno più. Legumi… tofu… carne… noci… uova… ripassano gli ingredienti di una dieta equilibrata come un mantra che si ripetono all’infinito per darsi la carica. La loro lotta ai carboidrati e agli zuccheri sta esplodendo e arrivando alla fase finale. La tensione nella stanza è a mille mentre mi guardano con disprezzo mandare giù l’ultimo boccone di fusilli.
— Ma adoro anche l’aringa nelle varie salse, il falukorv, il salmone con le patate al forno… e ovviamente quando vado all’IKEA mangio solo le polpette di carne coi mirtilli rossi!
— Ahhh!
Sento che si sgonfiano in un grido di sollievo, giusto un secondo prima che mi possano mettere le mani addosso. Appoggiano le armi e si tolgono le armature. La guerra in questo piccolo villaggio scandinavo è scongiurata. Siamo tutti salvi.
E mentre stiamo per tornare al lavoro intonando canti gioiosi al Valhalla, stecco fuori dal coro pronunciando quelle che a breve potrebbero diventare le parole incise sul mio epitaffio in alfabeto runico.
— Non è che qualcuno ha del pane per fare la scarpetta col sugo?

lunedì 8 novembre 2021

PROMOZIONE – Mi pubblicano… a puntate (3)

"Il lavoratore", giornale della Federazione delle Associazioni Italiane in Svezia (FAIS) e degli italiani in Svezia, ha da poco compiuto 50 anni (portati bene, eh). Per l’occasione si è rinnovato e ha fatto lo storico passaggio dal formato cartaceo a quello on-line.
La nostra collaborazione però continua con la pubblicazione di alcuni racconti presi dal mio Blog da Strapazzo (https://blogdastrapazzo.blogspot.com/). Non posso che esserne grato e onorato.

Ecco il mio racconto “L’ho persa”: https://illavoratore.org/lho-persa/


Sì, lo so, questo pezzo potrebbe tranquillamente stare nella rubrica “Kissenefrega”… prendetelo come una sottocategoria letteraria!

venerdì 5 novembre 2021

RACCONTI - l’invincibile

Silenzio in sala. Si apre il sipario.
Entra in scena il protagonista. Occuperà il palco per i prossimi cinque mesi.
Lui è il cattivo della situazione. Tutti lo odiano. E Lui gode di questo. Gli piace essere l’antipatico, mal sopportato da tutti. Non è Sgarbi, lo giuro!
In Svezia ci sono tre grandi nemici. Il freddo lo puoi limitare. Il bryggkaffe lo puoi zuccherare. Ma lui non lo puoi battere. Contro di lui non ci puoi fare niente. Lui è invincibile. È come il +4 quando giochi a carte a Uno. Solo che l’unico colore che sceglie è sempre e solo il nero. Nero come la notte perché lui è il buio.
Arriva prepotentemente già dall’ultima domenica di ottobre e diventa come la coperta corta: la tiri verso la faccia e ti lascia scoperti i piedi. All’inizio t’imbrogliano dicendoti che dormirai un’ora in più la mattina, ma tu hai in casa due schiere di tiratori scelti che sparano a vista: in prima linea ci sono le gatte che miagolano e graffiano la porta chiedendo cibo alle cinque di mattina e se sopravvivi arrivano in seconda linea i bambini piccoli che ti svegliano un’ora prima del solito. Ti illudono dicendoti che ci sarà più sole alla mattina, ma a Stoccolma già a metà novembre la luce mattutina verrà mangiata dalla notte come i soldi in banca di uno scommettitore incallito. La chiamano ora solare. Ma che cazzo c’è di solare e gioioso in tutto questo? Dovrebbero chiamarla ora illegale, dato che prima c’era l’ora legale.
Ogni novembre va così a Stoccolma. Vivi con ansia l’arrivo inevitabile del buio come l’ennesimo orribile risultato elettorale in Italia. Sai che il buio vincerà ogni volta e che da lì in poi, fino a dicembre inoltrato il buio sarà lì pronto a stritolarti come un lottatore di wrestling che fa sul serio.
Ma quest’anno no!
Quest’inverno il buio non mi strangolerà. Invertirò la rotta di questo Titanic svedese.
Ogni settimana mi farò così tanti bagni di luce che se per sbaglio dovessi entrare invece in un solarium ne uscirei più abbronzato di Carlo Conti. Mi esporrò il più possibile ai raggi solari durante la giornata anche con la consapevolezza che tra novembre e dicembre a Stoccolma ci saranno sì e no dieci ore di luce sommando i due mesi. Sarà come arricchirsi culturalmente guardano l’Isola dei Famosi o come cercare notizie fondate leggendo Libero. Quando andrò in bici al lavoro alle otto di mattina il buio starà ancora oscurando la luce? Quando tornerò a casa alle quattro di pomeriggio il buio sarà già lì ad aspettarmi? Nessun problema perché io avrò una lucetta al led appesa alla zip del giubbotto, la dinamo accesa, la luce di posizione rossa sul retro, quattro braccialetti riflettenti (anche sulle caviglie) e un faro sul casco come un minatore del Klondike. Sarò più addobbato dell’albero di Natale del Rockefeller center a New York o più vistoso di un’insegna luminosa di Shinjuku a Tokyo. Sarò anche ridicolo, ma così il buio non avrà il sopravvento. A casa accenderò la tv e le luci di tutte le stanze, terrò viva la fiammella dentro la zucca di Halloween anche quando avrà fatto la muffa, festeggerò ogni mio non-compleanno come il cappellaio matto mettendo le candeline su ogni pietanza che preparerò (pazienza se con la zuppa ci saranno dei problemi), terrò pure la porta del frigo aperta per avere più luce e infine ogni cinque minuti uscirò sul pianerottolo di casa per far scattare l’accensione automatica del lampione. Ventiquattr’ore su ventiquattro. Sette giorni su sette. Il buio non vincerà.
Così sarò pronto ad affrontare il nemico invernale. Nessuno mi fermerà. Quest’anno vincerò io. Sorrido. Anzi me la rido proprio mentre vedo il buio scomparire con la coda tra le gambe. Questa storiella sta per finire e sul palco ci rimango io. Il buio se ne va.
E mentre cala il sipario su questo teatrino mi rendo conto di quello che succede inevitabilmente alla fine di ogni spettacolo: oh no… buio.