giovedì 30 giugno 2022

RACCONTI – Il sergente

Immagina che sia un giorno di giugno o di luglio in Svezia, in Scandinavia o comunque sopra il 50° parallelo nord. Sei stanco dopo una faticosa giornata di lavoro. Hai preso la metropolitana che era piena di gente e non ti sei potuto sedere. Arrivi a casa e devi ancora fare il bucato e riordinare la cucina dalla colazione di stamattina. Finisci tutto con l’ultimo filo d’energia che ti rimane e ti butti stancamente sul divano. Ecco, a quel punto arriva lui.
Ma come chi? Lui!
 
Arriva in fretta, con la sua andatura rigida e decisa. Ti squadra dalla testa ai piedi con quei suoi occhi scuri, cupi e ben scavati in una faccia asciutta, ben rasata e sempre perennemente incazzata. In testa tiene il suo inseparabile cappello US Marine Corps verde a tesa larga. Sopra la camicia e cravatta color kaki e la giacca verde perfettamente stirata, le medaglie all’onore scintillano come diamanti purissimi.
Il sergente Sommar si china verso di te ancora disteso sul divano e quando arriva a circa 4-5 centimetri di distanza dalla tua faccia prende fiato e urla con tutta la forza che ha in gola.
— Soldato Palla di lardo, hai il c**o che pare un quintale e mezzo di chewing gum masticato. Te ne rendi conto Palla di Lardo?
Ti costringe ad alzarti in meno di un secondo e ti metti d’istinto sull’attenti.
— Signorsì, Signore!
— E allora perché non approfitti di questa bella giornata di sole per muovere quei tuoi bei piedini da checca pomp***ra e farti un giro in bicicletta o una camminata sul lungomare della città?
— Signorsì, Signore!
 
Immagina di essere a casa che stai bevendo un bicchiere di acqua rinfrescante in una giornata calda e afosa. I tuoi figli giocano pacifici con i lego e con le macchinine. È una gioia vederli allegri e spensierati tra le mura amiche. Ti giri verso la cucina per andare a prendere un altro bicchiere di acqua dal rubinetto e te lo ritrovi davanti.
È ancora il sergente istruttore Sommar.
Lì, di nuovo a una manciata di centimetri dalle tue orecchie, ti sbraita come un pazzo.
— Soldato Palla di lardo, cosa stavi pensando di fare? Pensi che io sia stupido?
— Signornò, Signore!
— Pensi che sia l’ultimo str***o sulla faccia della terra che si possa infiocchettare e spedire come regalo di Natale alla tua mammina?
— Signornò, Signore!
— Cosa fanno i tuoi bambini? Perché non sono fuori a giocare al parco?
— Signore, ci sono trenta gradi all’ombra, Signore!
— Ma c’è il sole. Non sta piovendo. Fai divertire un po’ questi bambini moderni!
— Signore, i bambini si stanno divertendo anche così, Signore!
— Soldato Palla di lardo, se non vuoi che i tuoi figli ti rinfaccino fino all’ultimo giorno della tua insignificante vita da str***o comunista per non aver sfruttato questa fantastica giornata di sole che il buon Dio ci ha mandato sulla Terra, esci subito da questa stanza e vai al parco a giocare con un pallone!
— Signorsì, Signore!
 
Immagina di avere fame. Sono le sette di sera. Sei in cucina stai già facendo bollire la pasta, devi solo scongelare il ragù e tutto sarà pronto. Facile.
Purtroppo no.
Indovina chi arriva a rovinarti la tranquillità? Sì, proprio lui. Più incazzato che mai.
— Soldato Palla di lardo. Se non vuoi che ti infili quel tuo pisello moscio nella pentola dell’acqua bollente nel tentativo di ridarti un po’ di vigore e dignità umana, spegni subito i fornelli, prendi un bel pezzo di sana carne di maiale da vero uomo cristiano e vai fuori a farti un bel barbecue con tutte quelle checche ballerine dei tuoi amichetti da quartiere.
— Signore, sono stanco e ho fame, Signore!
— Che ca**o hai appena detto? Hai appena firmato la tua condanna a morte per questa frase da lurida checca comunista! Ti ammazzo a forza di ginnastica, ti faccio venire i muscoli al buco del c**o! Il sole è ancora alto e tu ora vai fuori a fare una bella grigliata altrimenti ti infilo un bastone nel buco del c**o fino alla bocca e ti metto a girare sopra i carboni ardenti fino a domani mattina. Hai capito?
— Signorsì, Signore.
 
Ti sei fatto i tuoi piani tranquilli e sereni. Il sergente Sommar però arriva, ti pietrifica con la sola forza dello sguardo e ti costringe a cambiare idea. Che poi, non si capisce perché debba insultarti così tanto e usare tante parolacce… ma devo dire che è molto persuasivo.
Così stavi ingenuamente pensando di guardare in TV un paio di puntate della tua nuova serie preferita gustandoti un buon gelato quando il sergente istruttore Sommar trova i suoi metodi convincenti per farti alzare dal divano e andare a fare un picnic oppure a comprare una pizza ad asporto da mangiare in riva al mare.
 
Hai fatto mille attività all’aria aperta, sei andato in spiaggia, hai giocato a racchettoni coi bambini nel giardino condominiale, hai fatto una pennichella sull’amaca dopo aver grigliato anche la tua mano destra e immerso i piedi gonfi nell’acqua gelida di una piscinetta gonfiabile. Sei a pezzi. Pensi di aver sfruttato ogni secondo di questa magnifica e lunghissima giornata di sole. Sono le undici passate. Hai ricoperto le finestre di sacchetti neri dell’immondizia perché non ti sei mosso in tempo e le tende coprenti dell’IKEA sono esaurite e sono rimaste solo le tende di carta di riso trasparente. Ti lanci a letto. Distrutto. Esausto. Stai per prendere sonno prima ancora che la tua testa sia a contatto col cuscino quando senti quella voce forte e decisa che non si accontenta mai.
— Soldato Palla di lardo! I tuoi genitori hanno anche figli normali?
— Signrre, nn ce l facio pù, Signore!
— Non ho sentito!
— Signore, non ce la faccio più, Signore!
Il sergente Sommar fa finta di essere calmo mentre stacca i sacchetti neri dalle finestre e poi riparte alla carica.
— Mi stai prendendo per il c**o, Palla di lardo?
— Signornò, Signore!
— Bene, allora muovi quelle tue chiappe da checca isterica e vai subito sul balcone a goderti il sole di mezzanotte!
— Signore, ma a Stoccolma non si vede il sole a mezzanotte, Signore!
— Ti sembro forse il colonnello Giuliacci o una signorina in abiti succinti che presenta le previsioni del meteo sulla penisola scandinava?
— Signornò, Signore!
— E allora alzati subito dal letto, prenditi una birra fresca dal frigo e chiacchiera di filosofia tedesca del ‘700 con tua moglie o se necessario anche con te stesso fino a svenire sul divanetto e versarti la birra sui pantaloni così da farti credere di esserti pisciato addosso per l’estasi della serata!
— Signorsì, Signore!
 
Ormai il sergente istruttore Sommar ti ha trasformato da argilla informe a statua di bronzo a sua immagine e somiglianza. Quando pensi di aver terminato l’addestramento, di sentirti pronto a ogni attività che il sole scandinavo ti può offrire nei mesi estivi e di aver imparato a gestire le sfuriate dell’intransigente sergente Sommar, lui all’improvviso smette di romperti i coglioni. Si rilassa e si riposa anche lui. Lo cerchi ma non lo trovi. Presto, prestissimo, verso metà agosto sembra che sia già andato in pensione.
Mentre ti stravacchi sulla poltrona del salotto, trovi un biglietto.
“Soldato Palla di lardo, ti lascio in custodia mia nonna, la signora Vinter, che ti terrà compagnia nei prossimi mesi raccontandoti dei suoi malanni e di come si stava meglio quando si stava peggio. Trattala bene. Noi, caro fottuto succhiaca**i, ci vediamo il prossimo giugno… forse!”
Firmato sergente istruttore Sommar.

venerdì 24 giugno 2022

RACCONTI – Avvistamenti

Negli ultimi due mesi ne hanno avvistato uno.
L’hanno visto più volte.
Un orso. Un orso bruno. Non troppo grande. Non troppo piccolo. Quasi innocente.
Peloso dalla testa ai piedi. Soprattutto in testa a dire il vero. Dalla chioma folta e spesso sporca. La barba incolta e lunga che tante volte prende vita, pronta a intrappolare briciole di pane e gocce di latte per sopravvivere. Il pelo arruffato e ispido sul petto e sulla schiena per autodifesa dai nemici pronti a dargli fastidio. Come da copione.
Se ne gira tranquillamente per la città. Entra ed esce dalla metro tra l’indifferenza della gente della grande città ormai abituata a vedere di tutto. Di giorno va al lavoro come niente fosse. Di notte e nei fine settimane si rifugia in una sala prove o in un teatro di periferia per trasudare passione.
Emana infatti strani odori, soprattutto dopo aver indossato il suo costume da postino – una giacca stretta, stretta che gli cinge i fianchi e gli soffoca la gola – per più di quattro ore di fila. Tutto per esigenze sceniche.
Si nutre voracemente di panini, spuntini, crackers, frutta o qualsiasi cosa trovi a disposizione a orari irregolari a volte in branco ma spesso da solo, dopo che gli altri membri della famiglia sono andati a dormire. Se può si sbafa anche un po’ di miele, principalmente per mantenere morbide le corde vocali per un ruggito pronto e deciso. Successivamente collassa sul divano o sul letto a pancia all’aria e pantaloni sbottonati.
Tra l’andare a zonzo nel tempo libero e starsene a casa a riposare, sceglie senza dubbio la seconda opzione. Al massimo si limita a uscire di soppiatto con la sua compagna e i cuccioli per tranquille gite fuori porta dove non rischia di incontrare i suoi temuti cacciatori: amici e conoscenti che gli chiedono come sta e pianifichino insieme giornate che gli succhiano preziosa energia da dedicare solo ed esclusivamente alla musa Melpomene.  
È ben attento dal non farsi coinvolgere in altri progetti a breve o lungo termine che non riguardino il palcoscenico, dalla famiglia, amici, parenti o conoscenti. Partecipare a cene, feste, picnic, afterwork o altre attività di socializzazione per sentirsi parte integrante della collettività non sono consentite.
Gongola ripensando a tutto questo lussuoso bendidio che si è conquistato da bravo orso collaudato. Sa però che non durerà molto. Sa che sceso dal palcoscenico, di nuovo nella vita reale, non avrà più scuse, non potrà più lesinare sulle docce, dovrà affrontare la vita.
L’orso dovrà infatti smetterla. Dovrà dare un taglio a tutto questo!
Qualcuno dovrebbe dirglielo.
Mi sa che toccherà a me l’onore e l’onore. Domani mi faccio coraggio e davanti allo specchio glielo dico.
Tornare a parlare con la gente e socializzare? Ma neanche per idea.
Per darci un taglio gli basterà accorciare barba, baffi e capelli!

martedì 21 giugno 2022

RACCONTI – Il disguido

Stoccolma, giugno 2022.
 
Referendum popolare sulla giustizia. Si vota. Anche dall’estero. Era tanto che non lo si faceva. Ho dovuto cercare sul vocabolario il significato della parola e fare delle prove a casa con matita spuntata e foglietti colorati presi in prestito dai miei figli. Ora però sono preparato. Pronto a esprimere il mio sacrosanto diritto di cittadino italiano residente all’estero.
 
La procedura è semplice. Ti arrivano a casa via posta regolare le schede elettorali. Esprimi il tuo bel voto sulle schede elettorali in modo chiaro e senza lasciare segni distintivi. Inserisci le schede nella busta bianca piccola. Sigilli la busta bianca piccola col sudore della tua fronte per paura di aver sbagliato qualcosa. Infili la busta piccola in quella grande preaffrancata assieme al tagliando elettorale ritagliato dal certificato elettorale (forbici non incluse) e un pezzo di dito (possibilmente il medio) per il riconoscimento dell’impronta digitale da parte del consolato. Sigilli la busta preaffrancata con ceralacca del XIX secolo e spedisci il tutto all’Ufficio Consolare entro la data indicata. Per finire conservi il certificato elettorale per ricordo come un souvenir nel caso assurdo che non ci concedano più di votare in futuro.
Esagero e divago. Come sempre.
 
Il processo in realtà ha sempre funzionato molto bene e sono convinto che neanche questa volta farà eccezio… hm, un momento.
Mi dicono da casa che il referendum si svolge il 12 giugno 2022. Benissimo. Che problema c’è?
Controllo la data sul calendario. Oh cazzo! Oggi è il 17 giugno. Mannaggia! Avrei dovuto far arrivare la busta preaffrancata entro le ore 16.00 del 9 giugno. Sono un pessimo cittadino. È vero che non ci avevo capito una mazza sul referendum sulla giustizia, però mi ero preparato tanto. Avevo studiato tanto per come votare. Era un mio diritto e un mio dovere votare e io me lo sono lasciato scappare così facilmente. Mi sono emozionato troppo e… hm, aspetta di nuovo un momento.
Quando sono arrivate le schede elettorali? Stamattina… ah! Quindi per una volta non è colpa della mia inettitudine politica. Quindi questa volta il processo facile, facile di votazione dall’estero ha fatto qualche piccola, piccolissima falla.
 
Ben presto vengo a sapere che anche tanti, tantissimi, troppi italiani residenti a Stoccolma non hanno ricevuto in tempo la scheda elettorale. Purtroppo questo ritardo multiplo con sola annessa da parte del consolato non mi consola affatto. Girano voci che Roma sostiene di aver mandato in tempo le schede elettorali a Stoccolma. Il consolato svedese sembra che abbia accusato le poste svedesi (PostNord) per i soliti ritardi della consegna delle lettere. PostNord immagino che dia la colpa a Roma di non aver calcolato la concomitanza del 2 giugno (Festa della Repubblica nell’Ambasciata d’Italia a Stoccolma) e del 6 giugno (Festa nazionale svedese), entrambe giornate di festa e quindi tutto fermo e chiuso. Sfiga? Incompetenza? Propendo per entrambe.
 
Per un attimo sorrido ripensando a quel meme che ogni tanto gira su internet. Quello dei tre Spiderman esattamente identici che si accusano gli uni con gli altri di essere i falsi Spiderman.
Mentre stringo forte al petto il certificato elettorale delle ultime elezioni alle quali ho potuto votare, rido. Rido ma dovrei piangere perché alla fine quel bel dito teso è sempre e comunque puntato dritto dritto nel sedere di noi cittadini.
L’unica arma di difesa da questo ditone verso il nostro pertugio anale è dunque solo l’augurio di un buon voto a tutti… voto di castità, ovviamente.

giovedì 16 giugno 2022

RACCONTI – La bacheca

Lo appoggio sulla mensola vicino agli altri.
Che bello! È l’ultimo di una lunga serie. Questo trofeo ci sta proprio bene assieme al resto della bacheca. Faccio un passo indietro per osservarla e compiacermi. Ne è valsa la pena aver passato anni ad accumulare premi. Ripenso a tutti i momenti e a tutti i ricordi legati a queste medaglie e coppe. Sorrido.
Certo, a volte è stato un sorriso amaro… molto amaro.
Come per quella coppa là in alto, sull’ultima mensola: coppa Peggior Regalo di Natale 2015. È stato facile vincerla. Mi è bastato regalare una candela a chi mi aveva più volte detto di non apprezzarle.
O come il quadretto appeso al muro che incornicia l’attestato di partecipazione a Facebook che ho vinto tutte le volte che ho postato un mio racconto e ho ricevuto solo un paio di Like.
Per non parlare delle medaglie d’oro per la miriade di rifiuti ricevuti secchi quando da giovane ci ho provato con le ragazze che mi piacevano tanto.
Giustamente, vicino a quelle medaglie ho messo la targhetta onoraria per le volte che ho fatto cilecca a letto. E anche quella per tutte le volte che l’ho preso nel fondoschiena. Metaforicamente, s’intende, riferito a quando un datore di lavoro è passato oltre a una mia candidatura o un giornale scientifico ha rifiutato un mio articolo quando ero ancora un dottorando.
Sospiro. Oh, quanti attimi di dispiacere passati assieme a questa bacheca. Quanti cuori spezzati (il mio). Quante autostime schiacciate. Bei tempi.
Sposto lo sguardo più in basso e continuo la mia personale carrellata di ricordi.
Oh, guarda lì quel meraviglioso scudetto del torneo “Papà di merda” che ho vinto proprio l’altro giorno quando ero arrabbiato e ho urlato in faccia ai miei figli, facendoli piangere. Ormai sono pluridecorato in quel torneo.
Ecco qui invece tutti i gagliardetti per ogni paziente che non sono riuscito ad aiutare, ogni amico che ho lasciato alle spalle e ogni parola al posto sbagliato nel momento sbagliato. Incredibile! Non mi ricordavo fossero così tanti. E quanti colori anche… tutte gradazioni del marrone ovviamente.
Niente in confronto, però, al mitico Dog Actor Award che ho meritatamente conquistato nel 2015 quando ho sbagliato una battuta sul palco durante uno spettacolo. E chi se lo dimentica quello.
Meglio lucidarlo di tanto in tanto, prima che sparisca sotto la polvere e mi dimentichi di averlo già vinto in passato.
Infine, eccolo là, il migliore di tutti. Il trofeo più scintillante di tutti. Quello che si vede meglio, anche da lontano. La grande coppa dei romanzi rifiutati dalle case editrici: “A Roberto, ricordati che ciò che scrivi non vale un cazzo!”, recita l’incisione alla base.
Mi scappa un sorriso.
Dovrei essere triste, magari anche piangerne (qualche volta l’ho fatto). In fondo sono tutti fallimenti, a volte piccoli, a volte grandi, ma mi hanno insegnato qualcosa. In un certo senso non posso che essere grato di averli conquistati perché mi ricordano che ne sono uscito vincitore. Questi fallimenti mi hanno arricchito.
Sorrido di nuovo. Ho ancora altre tre pareti da riempire… e questa è solo la prima stanza.

martedì 7 giugno 2022

IL LAVORATORE – Presentazione

Da maggio c’è un nuovo sceriffo in città!
Ora sostituite “sceriffo” con “direttore” e “città” con “Il lavoratore” (giornale della Federazione delle Associazioni Italiane in Svezia, FAIS) e avrete la frase corretta.
Ebbene sì: alla riunione annuale della FAIS sono stato eletto come nuovo megadirettore gran farabutt ladr matricolat paracul del giornale online.
 
Riporto sotto e qui come mi sono presentato.
Ho paura che si siano già pentiti della loro scelta…


Cari concittadini… (— No, così è troppo istituzionale)
Cari italiani! (— Eh, che è? Il ventennio! Abbassa i toni)
Cari amici… (— Oh, ma chi ti conosce!)
Cari lettori… (— Ma se ormai gli italiani non leggono più… comunque va bene. Cari lettori sia!)
È il nuovo direttore che vi scrive. Se vi sembro un po’ indeciso è solo perché sono un giovane (— Ah, ah, ah! Questa è bella) a cui piace mettersi sempre in dubbio, in discussione e in gioco. Sono una persona a cui piace anche porsi domande. A volte trovo la risposta, spesso purtroppo no.
Sono infatti tutte le domande che mi hanno portato, un po’ alla volta, dalla provincia di Udine in Italia a Stoccolma in Svezia. (— Quali sono i misteri della mente umana?) Per cercare di rispondere ho studiato Psicologia a Trieste. (— Come funziona il cervello sotto stress?) Così ho preso un dottorato in Psicologia alla Stockholms Universitet. (— Come posso aiutare le persone che stanno male?) E allora ho iniziato il mio attuale lavoro di psicologo clinico a Stoccolma.
(— Come posso dare ancora più fastidio alla gente?) Per questo mi sono buttato sulla cultura. Sono un appassionato di cultura in tutte le sue forme. Amo il teatro (— L’ho detto che sono presidente e attore nei “Varför inte”, il primo gruppo teatrale italiano a Stoccolma?), la letteratura (— Mi piace leggere, ma ancor di più scrivere… sono proprio un italiano!), la musica (— Meglio però che non mi sentiate cantare), l’arte (— i miei figli sanno disegnare meglio di me), il cinema (— So a memoria tutte le battute dei film cult degli anni ’80 e ’90) e tutta quell’altra robaccia bella che l’umanità è stata in grado di creare.
Spero di trasmettervi questo mio amore per la cultura coinvolgendo sempre più lettori e, grazie all’aiuto della redazione, presentarvi contenuti interessanti che facciano sorridere, riflettere e magari ogni tanto anche un po’ prendere fiato e rilassarsi perché anche quello è importante nella vita e perché, tra mille impegni e stimoli della vita quotidiana, ormai ci siamo dimenticati come si fa.
 
Roberto Riva

venerdì 3 giugno 2022

RACCONTI – La baby-sitter

Noi siamo pronti.
Eravamo già pronti due anni fa.
Prima della pandemia, quando i bambini erano grandi abbastanza.
Ora siamo prontissimi.
 
Lei arriva puntuale, come ci aspettavamo. Ha molta esperienza con i bambini perché ha 2 fratelli e 4 sorelle. È giovane, ma non troppo. Ha un look cool ma non troppo. Ed è seria al punto giusto.
L’abbiamo selezionata tra mille candidate e nel round finale ha battuto di pochissimo Mary Poppins e Mrs. Doubtfire, solo perché lei è una persona reale e non un personaggio di fantasia.
Io e mia moglie l’aspettiamo vestiti di tutto punto, pronti per andare al ristorante (il ristorante… non so più cosa significhi questa parola, ma non divaghiamo).
Noi l’accogliamo in casa. Lei ci saluta cordialmente.
Noi le presentiamo i bambini. Lei familiarizza subito con loro.
Noi ci mettiamo le scarpe. Lei se le toglie.
 
Poi le passiamo il kit di sopravvivenza completo di tablet, password per WiFi, lista di cartoni preferiti dai bambini, polpette di carne IKEA solo da scaldare in microonde e prima che possa ripensarci chiudiamo la porta alle nostre spalle e partiamo.
Ora noi siamo finalmente LIBERI!
 
— Sesso, droga e rock’n’roll?
Ammicco sfrontato a mia moglie, mentre scendiamo le scale.
— Ho le mie cose.
— Droga e rock’n’roll?
Cerco di non smorzare l’entusiasmo.
— Ma se ti sei a malapena fatto una canna in vita tua e io non reggo più neanche l’alcol.
— Hm… allora solo rock’n’roll?
— Il rock è morto!
— Ma vaffanculo! Almeno ascoltiamo un po’ di vecchi dischi, di quelli buoni.
Lei annuisce e usciamo dal portone del palazzo in fretta e furia.
 
Ce ne andiamo via, come ladri dopo aver derubato una banca.
Scappiamo come Thelma e Louise. Ma senza macchina. E io non sono Thelma e lei non è Louise. E siamo un uomo e una donna, non due donne. E siamo in Svezia e non negli Stati Uniti. E fa freddino.
Uguale insomma.
La benzina della nostra “macchina”, però, finisce in fretta. Dopo il primo mezzo bicchiere di vino nella prima mezz’ora al ristorante, nella quale pianifichiamo quale volo last-minute per le Canarie prendere e tornare come minimo dopo un mese, già cediamo e cominciamo a parlare dei bambini. Ci chiediamo come stanno. Se si divertono. Se abbiamo fatto bene a fidarci di una sconosciuta. Di come sarebbe bello avere i nonni qui con noi da sfruttare come Cenerentola e Cenerentolo. Di come sia bello farli crescere e fare così tante cose assieme.
In parole povere, ci mancano già.
 
Passiamo il resto della cena a renderci conto che effettivamente non riusciremo a fare sesso in un ristorante affollato, che ci basta mezza bottiglia di prosecco per restarci secchi e che la musica che suonano nel locale non è per niente rock. Almeno abbiamo mangiato bene con vista sull’arcipelago di Stoccolma e ci siamo goduti il bellissimo museo della fotografia fingendo di essere intellettuali altezzosi e alticci.
Dopo quattro ore rientriamo a casa stanchi e barcollanti. Ci soffermiamo un momento davanti alla porta. Facciamo un respiro profondo e ci ripromettiamo di trattenere le lacrime di gioia nel rivedere i bambini. Soprattutto di rivederli vivi. Apriamo e loro sono lì, sorridenti e illesi che ci aspettano. Dalla loro faccia immagino che siamo mancati tantissimo a quei due teneri orsacchiotti.
Paghiamo la dovuta e meritata parcella alla baby-sitter Hanna e la salutiamo. Non prima di aver sbagliato un paio di volte la pronuncia del suo nome domandandoci come cacchio vada pronunciata quella maledetta acca all’inizio.
La casa non è sfasciata. I bambini non hanno segni di contusioni e non sembrano denutriti. La cucina è in ordine. Tutto sembra a posto. La baby-sitter Hanna ha superato la prova a pieni voti.
Do un bel bacio ai miei figli e loro mi abbracciano. Mi chiedono di chinarmi per dirmi qualcosa all’orecchio. Di sicuro mi diranno che vogliono bene a mamma e papà e che sperano che non li abbandoneremo mai più. Io mi piego sulle ginocchia e tendo l’orecchio. Con la loro candida vocina mi sussurrano:
— Quando torna Hanna a trovarci?