mercoledì 28 giugno 2023

ITALIENAREN – Viva la fika

Bene, ora che mi sono guadagnato l'attenzione delle persone più allupate con questo squallido stratagemma da clickbait, posso affermare con assoluta certezza e con la coscienza pulita che nonostante l'apparenza non ho scritto niente di volgare o di osceno. Quantomeno se ci troviamo in territorio svedese.
Non c'è niente di strano nella parola fika. Suscita spesso ilarità le prime volte che la vedi, ogni tanto imbarazzo quando vengono a trovarti parenti e amici, ma poi ti abitui e diventa un concetto comune della vita di tutti i giorni. Fika è una parola difficilmente traducibile. Non esiste infatti un corrispettivo in italiano o in altre lingue che ne racchiuda a pieno il significato usando una sola parola. La fika è in realtà un concetto, quasi una filosofia, che può essere descritta in mille modi diversi e che varia da situazione a situazione: per alcuni è una semplice pausa tra una mansione, lavorativa o non, e l'altra, per altri è un incontro tra due o più persone e per altri ancora è un momento per sé stessi, quindi da consumare da soli. Spesso si fa con il caffè o con il tè anche se non sono strettamente necessari. Infatti si può fare con altre bevande, senza niente da bere e solo con cose da mangiare, dolce o salato che sia, o addirittura solo con l'acqua e la presenza di un amico.
Come si può intuire c'è chi ovviamente ci guadagna con la fika. Senza dover tornare alle malizie iniziali basta pensare a tutte le industrie che producono caffè e dolciumi e a chi ne ha fatto una catena di bar per sbarcare nel mercato internazionale. C'è anche chi dà la fika gratis (ahia, ma allora è un chiodo fisso!) per attirare pubblico a eventi culturali e sportivi e chi costringe gli altri, più per pressione sociale che per pressione fisica ovviamente, a prendersi la fika, come in molti luoghi di lavoro dove è obbligatoria e a orari e giorni fissi. Non a caso, infatti, in molti contratti di lavoro si trova spesso un paragrafo dedicato alla fikakultur (attenzione, rileggete bene, non è il culto della fika, anche se ci va vicino), che regola il modo e la frequenza delle pause lavorative.
Nonostante qualche mandrillo possa pensarlo, la parola fika non è la parola più antica al mondo ma ha comunque un'origine lontana nel tempo. Qualche linguista la fa risalire al '700, altri invece a inizio '900. Per qualcuno proviene dalla regione di Stoccolma, per altri da altre regioni, quali il Dalarna o Västergötland. Il denominatore comune tra le varie teorie è che fika abbia origine dalla parola kaffe (caffè in svedese), o più specificatamente da una forma dialettale kaffi letta seguendo le regole del backslang, un gergo convenzionale ideato nell'Inghilterra Vittoriana in cui le parole vengono pronunciate a ritroso o cambiando l'ordine delle sillabe.
Si può leggere quanto si vuole sulla fika ma non basta fermarsi alla teoria, è meglio buttarsi subito in qualche bel bar svedese per fare pratica.
Viva la fika, dunque. E che Dio la benedika.
 
---
Ecco il link all’articolo su Italienaren - Il lavoratore:
https://italienaren.org/viva-la-fika/

mercoledì 21 giugno 2023

RACCONTI – Breaking restaurant

È ora di pranzo. Ho fame. Oggi ho proprio voglia di un burrito o dei nachos. Hm… che buoni. Per fortuna che sotto casa hanno da poco aperto un nuovo ristorante che ne vende. Guardo l'orologio. Controllo sul sito gli orari di apertura e corro giù dalle scale come un bambino al quale hanno promesso la Playstation, anzi la estación de juego. Apro il portone e raggiungo l'ingresso a grandi falcate e col fiatone. Il ristorante però è chiuso. Inspiegabilmente chiuso. Nessun cartello. Nessun avviso. Chiuso e basta. Non so se essere deluso o arrabbiato. Opto per entrambi allo stesso momento.  Questo locale ha aperto da poco e non sembra essere interessato ai clienti o alla ristorazione in generale. Non so darmi altre spiegazioni se non che sia un ristorante filo messicano, filo texano e un filo sospetto per quanto riguarda l'aspetto legale. Io credo che questo ristorante sia un'attività malavitosa come riciclaggio di denaro sporco, deposito di merce rubata, nascondiglio per boss latitanti. Mia moglie mi dà del pazzo per questo ma io porto avanti la mia ipotesi. Gli orari di apertura sono limitatissimi, vanno dalle 11 alle 14 (i primi giorni solo dalle 12 alle 13) e mai durante i sabati e le domeniche. C'è pochissima clientela e sembra sempre tutto pulito e ordinato come se non venisse mai usato. In effetti, visti gli orari d'apertura, potrebbe essere semplicemente che non venga proprio usato ma l'ipotesi malavitosa è più scenica e dà più sfogo alla mia fantasia. Chiude quando gli pare senza dare nessun avviso alla clientela. Infine ha persino un errore sull'insegna (una i dimenticata sulla parola "burrtos").
Sto guardando attraverso la vetrina in cerca dei narcos, di membri del cartello messicano o di una botola che porti ad una cantina segreta dove sono nascoste montagne di dollari falsi o una prigione per immigrati clandestini, ma non trovo niente. Solo un locale ordinato, pulito e recentemente rinnovato. Provo ad aprire la porta d'ingresso ma non si smuove di un centimetro. Mi devo arrendere.
Mentre mi allontano guardo con disprezzo il ristorante e la sua insegna. Solo in quel momento mi accorgo di un particolare che mi era sfuggito. Il nome del ristorante è coperto da un'etichetta gigante di plastica dello stesso colore dello sfondo appiccicata sopra con cautela. L'errore sulla scritta burrtos mi aveva distratto durante tutte queste settimane e forse quella era la sua funzione. Il caldo di queste giornate però ha sciolto un po' la colla e l'etichetta ora si sta staccando. So che non dovrei farlo. So che dovrei andarmene a casa e farmi i fatti miei. So che non si scherza con questa gente, ma la tentazione è troppo forte. Il fato mi assiste perché mi guardo a destra e a sinistra e in quel momento non sta passando nessuno per strada. Nessuno che cammina, nessuno in macchina, nessuno affacciato alle finestre. È il destino che mi incita ad eseguire l'ordine che i miei pensieri mi stanno mandando. Devo farlo. Allora mi riavvicino al ristorante. Salgo in piedi sulla sedia messa quasi di proposito davanti all'ingresso. Con un po' di sforzo, in punta di piedi, prendo un lembo dell'etichetta e la stringo forte tra le dita. Comincio a tirare con forza e velocità, perdo l'equilibrio cadendo dalla sedia ma non mollo la presa. In un secondo l'etichetta si stacca dall'insegna rivelando il vero nome del ristorante e corroborando i miei sospetti. Rimango a bocca aperta mentre leggo ad alta voce la scritta rossa su sfondo giallo "Los pollos hermanos". E prima di immaginarmi che un gruppo di uomini poco raccomandabili dal forte accento ispanico mi infilino un cappuccio nero in testa e mi portino via con la forza riesco a pensare: "Lo avevo detto… I was goddamn right!"

giovedì 15 giugno 2023

ITALIENAREN – Liberi tutti

Tre-due-uno… Yuhuuu!
Capodanno? No, estate svedese.
C'è il sole, fa caldo[1], le giornate sono lunghe, le vacanze sono alle porte, ci si può mettere i pantaloncini corti, le belle ragazze svedesi si spogliano e… hm, scusate, mi sono lasciato trasportare dagli ormoni. Ritorno in carreggiata.
L'estate è dunque ufficialmente arrivata. Non è strano a dirsi perché è bene ricordare che in Svezia bastano cinque giorni di fila con più di 10°C come temperatura media per far partire l'estate, la quale esplode stappata come una bottiglia di spumante, o meglio come un rosé frizzantino, il popolarissimo vino estivo in Svezia. Così si aprono le danze e le corse sfrenate ai parchi, boschi, picnic e grigliate all'aria aperta, spiagge e si salvi chi può.
Per tutto l'inverno mi sono arrotolato una corda attorno alla vita aspettando questo momento. Ora tiro velocemente un'estremità e parto come una trottola impazzita. Corro a destra e a sinistra, pianifico gite fuori porta come fosse uno stratega militare studiando la mappa della città in cerca di mete ancora inesplorate.
Stoccolma e il suo circondario offrono una vastità di boschi e foreste di un verde infinito che lasciano solo l'imbarazzo della scelta: il parco nazionale di Tyresta a Vendelsö, Lida friluftsgård a Tullinge, Nackareservatet a Nacka (non poteva essere altrove), Alby friluftsgård (che non è alla fermata della metro a Botkyrka ma dall'altra parte delle città, a Tyresö), la riserva naturale di Björnö a Värmdö (che mi ha deluso per l'assenza di orsi nonostante il nome stesso del parco lo pubblicizzasse parecchio[2]), i prati sterminati di Ekerö con le mucche dell'Arla. Questi sono solo pochissimi esempi delle centinaia di aree verdi attrezzate con barbecue, percorsi naturali, camping, aree balneari nei laghi e altri servizi che distano a solo pochi chilometri dal centro città, spesso facilmente raggiungibili con i mezzi pubblici o in 30-40 minuti con l'automobile.
Basta scegliere ad occhi chiusi puntando il dito sulla cartina del circondario stoccolmese per trovare un bel posto e caricare lo zaino con acqua, pranzo al sacco e vestiario a cipolla che spazia dal costume all'impermeabile passando per il maglione di lana perché non si sa mai. I sabati e le domeniche filano via lisce tra indigestione di korv, banane e biscotti e raccolte di bastoni di ogni forma e dimensione che devono essere tassativamente conservati a casa e che ormai raggiungono un valore inestimabile in valuta locale[3]. Anche il conto dei passi sale vertiginosamente durante l'estate: 10 chilometri percorsi a piedi per giornata, 9 dei quali con un figlio di 20 kg sulle spalle e l'altro che ti assilla le orecchie lamentandosi del dolore ai piedi, salvo poi vederli entrambi correre e saltellare allegramente sopra alcuni massi urlando "Floor is lava", all'arrivo a pochi metri dalla macchina.
Si sopporta tutto in nome dell'estate anche se tutto questo trambusto mi lascia senza fiato. Quando mi metto a dormire la sera sento infatti i piedi friggere e i muscoli squagliarsi. Ho fatto tutto quello che potevo per sfruttare le giornate di sole ma mi sono dimenticato di fare una cosa: riposare. Ah, per quello ci sarà tutto il prossimo inverno!

---
Ecco il link all’articolo su Italienaren - Il lavoratore:
https://italienaren.org/liberi-tutti/
[1] caldo in temperatura locale che si aggira tra i 12°C e i 19°C, se si è fortunati.
[2] björn in svedese significa orso.
[3] valuta locale di casa mia, quindi il pregiatissimo Soldo del Bambino.

venerdì 9 giugno 2023

ITALIENAREN – Riciclo culturale

Non compro più libri.
Ecco, l'ho detto. Mi sono tolto un peso dalla coscienza. Ho ceduto e alla fine mi avete beccato. Colto in fallo. Non compro più un libro da anni. Probabilmente state pensando che sia un'ipocrita: il solito italiano che pensa solo a scrivere libri ma non ne compra uno neanche per schiacciare gli scarafaggi sul pavimento. Uno che predica tanto ma razzola pochissimo. Una persona che proclama la diffusione della cultura ma poi non mette in pratica ciò che divulga. Magari penserete che sia un falso, un impostore, un illetterato, un bifolco, un ignoran… va bene, calma ora. Andateci piano e non prendeteci gusto solo perché vi ho lasciato spago.
Lasciate che mi spieghi meglio. Ho scritto che non compro più libri. Non che non ne leggo più. Certo, sono il primo ad ammettere che dovrei leggere di più, ma lo faccio. Cerco di leggere ogni giorno. Ho sempre pensato che per uno che ama scrivere, le pagine degli altri sono come benzina per il motore della creatività. Sono come inesauribile fonte d'ispirazione e di conoscenza, come melatonina per il mondo dei sogni. Mi piacciono così tanto le pagine stampate che spesso mi assale l'angoscia al pensiero che quando morirò dovrò anche lasciare moltissimi libri nella mia libreria e nella mia lista infinita dei desideri senza essere mai riuscito a leggerli.
Vi ho convinto? No? Allora lasciate anche che vi racconti che la prima frase di questo racconto è in realtà una bugia. Compro ancora molti libri, ma quelli in italiano. Quelli in svedese invece non li compro perché li trovo più facilmente nell'immondizia.
Ecco, l'ho detto. Non me ne vergogno. Ora penserete che sia un barbone che va in giro per la città a cercare libri nei cestini come fossero lattine oppure che sia un diffamatore della letteratura svedese. Io però non intendevo affatto dichiarare che i romanzi svedesi siano spazzatura. Anzi. Mi avete frainteso un'altra volta. Adoro gli scrittori svedesi e per fortuna non devo comprare i loro libri perché li trovo sempre nel locale condominiale adibito alla raccolta differenziata. In quasi tutte le återvinningsrum, come viene chiamata in svedese, tra cassonetti per la plastica, bidoni per le batterie usate e campane per il vetro, un angolo è dedicato agli oggetti usati tra i quali appunto libri, ma anche vestiti, giocattoli, piatti e posate, elettrodomestici, vasi e persino mobili come divani e tavolini. Tutta roba ancora in (più o meno) ottimo stato che i vicini di casa non vogliono più e che invece di buttare via, mettono a disposizione degli altri condomini. I libri più comuni che si possono trovare sono "En man som heter Ove" o uno dei tanti bellissimi romanzi di Fredrik Backman, "Hundraåringen som klev ut genom fönstret och försvann" di Jonas Jonasson oppure la classicissima trilogia Millennium di Stig Larsson che è un po' come il prezzemolo per le ricette italiane. Sono tutti lì, impilati diligentemente sullo scaffale, ad aspettare che un nuovo proprietario se li porti a casa gratuitamente, senza aspettarsi niente in cambio.
Non avrei mai pensato di ritrovarmi a desiderare di essere un autore da discarica. Ma è veramente così, perché essere ospite fisso di quegli scaffali di qualunque återvinningsrum di Svezia significa che in tantissimi, quasi tutti, ti hanno letto e riletto almeno una volta. Che soddisfazione.
Quindi, dopo aver letto questo racconto, vi prego, non buttatelo nel cestino del desktop di Windows ma condividetelo nella bacheca di Facebook del vostro condominio.

---

Ecco il link all’articolo su Italienaren - Il lavoratore:

https://italienaren.org/riciclo-culturale/