giovedì 27 ottobre 2022

IL LAVORATORE – Delizie gialle

Sì! Le ho viste!
Ebbene sì. Le ho già viste. Sono al supermercato.
Mi hanno messo subito il buonumore. Io le adoro. Sono le gatte di Lucia. Buonissime. Ogni anno ne mangio a più non posso consapevole di avere un tempo limitato prima che non se ne trovino più in giro. Le mangio a colazione, pranzo, cena, merenda e anche come spuntino di mezzanotte. Sono insaziabile. Le gatte di Lucia mi fanno impazzire. Sono deliziose da sole, magari accompagnate da un caffè o un succo di frutta, ma anche imbevute nel latte se si sono un po’ seccate. Le preferisco semplici senza tante altre aggiunte, ma non mi tiro indietro se le gatte sono farcite di pasta alle mandorle o adornate di uvette.
No, non sono un sadico vicentino che si gusta felini in diverse salse. Quello che vi descrivo sono le Lussekatter, traducibile come le gatte di Lucia appunto, un tradizionale dolce svedese del periodo natalizio.
Vi ho già detto che le amo? Sì, vero… ma mi ripeto. Mi piacciono da morire quei panetti gialli, soffici e dolci al gusto di zafferano. Se fatti (bene) in casa sono un orgasmo per il palato quando la pasta ti si scioglie in bocca al contatto con la lingua. Con la loro tipica forma di numero otto o del segno dell’infinito sono una dipendenza dalla quale non si vede una fine. L’aroma di questo pasticcino caldo appena sfornato s’insinua come un serpentello nelle narici e mi costringe a ingurgitare quantità illimitate di questo dolcetto ben oltre il livello di sazietà. Le Lussekatter sono un peccato di gola, una tentazione diabolica che non mi lascia mai scampo (alcuni infatti ritengono il nome abbia origine da Lucifero).
Di solito le Lussekatter si consumano prevalentemente attorno al giorno di Santa Lucia, il 13 dicembre, e anche se le amo alla follia (non ricordo di averlo scritto quindi lo ripeto per sicurezza) siamo pur sempre a fine ottobre. Mi sembra un po’ troppo presto per abbandonarmi tra le braccia di quell’impasto morbido e invitante e a quella superficie dorata e luccicante… mmm! Devo trattenermi. A fatica, ma devo farlo. Le gatte di Lucia dovranno aspettare. Ora compro solo il latte che mancava per la colazione di domani e poi torno dritto a casa per cena.
 
BLIP
— Signore, vuole una busta per portarsi via il chilo di Lussekatter che ha appena comprato?
— No, non serve. Le mangio subito. Dove devo pagare?
 
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Ecco il link all’articolo su Il lavoratore:
https://italienaren.org/delizie-gialle-roberto-riva/

venerdì 21 ottobre 2022

IL LAVORATORE – L’istituzione per eccellenza

Imprescindibile. Impareggiabile. Inimitabile. Inevitabile.
Non sto parlando del re, del senso civico svedese e neanche del welfare. No, qui si tessono le lodi di un elemento imprescindibile, un’istituzione appunto, non solo della cucina ma anche della società svedese. Polpette IKEA? Scansatevi. Kanelbulle, chi? Pancakes? Ma neanche per idea. Sto parlando di lui, l’idolo delle folle, il re della tavola, il dominatore del gusto… il mitico korv. Non mi riferisco al falukorv (quella specie di salvagente rosso tipico della cucina svedese) ma al comunissimo e universale korv che si trova nel baracchino sotto casa. Sì perché sotto ogni casa in Svezia, o quantomeno a Stoccolma e nelle grandi città, si può facilmente trovare l’immancabile chiosco che vende korv, che più sono luridi e unti e più sono buoni. In questi casi, infatti, vengono amichevolmente soprannominati korvazzi, soprattutto se ingurgitati alle tre di notte mentre si aspetta il bus notturno dopo una serata di bevute con gli amici.
Il korv non è una salsiccia e non è un wurstel o un hot-dog. Cioè sì, può essere entrambe le cose, ma in realtà è molto più di questo. È un punto fermo della società. È un’ancora di stabilità economica e identitaria. È una coperta di Linus per gli abitanti di questo paese.
Il korv lo trovi principalmente in due formati che portano a dubbi amletici davanti al menù del suddetto chioschetto stradale: grillad oppure kokt (attenzione amici anglofoni, non è una parolaccia). Può essere tradizionalmente di carne o vegano per rispettare ogni ideologia. Può avere chiare influenze teuto-italo-ispaniche oppure essere nostrano. Qui non si fa nessuna differenza, non c’è niente di strano in questo.
Il korv è come il prezzemolo. Sta bene dappertutto. A colazione (eh lo so, anche gli svedesi hanno difetti), a pranzo, a cena e come spuntino, sia prima che dopo la mezzanotte. Lo trovi alle feste dei bambini, alle riunioni condominiali, agli eventi sportivi, al festival del korv a Stoccolma e Göteborg (rispettivamente in giugno e novembre), nelle case della classe media e anche nei ristoranti di lusso. Sta bene con le patate, fritte o lesse, col pane, il ketchup e la senape, nella pasta come “salsa” (eh lo so, anche gli svedesi hanno difetti), nello stufato. In pratica non stufa mai.
Il korv non guarda al colore della pelle, all’orientamento sessuale, allo status sociale. Elargisce amore a prescindere. Sfama tutti, incondizionatamente: dal più grande al più piccino; dall’operaio stanco dopo una giornata di lavoro intensiva e fredda, all’imprenditore che ne afferra uno di fretta tra una riunione e l’altra; dal genitore indaffarato col passeggino al giovane hipster (che probabilmente se l’è insaccato in casa da solo); dal prete all’ateo; dal re all’anarchico.
C’è dunque un collegamento viscerale tra il korv e la società svedese. C’è una forte componente ereditaria nella predisposizione degli svedesi alla consumazione di korv in ogni momento e luogo. Ci deve essere una specie di imprinting genetico nelle cellule scandinave che portano all’amore per questo piatto. Non riesco a darmi altra spiegazione. Non avete mai notato, infatti, che i cromosomi hanno la forma di due korv attaccati al centro? Solo un caso? Io non credo.
Infine, non va neanche sottovalutata l’influenza ambientale. L’esempio sono i miei figli, nati in Svezia da genitori italiani. Cosa scelgono al ristorante davanti al menù con pasta al pesce, pizza, pinsa, piadine, fritture miste? Non serve neanche dirlo. Ovviamente il beneamato korv!
 
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Ecco il link all’articolo su Il lavoratore:
https://italienaren.org/listituzione-per-eccellenza/

mercoledì 12 ottobre 2022

IL LAVORATORE – Il soprammobile

Apro la porta e la campanellina suona. Il proprietario mi guarda con aria disinteressata e continua a compilare i suoi libri e controllare i cataloghi. Io comincio a guardarmi attorno.
Il negozio di souvenir è molto fornito. Trovo quadretti con paesaggi idilliaci, bicchierini celebrativi, statuine, magneti da frigorifero e strofinacci ricamati. Niente d’interessante.
Sto per uscire ma un oggetto attira la mia attenzione. Ne ho visti tanti di simili, ma questo è un pezzo unico. È nascosto nell’angolo anche se dovrebbe stare in mezzo al negozio per quanto è bello. Lo raccolgo dal tavolino sul quale era appoggiato. Lo osservo attentamente: è proprio meraviglioso. C’è di tutto, dall’arte al cibo, dalla natura alla tecnologia, dalle persone alla lingua. Quello che lo rende speciale è quello che rappresenta. È una palla di vetro souvenir. Quelle con il liquido e la neve finta. Quella che fa la bufera se la capovolgi.
Solo che questa si agita da sola. Non serve neanche toccarla perché vada sottosopra. E la neve è sempre di meno. Prima fa caldo. Tanto caldo. E secco. Per molto tempo. Afa ardente che brucia foreste e città, che fa sparire fiumi e laghi.
Poi piove. A catinelle e all’improvviso. Acquazzoni che devastano campagne e paesi. Se la distruzione non arriva con il torrente ci pensa il vento. Forte, a raffiche che spazzano via tutto.
E il ghiaccio si scioglie. Velocemente, portandosi dietro cose e persone. Si stacca e scende a valle.
Poi trema la terra. Ferocemente. In diversi punti. Si piega ma non si spezza.
Dopo un po’ sembra che la palla di vetro si sia calmata, ma è solo la quiete prima di un nuovo scossone. Sociale. Politico. Più forte di quello di prima. Si spezza ma non si piega. Si rompe qualcosa e poi l’acqua si tinge di nero.
Cerco di distrarmi Buttando l’occhio da un'altra parte: vedo montagne spettacolari e coste meravigliose, colline fiorite e pianure rigogliose, parchi verdi e città interessanti. Funziona. Non penso più a quello che succedeva prima. Guardo ancora e vedo grandi tradizioni e poca voglia di innovazione, osservo menti eccellenti e spiriti truffaldini, sento risate di cuore e pianti disperati. No, guardare dall’altra parte non funziona poi così bene.
Amo questo souvenir. C’è poco da dire. Come si fa a non volergli bene. Più lo guardo, però, e più mi rendo conto che non posso portarlo via con me. Lo devo tenere a distanza perché basta reggerlo in mano per qualche secondo e già si scuote tutto. Non posso farci niente con un oggetto così instabile. È stupendo, incantevole, sorprendente. Come tutti i soprammobili però è sì bello ma inutile. Lo devo lasciare nel negozio. Lo appoggio sul tavolo. Saluto il venditore che neanche mi risponde impegnato ancora a scartabellare tra i suoi documenti. Apro la porta. La campanella suona di nuovo. Io rimango ancora all’estero… hm, volevo dire all’esterno.
 
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martedì 4 ottobre 2022

RACCONTI – I tassi d’interesse

È crisi.
No, non solo quella mia personale che è poco interessante e non fa notizia perché è sempre presente. Si parla ovviamente della crisi mondiale dei mutui. Tassi d’interesse alle stelle. Portafogli alle stalle.
Che si fa? Bisogna pensare al futuro e anche al presente. Si deve quindi correre ai riparti per cercare di salvare l’economia domestica e non ritrovarsi a mangiare riso e patate per il prossimo decennio. C’è solo una soluzione: riunione generale. Che detta così sembra come una mega riunione di tutti gli amministratori delegati in giacca e cravatta di Google, Apple e Amazon, quando in realtà siamo solo io e mia moglie stanchi e in pigiama davanti al computer dopo le nove di sera quando i bambini sono andati a dormire.
Il nostro obiettivo è cosa fare del mutuo. Al momento dell’acquisto dell’appartamento abbiamo spezzettato il mutuo in mille parti, forse nella vana speranza che la banca si scordi di qualcuna di loro. Alcune parti sono a interessi fissi, altre a interessi variabili con alta probabilità di pioggia e tempesta. Nessuna parte è a interessi sereni. Data la situazione sociopolitica attuale io e mia moglie abbiamo deciso di mettere tutto fisso per cercare di coprirci le spalle da imprevisti e rialzi drastici. Abbiamo di fronte a noi diverse opzioni e diverse percentuali. Guardiamo lo schermo per qualche minuto (ora?) senza dire niente. A volte tratteniamo il respiro, a volte deglutiamo rumorosamente nella speranza che sia l’altro a parlare per primo e proporre. Ci guardiamo negli occhi e contemporaneamente, come fanno tutte le coppiette innamorate in perfetta sintonia tra di loro, diciamo due opzioni completamente diverse. Così concordiamo che sia meglio rifletterci sopra e che la notte (insonne) ci porti consiglio.
 
Adoro procrastinare su cose importanti quali la salute e il pagamento delle tasse, ma quando ti accorgi che gli interessi della banca aumentano di giorno in giorno, anche di quasi un punto percentuale, forse è il momento di intervenire. Quindi la sera successiva i bambini sono a nanna e io e mia moglie ci ritroviamo davanti al computer per decidere. Osservo gli interessi sul sito della banca, guardo l’orologio appeso al muro per capire se almeno oggi riusciremo a prendere una decisione, ritorno con gli occhi sullo schermo e… incredibile: in quel mezzo secondo gli interessi sono aumentati di nuovo. Per sicurezza decido di non staccare più gli occhi dal computer. Mi faccio legare mani e piedi alla sedia e mi faccio installare un macchinario che mi tenga le palpebre aperte e fisse sullo schermo come in Arancia Meccanica. Almeno così sono sicuro che riuscirò davvero a fissare il mutuo senza batter ciglio.
Dopo un’accesa discussione basata su argomenti che non conosciamo quali il futuro dell’umanità e la strategia militare di Putin decidiamo che non è proprio il caso di squartare un animale per esaminarne le viscere e che faremo il meglio che possiamo. Votiamo così per fissare i tassi d’interesse a due anni. Mia moglie pone la firma elettronica ma deve farlo anche l’altro coniuge per essere valido. Ora dunque tocca a me. Tutto è nelle mie mani. Mancano 0.8 secondi alla fine del quarto quarto. Praticamente la partita è finita. Stiamo perdendo di un punto, ma io ho due tiri liberi a mia disposizione. Devo solo controfirmare e poi è fatta. Guardo il tabellone: gli interessi sono al 3.76 %, le mie energie psicofisiche al 2.76 %.
No, merda! Ho distolto lo sguardo dallo schermo. Sono aumentati ancora gli interessi? No, ma un gasdotto nel Mar Baltico si è rotto “da solo” (come dice mio figlio di quattro anni con il manico della tazza in mano e i cocci e il latte sparsi sul pavimento). Questo farà sicuramente aumentare gli interessi alla stessa velocità con cui il metano distruggerà l’ecosistema scandinavo.
INTERMEZZO. A volte m’immagino i banchieri seduti attorno a un tavolo aspettare con avidità una nuova catastrofe sociopolitica per aumentare sadicamente gli interessi dei mutui. Guerra in Ucraina? Aumentiamo gli interessi. Crisi energetica? Aumentiamo gli interessi. E giù di risate sataniche e mani che si sfregano. Qualsiasi evento avverso è un pretesto per flagellarci. Scarseggia il grano? Chiediamo più grana. Hai fatto cadere una goccia di caffè sul bancone della cucina senza passare lo straccio? Tassi più alti… ah no, l’ultimo esempio era mia madre. O forse mia moglie? Freud, ti prego, aiutami tu a rispondere. FINE INTERMEZZO.
 
Alla luce delle ultime notizie sul gasdotto Nord Stream, dunque, io e mia moglie cambiamo strategia e fissiamo questa parte del mutuo a quattro anni. Mi appare Gerry Scotti che mi chiede se è la mia risposta definitiva e se la accendiamo. La risposta l’avrò dopo la pubblicità o molto probabilmente fra un paio d’anni se sopravviverò.
Non c’è più tempo per pentirsi. Ormai sia mia moglie sia io abbiamo posto la firma digitale. Leggo le cifre riportate sul sito della banca che indicano quanti soldi dovremo sicuramente pagare per i prossimi quattro anni, a prescindere dall’andamento futuro degli interessi. So che sono numeri ma in quel momento li vedo più come piccoli chiodini neri. Chiodi sulle nostre bare ovviamente.
 
Sono sudatissimo, come Charles Barkley al momento dei tiri liberi, per restare nella metafora cestistica di qualche riga fa. Ho consumato un blister di Gaviscon e uno di Moment. Ora mi sento esausto, fisicamente e mentalmente, ma almeno è fatta… fino a dicembre, quando dovremo decidere per l’altra parte del mutuo che avevamo fissato a un anno al momento dell’acquisto dell’appartamento. Quella parte che volevo far dimenticare alla banca e che invece ho dimenticato io.
Niente paura. Ci penserò tra qualche mese. Posso procrastinare. È una cosa che mi riesce bene. Così tiro un sospiro di sollievo. In quel momento però squilla il telefono. È la compagnia elettrica. Mi dice che è arrivato il momento di rinegoziare i prezzi dell’elettricità: fisso o variabile?
Mi gira la testa e mi faccio un’altra domanda: apro una nuova scatola di Gaviscon o di Moment?