martedì 27 settembre 2022

IL LAVORATORE – La preparazione svedese

“Hej Roberto,
il Natale si avvicina e desideriamo ricordarti che le prenotazioni per l’annuale julbord (il tradizionale pranzo di Natale svedese, N.d.R.) presso il nostro ristorante sono già aperte. Affrettati a riservare un tavolo per te e i tuoi familiari, amici o colleghi di lavoro. Preparati a gustare le prelibatezze del nostro julbord, godendo della meravigliosa vista sull’arcipelago di Stoccolma. Non perdere tempo e prenotata la vera esperienza natalizia con noi. Ti aspettiamo!”
 
Fantastico! Eccezionale! Adoro lo julbord, specialmente in questo ristorante! Mi giro verso mia moglie e le chiedo che cosa stiamo aspettando a prenotare, ma lei mi guarda basita.
Siamo a metà settembre. Ecco che c’è. Mi ero fatto trasportare a dicembre dall’entusiasmo e dall’atmosfera sognante dell’e-mail. Le foglie ancora verdi e le ore di luce ancora accettabili mi riportano al presente: metà settembre appunto.
In Svezia, però, dopo il relax delle ferie estive è già l’inizio della nuova stagione: il “Preparansione” svedese (ATTENZIONE spoiler alert: generalizzazione in corso). Agli svedesi piace essere preparati, pronti e sempre sul pezzo. Agli svedesi non piace essere colti di sorpresa, perdere troppo il controllo o dover improvvisare. Per questo motivo il calendario svedese e, se dobbiamo dirla tutta, la società in generale è permeata di un pochettino di ansietta: da prestazione, d’attesa, da perfezionismo. Niente di grave, sia chiaro, in molti casi ha i suoi notevoli vantaggi ma a volte porta al rischio di essere con la testa già al passaggio successivo e di non vivere appieno il momento, il qui e adesso – här och nu (ATTENZIONE: ricordo che siamo ancora in fase di becera generalizzazione e stereotipia).
Andiamo dunque a presentare alcuni semplici esempi, oltre alla sopracitata prenotazione per il pranzo di Natale a settembre, che chiariscano il “Preparansione” svedese, ovvero l’ansia di essere sempre preparati.
Cominciamo con le festività. Il Natale, come tutti sanno, si festeggia il 25 dicembre. No! Come no? Eh no… il Natale in Svezia si festeggia il 24.
Di conseguenza, Pasqua si festeggia il sabato e non la domenica, midsommar (la meravigliosa festa dedicata al solstizio che cade il terzo sabato del mese di giugno) si festeggia di venerdì. Ovvio. La stessa definizione di midsommar, a mio modesto avviso, è un inno al “Preparansione” svedese in quanto è la festa di mezza estate… quando in realtà l’estate è astronomicamente appena iniziata!
Cominciate a seguirmi? Anche voi state annuendo e vi riconoscete in queste parole? Oppure pensate che stia dicendo un sacco di stupidaggini? In entrambi i casi avete ragione.
Ma non saltiamo alle conclusioni prima del previsto. Sarebbe un po’ ansioso, non trovate? Per chiarire il concetto ci sono altri esempi racchiusi in una semplice parola inglese: last minute (ATTENZIONE: generalizzazione specifica su Stoccolma in corso). Prenotare il giorno prima o il giorno stesso un posto a teatro o al cinema, una notte in hotel, un locale condominiale oppure un tavolo al ristorante diventa una missione impossibile anche per il miglior Tom Cruise. Scordatevi se il tavolo è da riservare per più di dieci persone anche se chiamate un mese prima. Capitolo a parte meriterebbe la settimana sugli sci dello sportlov a febbraio che di regola va prenotata in agosto dell’anno precedente.
Al lavoro le ferie pasquali, estive vanno chieste già a novembre o al massimo a gennaio. Capita spesso di partecipare a riunioni in preparazione alla riunione che deciderà quando fare la riunione nella quale si prenderà una decisione su un determinato problema (ATTENZIONE: esagerazione eseguita).
Il “Preparansione” svedese ha le sue origini sin dai primi anni di vita. Infatti, gli allievi agli ultimi due mesi di alcuni asili entrano in un gruppo (6-årsgruppen) che li prepara alla förskoleklass, che altro non è che un primo anno di ulteriore preparazione alla grundskolan (il corrispettivo della scuola elementare).
Non voglio essere mal interpretato: io adoro la Svezia e tutte le sue mille sfaccettature… anche quelle più ansiose. Se non fosse così me ne sarei già andato e in fin dei conti mi ci ritrovo in questo modo di essere. Infatti, questo pezzo lo chiudo così: metto il punto in anticipo qui. e poi finisco la frase
 
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Ecco il link all’articolo su Il lavoratore:

giovedì 22 settembre 2022

RACCONTI – Cronaca di uno svenimento

Cronaca di uno svenimento
Atto unico

(Una bella palestra ben attrezzata. A sinistra l’ingresso degli spogliatoi e un attrezzo per sollevamento pesi, sul fondo una panchina, una fontana per l’acqua. In mezzo dei pesi, una cyclette, un vogatore e una corda per saltare. A sinistra s’intravedono le scale che portano al piano di sotto con l’ingresso. Da lì entrano Cuore e Cervello.)
 
CUORE – Oh, eccoci qua! Finalmente oggi ci si allena un po’.
CERVELLO – Non si era detto di riposare?
CUORE – Certo, certo… dopo questa lezione di pesi e cardio.
CERVELLO – No. Si riposa ora. Torniamo a casa.
MUSCOLI – (nascosto dietro la panchina) Cervello ha ragione. Oggi non ho voglia di muovermi.
CUORE – Hm, ci devo pensare. (Fa un giro in palestra) Va bene, ci ho pensato: mi alleno, ma non spingo troppo, promesso.
CERVELLO – Ci vai piano?
CUORE – Sì, ti ho detto che non spingo. Fidati.
CERVELLO – Ma hai mangiato, vero?
CUORE – Ovvio, per chi mi hai preso?
STOMACO – (spuntando con la faccia dallo spogliatoio) Non è vero, sta me…
CUORE – (chiude in fretta la porta in faccia a Stomaco) …sto mettendo su troppi chili e quindi devo allenarmi. Tranquillo ho pranzato alle undici e mezza.
CERVELLO – E…
CUORE – E ho mangiato una banana quindici minuti fa.
CERVELLO – Non credo che basti.
CUORE – Va bene così, fidati. So gestire lo sforzo.
CERVELLO – See… come l’altra volta che sei sceso dalla bici di spinning bianco cadavere e ti sei dovuto stendere mezz’ora in corridoio per evitare una sincope.
MUSCOLI – Cosa? È già successo? Andiamo via, vi prego!
CUORE – Stiamo calmi. È successo tanti anni fa. Ora siamo più maturi, ci conosciamo meglio. Sappiamo i nostri punti di forza.
CERVELLO – È la conoscenza dei limiti che ci manca.
CUORE – E poi quella volta là eravamo tornati in palestra troppo presto dopo una forte influenza.
CERVELLO – Ti ricordo che sei stato raffreddato la settimana scorsa…
CUORE – Embè?
PANZA – (entra prepotentemente dallo spogliatoio) Allora, iniziamo? Mi avete convinto a venire in palestra, almeno facciamo qualcosa. Non riuscirete a farmi andare via solo muovendo i muscoli della lingua.
MUSCOLI – Ma che ne sa di muscoli questo? È solo una palla di lardo!
PANZA – (piange e si aggrappa a Cuore) Muscoli è cattivo! Io ci provo, ma lui ce l’ha con me.
CUORE – (coccolando Panza) Tranquillo. Dopo ceniamo con un hamburger e magari ci beviamo anche una birretta, ok?
PANZA – (asciugandosi le lacrime e singhiozzando) Sì, grazie. Tu sì che mi capisci!
CUORE – Bravo… ma ora staccati un po’ da me per favore che dobbiamo iniziare l’allenamento.
MUSCOLI – Va bene, va bene. Tutta questa discussione mi sta scaldando! Iniziamo e facciamola finita.
CUORE – Così ti voglio! (Muscoli esegue gli ordini di Cuore) Piegati là. Corri così. Rema sul vogatore. Pedala più velocemente. Ora riposa. Bene. Io mi sento già meglio.
PANZA – Oddio, sto morendo! Quant’è passata, mezz’ora?
CERVELLO – (guarda l’orologio biologico) Dieci minuti.
PANZA – Voglio morire!
CUORE – Stai tranquillo che vai alla grande.
STOMACO – (entrando dal camerino) Non che c’è qualcosa da sgranocchiare? O un Gatorade da bere?
CERVELLO – In effetti… a me farebbe comodo.
MUSCOLI – Anche a me!
PANZA – Io vorrei una pizza invece.
CUORE – Stomaco, ti ho già dato una banana. Dove l’hai messa?
STOMACO – Boh. Vado a cercarla (esce).
CUORE – Vai muscoli, che il minuto di pausa è finito. Si ricomincia. Come siamo messi?
CERVELLO – Abbiamo già fatto una buona serie di esercizi. Direi che basta per oggi.
CUORE – Avevo chiesto a Muscoli.
MUSCOLI – Insomma… Faccio fatica. Sono sotto sforzo da venti minuti. Io mi fermerei volentieri.
PISELLO – (alzandosi da sotto) Macché! Non la vedi quella gnocca là? Continua. Non possiamo mica passare per dei mollaccioni.
CUORE – Oh, ma chi ti ha dato tutto quel sangue adesso?
PISELLO – (ride) Indovina un po’… tu!
CERVELLO – (a Cuore) Sei un coglione!
CUORE – Però Pisello non ha tutti i torti. Dai Muscoli, facciamo ancora solo un paio di ripetizioni!
CERVELLO – Obietto! Mi sento strano. Non mi sento lucido. Fermiamoci tutti per favore.
CUORE – Andiamo. Ancora dieci minuti e poi la lezione è terminata. Non possiamo mollare ora.
STOMACO – (entrando in scena con un pezzo di banana mangiucchiata in mano) L’ho trovata finalmente! Qualcuno ne vuole un pezzo?
TUTTI – (in coro) No! (Stomaco esce)
CERVELLO – Oddio, mi viene da vomitare. (Traballa) Mi sento male.
STOMACO – (rientrando in scena) Oh, ma chi è quello stronzo che mi ha rubato tutto il glucosio che avevo nella mia sacca della palestra?
CUORE – (fischiettando) Io non ne so niente.
MUSCOLI – Cervello? Che faccio?
CUORE – Vai pure avanti. Fai cinque salti sulla corda e solleva un paio di volte quel peso da dieci chili. Manca poco.
CERVELLO – (Va verso la panchina) Mi gira la testa. Mi devo sedere. Mi sento mancare.
CUORE – Esagerato.
MUSCOLI – Basta ora. Non ce la faccio più. (Segue Cervello sulla panchina).
CUORE – (Guarda Panza disteso per terra) Pure voi vi arrendete?
STOMACO – Qualcuno dovrebbe almeno dare dell’acqua a Cervello… e un po’ anche a me.
CUORE – Prenditela da solo, no?
STOMACO – Di solito è compito di Muscoli, ma guardalo, non riesce neanche ad alzare un braccio.
PISELLO – Che figuraccia! Quella gnocca di prima ci sta guardato con pietà.
CUORE – Eh smettila. Ti sembra il momento di pensare a queste cose adesso?
MUSCOLI – (Cerca di sollevare Cervello ma fanno fatica a stare in piedi) Datemi una mano per favore.
CUORE – Arrivo, arrivo. Ti aiuto io. Devo fare sempre tutto io qua. Dai Cervello, stenditi un po’ prima che mi svieni davanti a tut... (non fa in tempo a dare una mano)
Cervello – (cade a terra disteso) Aiuto, non ci vedo più!

Buio.

venerdì 16 settembre 2022

KISSENEFREGA – Il club

Una limousine nera si ferma davanti a un imponente palazzo barocco situato nella periferia della città, quasi in campagna. Dopo qualche secondo di pausa ne esce un uomo in abito da sera nero e mantello. Porta una maschera in stile veneziano in faccia. Quell’uomo sono io.
 
Mi avvicino al portone del palazzo. Osservo con un po’ di timore ed eccitazione le due statue poste ai lati: un drago alato alla destra e un’aquila reale a sinistra. Col picchiotto a forma di testa di leone busso alla porta e attendo con ansia. In pochi secondi un maggiordomo apre.
«Parola d’ordine, signore?»
«Fidelio!» Rispondo senza esitare.
L’uomo però scuote la testa.
«Apriti sesamo.» Riprovo. Stesso risultato.
«Un fiorino…» Lo dico cercando di imitare l’accento napoletano. L’uomo scuote la testa ancora.
«Mi manda Walt Disney? Savoia o morte? La signora cammina con la borsa e il fosso si salta senza rincorsa?» L’ultima la dico come se fossi Antani, ma non basta.
Esausto esclamo: «Oh, Grande Giove… la parola d’ordine è…»
E l’uomo mi fa entrare.
«Bene, signore. Vedo che sa pensare quadrimensionalmente.» Aggiunge con un sorriso che posso solo immaginare perché è nascosto dalla maschera. Un cameriere mi toglie il mantello dalle spalle. Anche lui porta una maschera. Tutti qui dentro portano una maschera veneziana sul volto. Me ne accorgo quando comincio a camminare sul tappeto rosso del lungo corridoio poco illuminato che porta alle altre stanze del palazzo.
La mia attenzione viene subito attratta dalle grida di piacere e sofferenza che arrivano dalla prima camera. Mi affaccio e vedo due persone che fanno cose oscene. Rabbrividisco ma allo stesso tempo ne sono attratto. Faccio un passo dentro per vedere meglio. Un uomo mezzo nudo sta seduto su una sedia. Una donna sta in piedi dietro di lui. Lei gli massaggia vigorosamente le spalle dolenti. Lui grida per la sofferenza e per il temporaneo sollievo. Non posso restare un minuto più a guardare la scena.
Mi sposto subito verso la stanza successiva. Capisco subito che questa è la stanza più brutta di tutte. Ci sono solo uomini. Sono tutti rasati alla perfezione e hanno i capelli impomatati. Sono in giacca e cravatta che, a quanto pare, mettono anche di sabato e di domenica mattina per andare a bere il caffè al bar. Parlano di investimenti, di carriera, di macchine nuove, di giardinaggio e non ridono mai, neanche davanti a un dibattito politico italiano. Sembrano tremendamente seri e maturi. Li lascio subito stare. Non voglio neanche entrarci qui.
Vado avanti verso una nuova stanza dove trovo molti uomini e donne che parlano tra di loro in maniera composta anche se qualcuno sembra essere più concitato di altri. Non capisco bene di cosa stanno disquisendo, ma l’atmosfera sembra comunque molto distesa. Oh, che bello. I muscoli della fronte e delle mandibole si allentano. Penso che potrei unirmi alle loro discussioni, ma quando mi avvicino a una coppia capisco il contenuto della loro conversazione e mi si gela il sangue. Stanno parlando del tempo che farà domani. Una delle due dice che ci sarà il sole perché il cielo era rosso stasera. L’altra sostiene di aver controllato diversi siti di meteo e afferma sicura che invece pioverà. Io scappo prima che si accorgano della mia presenza e mi lancio in un altro gruppetto di persone. Con mio grande orrore la musico non cambia. «I giovani non sono più quelli di una volta…» Dice uno. «La nostra generazione è fatta di un'altra pasta.» Dice l’altro. «Si stava meglio quando si stava peggio.» Aggiunge il terzo. Robe da farti accapponare la pelle, ma non è finita perché arriva un’altra persona che con grande eccitazione esclama: «Hanno aperto un nuovo cantiere, ci andiamo?»
Mi basta e avanza. Esco dal camerone e torno nel corridoio. Sono deluso. Comincio a passare in rassegna velocemente le altre stanze senza grosse speranze e aspettative.
Nei bagni trovo chi si tinge i capelli e chi si strappa i peli bianchi dalla barba con una pinzetta davanti allo specchio. Nella biblioteca osservo con curiosità gente seduta sulla poltrona con le braccia distese in avanti per reggere un giornale nel tentativo di controbattere una miopia cavalcante. A ogni passaggio in corridoio mi sento male. Nel salone centrale vedo molti uomini e donne di mezza età perdere freni inibitori, lanciarsi in risate sproporzionate e imbarazzanti balli di gruppo dopo aver bevuto solo un paio di birre o un bicchiere di vino. Vedo le stesse persone coricarsi per “riposare” già alle nove di sera nelle camere da notte dopo aver messo a letto i propri figli.
Ho visto abbastanza. Devo scappare da questo luogo di perdizione. Devo andarmene, ma non posso. Le porte sono sorvegliate da un paio di scimmioni con una maschera da King Kong che nasconde una faccia da gorilla, le finestre sono sbarrate. Sto sudando freddo. Non posso restare in questo palazzo. Devo nascondermi da qualche parte prima che il personale del palazzo mi prenda e mi porti di forza in una di quelle tremende stanze che ho appena visitato.
In preda al panico apro la prima porta che trovo ed entro in una stanza silenziosa e semibuia. Al centro, illuminato da un faro di luce bianca, è posizionato un grande armadio a due ante. Un armadio di legno di rovere, massiccio e intarsiato. Chiudo la porta alle mie spalle e mi concentro sul mobile misterioso. Man mano che mi avvicino, delle note di pianoforte, prima singole, deboli e distanziate le une dalle altre, poi sempre più intense e in rapida successione riecheggiano. Il pathos aumenta finché appoggio la mano sulla maniglia dell’armadio e la musica si ferma di colpo. È solo nella mia mente oppure c’è qualcuno che segue le mie mosse. D’improvviso mi sento osservato ma questo non mi impedisce di tirare la maniglia e aprire l’armadio. Dentro non c’è niente. È buio. Molto buio, da non vedere il fondo. Questa può essere la mia salvezza da questo terribile palazzo e da tutte le sue maledette stanze. Qui posso starmene tranquillo. Nessuno mi romperà le scatole. Potrò evitare i contatti sociali, gli obblighi e gli impegni. Qui sarà un luogo sicuro per me, dove scaccolarmi, spaparanzarmi sul divano, guardare serie tv demenziali o vecchi film degli anni ’90 dei quali conosco tutte le battute a memoria senza essere giudicato. In questo armadio posso nascondermi dal mondo.
Mi faccio coraggio, entro con un piede, poi con l’altro. Sono dentro. Richiudo le ante dell’armadio dietro di me e i miei occhi si sono già abituati all’oscurità. Non è poi così buio e mi accorgo di non essere solo. Sono uomini e donne della mia età o più vecchi. Sono amici, conoscenti, parenti. Mi guardano e mi sorridano amaramente. Tengono in mano dei palloncini e reggono dei festoni.
Mi giro per scappare ma le ante sono bloccate. Incisa con le unghie sulla parte interna della porta dell’armadio una scritta recita: “Benvenuto nel club dell’anta!”
 
E voi direte: e chi se ne frega del tuo nuovo club? Beh, non prendetevela con me, non è colpa mia… io vi avevo avvisati: rileggete il titolo della rubrica, per piacere!

martedì 13 settembre 2022

IL LAVORATORE – Valdagen

Quest’anno si vota anche in Svezia. Avrei potuto votare in anticipo ma ho rimandato ogni giorno finché mi son dimenticato, nonostante la città fosse imbrattata da cartelli elettorali (che spesso chiedono di pensare all’ambiente) e nonostante ricevessi banane e succhi di frutta in regalo assieme ai volantini dai volontari che ti aspettano fuori dalla metro come mamme premurose. Nulla è però perduto perché posso ancora votare al valdagen, il giorno delle elezioni, anche detto giorno della balena per gli amici.
È domenica 11 settembre. Mi sveglio con calma, faccio colazione e bevo il caffè. Non ricordo se prima vado in bagno o prima a votare. In Italia un’attività avrebbe stimolato l’altra, ma qui in Svezia per fortuna la cosa è ancora irrilevante. Così esco di casa. L’aria è frizzante e il sole è pallido e mi gusto la passeggiata verso il mio seggio elettorale. D’altronde in Svezia si vota una volta ogni quattro anni per tutto – governo, regioni e comuni – contemporaneamente, con un notevole risparmio di tempo e denaro pubblico (sarebbe bello se in Italia si prendesse appunti su questo) ed è quindi un evento poco frequente. Me lo voglio godere.
Arrivo al liceo adibito a seggio, mi cresce un brufolo e mi avvolge una nostalgia da ritorno ai banchi di scuola. Mi passa subito quando vedo i volontari dei vari partiti politici che mi aspettano all’ingresso con i loro fogliettini elettorali (i cosiddetti valsedlar). Cosa sono? Sono dei piccoli fogli di circa 10x14 cm, tanto leggeri da sembrare essere fatti di carta velina, uno per partito politico e uno per i diversi voti – governo, regione e comune –, con i nomi dei candidati eleggibili. Dopo aver scelto il partito che si vuole votare, si inseriscono i foglietti nelle buste elettorali che spariranno poi nel minestrone delle urne. Un metodo che io trovo un po’ buffo e bizzarro ma simpatico, soprattutto per noi italiani abituati ai lenzuoli elettorali spessi quanto la pasta frolla.
Quindi avrei potuto ritirare i foglietti di uno specifico partito all’ingresso della scuola e mostrare a tutti quello che avrei votato (viva il voto segreto). No, non ci sto. Così entro nel seggio, scelgo i foglietti elettorali che voglio io dietro uno schermo ed entro nella mia sezione con i foglietti in mano. Se non facessi attenzione tutti potrebbero vedere per chi ho votato (viva il voto segreto, parte II), ma io li tengo a faccia in giù, mi nascondo dietro un altro schermo e infilo i foglietti nelle bustine. Butto l’occhio a sinistra e senza volerlo, senza sforzo, riesco a vedere cosa ha votato la mia vicina (viva il voto segreto, parte III). Se non ci fosse stato il foglietto del mio partito avrei potuto prendere un foglietto bianco, scriverci il nome del partito e, facoltativamente, anche quello di un candidato e magari aggiungerci “Ti metti con me? Sì – No”, da lanciare alla bella ragazza seduta nell’ultimo banco. Per fortuna io non ne ho avuto bisogno: sono sposato.
Dopo aver votato, dunque, consegno le mie bustine al commissario del seggio che controlla il mio documento d’identità e urla il mio personnummer. Manca solo che aggiunga con un ghigno “Ti avrei dato qualche anno in più…” oppure che gridi per chi ho votato (viva il voto segreto, parte IV). In compenso nessuno mi scatta una foto mentre infilo il mio voto nell’urna con un sorriso da paralisi facciale come i candidati al governo.
Poi esco. Torno a casa. Nonostante sia orgoglioso di aver adempiuto a un mio diritto e dovere di cittadino svedese, lungo la strada mi assale un filo d’ansia: avrò fatto la scelta giusta? Avrò fatto bene ad anteporre le mie ideologie a qualche interesse personale (o era il contrario, non ricordo… maledetta sindrome da memoria corta dell’elettore medio)? Per fortuna la Svezia ha un apparato politico abbastanza funzionante a prescindere da chi verrà eletto e questo un po’ mi rassicura. Poi però, a casa, l’occhio mi cade sul plico elettorale inviatomi dall’ambasciata italiana per le prossime elezioni di fine settembre e mi viene il mal di pancia.
 
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Ecco il link all’articolo su Il lavoratore:
https://italienaren.org/valdagen-il-giorno-delle-elezioni/

mercoledì 7 settembre 2022

RACCONTI – Senza via di fuga

TOC-TOC!
Bussano alla porta.
Kevin si blocca all’improvviso. Il mezzo panino che si è preparato per spuntino con prosciutto scaduto, pancarrè ammuffito e cipolline ferme nella salamoia da almeno un paio di mesi gli rimane tra faringe ed epiglottide.
SSST!
Ogni suo singolo muscolo corporeo si contrae e si prepara al peggio. Il coltello che ha usato per spalmare il burro d’arachidi cade dal tavolo ma lui riesce a trattenerlo tra le chiappe prima che tocchi terra.
TOC-TOC!
Bussano di nuovo.
Il battito cardiaco va a mille, ma Kevin Smith non batte ciglio. Ormai è abituato a tenere sotto controllo tutte le sue funzioni vitali. Niente può essere lasciato al caso nella sua situazione critica.
IIIH!
La maniglia comincia ad abbassarsi.
Non c’è più tempo per pensare. Bisogna agire. Con uno slancio deciso balza fuori dalla finestra, non prima di aver strappato dalle pareti i poster di Stallone in “Rambo” e Van Damme in “Accerchiato”, quelli deve portarli via con sé come santini protettori. Con le braccia si protegge dai pezzi di vetro che ha rotto e vola giù dal secondo piano.
SWISH & STUMP!
Atterra sul marciapiede con una capriola per attutire il colpo. Non ha neanche un graffio. Kevin è indistruttibile. Si toglie la polvere dalle spalle e scappa via veloce come il vento.
TSÈ!
Non lo avranno mai.
 
Nella stanza che Kevin ha appena lasciato entrano tre loschi individui. Portano sempre gli occhiali da sole, sempre, anche di notte e quando entrano in uno sgabuzzino buio. Non sorridono mai, neanche quando ridono. Il primo è alto, snello, dal naso a punta e dai capelli corti a spazzola. È rapido come il vento e potente come un dritto di Federer. È cintura nera di Kung-fu, IXX Dan. È così rapido che nessuno è mai riuscito a sentire come si chiama, così tutti lo identificano per il rumore che fa quando passa: Sneeze.
Il secondo è un energumeno, grosso e largo con gli occhi che sprofondano e quasi spariscono dentro la faccia. Inspira sempre troppo profondamente quando è arrabbiato e poi esplode buttando fuori tutta l’aria e a volte anche le tonsille. E lui è sempre arrabbiato. Se ti trovi sulla sua strada non perdona. Maneggia tutte le armi che l’essere umano abbia mai usato in una guerra. Lui si chiama Cough.
Il terzo è il più piccolo ma il più appiccicaticcio e viscido di tutti. Viaggia sempre attaccato alle gambe dell’armadio Cough che non si accorge mai della sua presenza perché non riesce a guardare sotto la linea della propria cintura. Appena può s’incolla al primo che passa e non si stacca più. Possiede il segreto del più antico Kata custodito dai bambini di tutto il mondo: l’arte di saper rompere i coglioni. Nessuno può levarselo di torno. Lui è Snut.
Niente e nessuno può fermare quei tre. Loro sono i tre scagnozzi del boss.
GRRR!
Il loro obiettivo, però, è scappato. Nessuno può fermarli, ma Kevin può sfuggir loro. Il capo non la prenderà bene. Il loro capo non perdona tanto facilmente chi fallisce. Il loro capo odia quando i suoi sgherri tornano a mani vuote e magari anche a mani pulite.
 
Mr. Crown è un omarello basso, tondo, con la gobba e dai piedi corti. Ha le guance butterate, le orecchie a sventola, l’alito che puzza e lo sguardo strabico e truce. Nonostante tutto ciò ha anche dei difetti, ma nessuno osa sfidarlo e mettere in dubbio la sua potenza nell’organizzazione criminale Vairus. Lui ne è il re. Per questo tiene sempre una corona in testa, un bomber con borchie sulle spalle e anfibi neri con spuntoni di metallo. È sempre felice di vedervi ma sfortunatamente quella che tiene in tasca è una pistola.
 
Loro hanno preso Jennifer, la moglie di Kevin Smith.
E Kevin ha lottato. Si è difeso. Ha combattuto come poteva. Ma alla fine è dovuto scappare per difendere Johnny e Seth, i suoi due figli maschi.
La mafia del Vairus, però, ha preso anche loro. Prima uno, sotto i suoi occhi mentre Kevin si era distratto a guardare un’altra mamma all’asilo, e poi l’altro, all’uscita della scuola.
AAAH!
Quei bastardi!
(Gli scagnozzi della mafia Vairus, non i suoi figli)
Kevin urla al cielo la sua rabbia e disperazione, mentre corre sotto la pioggia della città senza nome e senza pietà, dove quasi tutti sono sottomessi a Mr. Crown e ai suoi tre scagnozzi Sneeze, Cough e Snot.
Kevin suda freddo al solo pensiero di quella terribile organizzazione che tiene in ostaggio la sua famiglia da ormai una settimana. Kevin è costretto a muoversi in continuazione, a evitare le facce sconosciute, a stare sempre allerta e a tenere sempre libera una via di scampo come una finestra aperta o un condotto della ventilazione. È costretto a vivere in stanze microscopiche dalla luce bassa, l’aerazione pessima, senza armadi e a dormire su divani scomodi come un padre separato in casa. Lui che separato non è. Lui che ama ed è amato da moglie e figli. Estrae una foto di Jennifer, Johnny e Seth dal portafoglio e la guarda melanconico. Si chiede se un giorno potrà rivederli.
SIGH!
Vorrebbe piangere ma non può. Non c’è tempo. Deve correre. Deve scappare. Sneeze, Cough o Snut potrebbero essere alle sue calcagna e piombargli addosso in qualsiasi momento. Quei tre scagnozzi non si fermano mai. Faranno di tutto per rifarsi agli occhi del loro boss Mr. Crown. Quei tre aspettano solo una sua mossa falsa. Quei tre non riposano mai. Neanche Kevin quindi può farlo. Deve continuare a vigilare e a non distrarsi.
 
PANT!
Che fatica a essere sempre in guardia.
Un’altra settimana è andata. Kevin è incolume. La mafia del Vairus ha cercato di attaccarlo in ogni modo, ma lui si è difeso strenuamente. Con tutti i mezzi a sua disposizione. Con tutte le forze che aveva.
Mr. Crown è fortissimo. Negli ultimi anni non ha dato scampo agli abitanti della città senza nome, ma non ha preso tutti. Kevin infatti è rimasto incredibilmente incolume, nonostante gli attacchi delle ultime due settimane.
Ed è proprio negli ultimi giorni che la mafia Vairus ha commesso un errore. Si è concentrata troppo su Kevin e ha schierato tutte le forze nel tentativo di catturarlo. Così ha allentato la sorveglianza su moglie e figli che con pazienza sono riusciti a scavare un tunnel sotterraneo ed evadere dalle grinfie di Mr. Crown. Jennifer è scappata con Johnny e Seth in braccio ed è tornata dal marito.
URRÀ!
L’incubo è finito. Kevin può riabbracciare la sua famiglia. Tutti questi sforzi, però, sono costati cari. Kevin è a pezzi, distrutto, logorato fisicamente e psicologicamente, dentro e fuori. Non appena rivede i suoi cari crolla a terra disperato. Si sente sottosopra, coi crampi agli occhi e le lacrime ai polpacci. Il suo volto è sfigurato, suda copiosamente e non ce la fa più. Sembra parlare con amici lontani e sbracciare a vuoto contro nemici immaginari in preda alle allucinazioni. Dà l’impressione di essere in fin di vita. Quindi alla fine la mafia Vairus ha trovato un modo di arrivare anche a lui? Con un filo di voce chiede alla moglie di dare un abbraccio ai bambini e di dir loro che lui li ha sempre amati e che li amerà per sempre. Poi si accascia al suolo.
GASP!
La moglie Jennifer accorre al capezzale del marito con un bicchiere d’acqua in mano. Gli inumidisce le labbra e lo consola accarezzandogli la testa. Kevin sta solo riposando ma scotta sulla fronte. Jennifer gli misura la temperatura.
OH NOOO!
È la fine: Kevin è un uomo invincibile, un lottatore instancabile, un guerriero corazzato, ma come tutti gli uomini non può nulla contro questo nemico. No, negativo, non si tratta di Mr. Crown. Kevin ha solo un po’ di febbre a 37.3.

giovedì 1 settembre 2022

IL LAVORATORE – Manuale alternativo

La FAIS ha creato un manuale guida per le elezioni generali svedesi dell’11 settembre di grande aiuto per gli italiani residenti in Svezia (https://illavoratore.org/wp-content/uploads/Guida-in-italiano-per-elezioni-generali-svedesi-2022.pdf?fbclid=IwAR2qNUS1NaFWYRU7EKWutuuJ8Ajb4bTsf_qvVyH4pnuNQLYRhY0kkUVsLRw).
Lo avete letto? Benissimo. Hanno fatto davvero un ottimo lavoro.
Io, però, voglio fare meglio con questo manuale apocrifo infarcito di alcuni consigli vagamente utili per votare alle prossime elezioni svedesi.
Avete ricevuto la cartella elettorale via posta, vero? Parlo di quella lettera col bordo viola del Valmyndigheten che è arrivata una o due settimane fa. Ce l’avete? Bene. Ora andate al supermercato del centro commerciale e prend… come, come? Che c’entra il supermercato con le votazioni? C’entra, c’entra. No, non dovete comprare un falukorv, tagliarne una fetta e inserirla nella scheda elettorale aggiungendo la scritta ”Mo’ magnateve pure questa!” No… o meglio, si potrebbe fare se proprio proprio ci tenete perché anche questo è un vostro diritto. Questo è il bello (e il brutto) della democrazia: tutti, ma proprio tutti i maggiorenni, che siano sani o salami, hanno il diritto e il dovere di esprimere il proprio voto.
Il supermercato c’entra perché in Svezia si può votare in anticipo (da 18 giorni prima delle elezioni) anche in un centro commerciale, in una biblioteca, a teatro oppure in molti altri luoghi selezionati dal Valmyndigheten (controllate pure su www.val.se se non ci credete).
Una volta giunti al seggio elettorale procuratevi una penna (rubata da un hotel o da un collega di lavoro va bene lo stesso). Entrate nel segreto della cabina e disegnate sulla scheda simboli fallici osceni! No, scherzavo! O meglio… sì, potete fare anche quello ma poi non lamentatevi se chi viene eletto è un cazzaro.
Non fatevi distrarre e votate bene invece. C’è molta scelta: potete votare destra, sinistra, poi sempre dritto per cento metri fino a giungere all’ufficio postale, non potete sbagliare. Potete votare per i progressisti, i conservatori, gli spreconi, per il centro o per la periferia.
Potete votare per una persona singola che vi ispira fiducia o simpatia, votare per un partito oppure votare per un andato (e se ho capito bene ci sono molti candidati partiti per la tangente e molti andati a male anche qua in Svezia).
Se invece siete confusi potreste anche lasciare il foglietto intonso, ma così facendo lascereste agli altri una decisione importante. Sarebbe come abbandonare il telecomando nelle mani di un bambino di sei anni: potreste ritrovarvi a guardare cartoni dei Pokémon dalla mattina alla sera per i prossimi quattro anni, ma vi garantisco che non vedreste nessuna evoluzione.
Voto nullo o scheda bianca non sono dunque delle buone opzioni, così come fregarsene delle elezioni e starsene a casa perché a quel punto saranno i politici del prossimo governo a infischiarsene di voi.
Allora che resta da fare? Leggere, informarsi, chiedere, seguire i dibattiti e farsi un’idea propria (magari con l’aiuto di un valkompass fornito su internet da diverse testate giornalistiche come DN, SvD, SVT, TV4, ecc…)
Infine votate! Che sia solo per il comune e la regione o anche per il governo (solo se siete cittadini svedesi nell’ultimo caso). Andate a votare perché è un vostro diritto e un vostro dovere, qualsiasi sia il vostro orientamento politico, non mi interessa, ma votate!
 
P.s.: Ma se proprio volete il mio consiglio, mi raccomando, non votate assolutamente per quelli là che hanno quel simbolo colorato che…
 
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Ecco il link all’articolo su Il lavoratore:
https://italienaren.org/manuale-alternativo-alle-elezioni-svedesi/