martedì 27 dicembre 2022

KISSENEFREGA – Il regalo

Tutto è al posto giusto: il numero 21 sulle spalle, la perfetta rifinitura della maglia giallo e blu, il piano bianco dritto e scivoloso, la rotazione e lo scorrimento fluido dei giocatori lungo le fenditure, il disco che viaggia senza trovare resistenza, le mazze da hockey che sferragliano una contro le altre. Tutto è perfetto. Due squadre, Svezia e Finlandia, che si sfidano in una partita che va ben oltre lo sport. Tutto è in ordine: il portiere con la maschera, i due arcigni difensori, le due ali scattanti e l’attaccante centrale pronto a segnare.
Questo è più di un semplice gioco. È più di un desiderio qualsiasi. Questo è il sogno di ogni bambino… quantomeno a partire dal 45° parallelo Nord in su e soprattutto in Svezia. Quello che vi descrivo è il mitico e inimitabile Stiga Play Off, Peter Forsberg Edition 2021. Ovvero l’ultima uscita dell’amatissimo gioco di hockey su tavolo. No, non è il gioco di hockey da tavolo (quello che in inglese viene chiamato air hockey). Non è nemmeno un semplice calciobalilla, biliardino o calcetto. Lo Stiga Play Off Table Hockey è molto di più. È movimento dei giocatori lungo tutto il campo da gioco. È mosse a 360 gradi, statiche o in agilità, passaggi filtranti in profondità o secchi ai lati. È abilità e strategia individuale e di squadra. Questo meraviglioso gioco è l’apoteosi di tut… va beh, avete capito, no? Smettiamola qua. Questo gioco è così amato che esiste pure una federazione che norma regole e tornei: la ITHF, International Table Hockey Federation. Le partite internazionali sono una gioia per gli occhi, se riesci a stare dietro alla velocità delle mosse e dei trucchetti che mettono in pratica gli sfidanti.
Ogni bambino svedese farebbe carte false per avere questo gioco nella sua cameretta. E ora si trova in casa nostra, come regalo di Natale per un bambino speciale che abita qui. Il pacco è stato scartato in fretta e furia. I giocatori, le porte e il segnapunti sono stati montati con la velocità della luce. Ogni mossa è stata eseguita con frenesia, con impazienza ed entusiasmo fino a giungere al tanto agognato momento di poter muovere le manopole e giocare fino alla morte giunta per disidratazione e mancanza di sonno.
Avreste dovuto vedere la sua faccia, i suoi saltelli sul posto per la gioia irrefrenabile. Avreste dovuto gustarvi il momento in cui ha accarezzato per la prima volta le manopole, in cui ha saggiato la scorrevolezza del disco sul piano di gioco, in cui ha inspirato profondamente l’inebriante odore di plastica nuova. Avreste dovuto vedere i suoi occhi lucidi al primo face-off (l’inizio della partita) e la felicità incontenibile e la corsa sotto la curva al primo gol realizzato. Da un lato tutto questo è emozionante e quasi commovente, ma dall’altro anche un po’ inquietante e imbarazzante. In fin dei conti stiamo parlando di un uomo adulto di quarant’anni.

E voi direte: e chi se ne frega di questo regalo? Beh, non prendetevela con me, non è colpa mia… io vi avevo avvisati: rileggete il titolo della rubrica, per piacere!

mercoledì 21 dicembre 2022

IL LAVORATORE – Antibiotici + Probiotici = Biotici?

Disturbi intestinali, un bicchiere d’acqua nella mano destra, due pillole di penicillina nella mano sinistra, una scatola di probiotici sul comodino e tanto mal di denti.
Come sono finito in questa invidiabile situazione?
Semplice. Bastano una tonnellata di stupidità e un pizzico di bugie.
Con stupidità si parla della mia, ovviamente. È vero che potrebbe essere considerato un effetto collaterale della pandemia. È vero che sarebbe potuto succedere lo stesso. Se però posticipi la visita di controllo dal dentista per tre anni di fila per paura che ti trovino qualcosa di brutto, ad esempio una carie gigante dalle sembianze mostruose che attacca i tuoi denti come in un orribile film dell’orrore di serie B degli anni ‘80, per poi ritrovarti con qualcosa di veramente brutto, ad esempio un cadavere in bocca (il mio molare) come in un’atroce verità di serie A degli anni 2020, allora tutto questo si può solo definire come stupidità. Chiunque ne converrebbe, ma non il me stesso degli ultimi anni che ha preferito fare il “maschio duro” e procrastinare tappandosi gli occhi nella speranza che tutti i malanni passino per intercessione divina. Non c’è da stupirsi che gli uomini muoiano prima… o quantomeno che si ritrovino a chiamare il dentista d’urgenza di domenica pomeriggio e farsi crivellare la mascella come in un film di Al Capone.
Passiamo ora alle bugie di questa storiella: qui si devono aprire due sottocategorie.
Prima tipologia o bugie davanti allo specchio: “I miei denti sono sani e non hanno mai avuto grossi problemi”; “È solo un po’ di febbre a 38 che sta scendendo, che sarà mai?”; “Sì, il linfonodo sotto la mascella si è gonfiato, ma se lo guardi da questa prospettiva sembra già meno infiammato”; “Al massimo peggiora, ma non è mai morto nessuno di sepsi… giusto? Giusto?”
Queste e altre simpatiche affermazioni mendaci sono classificabili come le bugie che ho raccontato a me stesso per non chiamare di nuovo il dentista dopo l’intervento d’urgenza. Sotto minaccia di mamma e moglie però ho dovuto richiamare la clinica e farmi dare un nuovo appuntamento.
Seconda tipologia o bugie sulla sedia reclinabile: “Ho avuto febbre a 40 per tre giorni”; “Faccio fatica ad aprire la bocca, a deglutire e a volte anche a respirare”; “Mi fanno male anche le orecchie”; “Il linfonodo è una palla da tennis”.
Queste sono invece le bugie che devo raccontare al medico svedese per farmi prescrivere gli antibiotici. Io pensavo che bastasse far affluire pensieri positivi e tanto, tanto supporto emotivo al mio sistema immunitario, magari con un bicchiere d’acqua e sale, per vincere le infezioni, ma a quanto pare non è sufficiente e servono anche gli antibiotici. In Svezia ottenerli è un’impresa ardua: sono infatti la terzultima nazione europea per uso di antibiotici e non hanno tutti i torti visto che mandati giù come acqua fresca portano allo sviluppo di resistenza di alcuni patogeni. Quindi in Svezia te li prescrivono solo se stai sul letto di morte e sei quasi spacciato. Si capisce subito che l’unica strada percorribile è quella della deprecabile ma essenziale esagerazione dei sintomi.
Eccomi qui quindi con le mie due pillole di antibiotici in mano. A guardarle meglio sembrano delle pepite d’oro del Klondike per la difficoltà che ho fatto per averle. Prima che il dentista ci ripensi e se le riprenda, metto in bocca le pastiglie e butto tutto giù con una bella sorsata d’acqua. Ora mi tocca cominciare con i fermenti lattici per compensare i danni alla flora batterica intestinale. Tutto questo mi lascia con un dubbio: antibiotici più probiotici mi trasformeranno in un batterio biotico?
 
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Ecco il link all’articolo su Il lavoratore:
https://italienaren.org/antibiotici-probiotici-biotici/

giovedì 15 dicembre 2022

IL LAVORATORE – AW

Succede una volta al mese. Di giovedì.
No, non è un nuovo programma televisivo di Giovanni Floris, ma quello che accade una volta al mese, di giovedì, al lavoro da me a Stoccolma.
Per definizione succede sempre dopo una giornata infinita passata ad ascoltare infiniti problemi degli infiniti pazienti della clinica dove lavoro. Quindi spesso sono a pezzi. Torno a casa? No, perché c’è l’inevitabile AW, AKA (Also Known As) After Work. Sì, anch’io trovo che ci siano un po’ troppi acronimi e parole inglesi per descrivere una festa aziendale. Si potrebbe definire più semplicemente come una serata con i colleghi alla quale DEVI* partecipare: per fare squadra, per non sembrare un sociopatico e soprattutto per bere e mangiare gratis. (*Nessuno mi obbliga, è solo il mio cervello bacato che si pone vincoli da solo)
In realtà non succede niente di strano, ma solo le solite cose in quasi qualsiasi festa lavorativa infrasettimanale in Svezia: birrette a bassa gradazione, vinelli di improbabili vigneti italiani, spuntini spesso vegani per andare in contro alle esigenze di tutti, patatine e formaggi puzzoni. Infine lei, l’immancabile zuppetta: di carote, di zucca, di pomodori, di ceci… di qualsiasi verdura che rispecchi la stagione in corso. Sembra che i miei colleghi non possano fare un After Work senza lei, la zuppa. Per fortuna mi piace molto e ne mangerei a chili. O si dice ne berrei a litri? Boh, è come quel vecchio succo Mangiaebevi: non l’ho mai provato perché non sapevo da che parte cominciare.
Dopo aver finito di mangiare, perché è finito il cibo e non perché siamo sazi (maledizione, non sono riuscito a fare il secondo giro di zuppa), si passa ai giochini, giochetti, quiz su qualsiasi argomento, intrattenimenti vari, chiacchiere stimolanti, chiacchiere noiose, chiacchiere spensierate in buona compagnia per scoprire anche i lati non lavorativi dei colleghi. Divertente sì, ma anche faticoso e io purtroppo non duro molto. Sento già il coro di “BUU!” del pubblico, soprattutto dei più giovani. Lo so, ma che ci volete fare, ormai sono vecchio. Non ho più l’età per fare certe cose e i bimbi a casa hanno nascosto le mie ultime riserve di energie in qualche cassetto ben chiuso. La chiave se la sono probabilmente ingoiata… assieme all’ultima cucchiaiata di zuppa.
Non reggo molto, quindi. Dopo un po’ ho già gli occhi rossi, la gola secca e il cervello che va a rilento, saturo di tutte queste parole svedesi che gli entrano dalle orecchie e gli escono dalla bocca e delle quali ormai non si assume più la responsabilità. Giuro che non è (solo) colpa delle birre! Per farla breve sono stanco, a pezzi, distrutto. Vorrei andare a casa ma non posso perché è il turno del mio gruppo di riordinare la cucina dopo la festicciola. Dopo che anche l’ultimo collega ha colto i nostri sguardi minacciosi e ha deciso “volontariamente” di andare a casa, puliamo tutto, facciamo partire le lavastoviglie, spegniamo tutte le luci, inseriamo l’allarme e ce ne andiamo.
Fuori è buio pesto. Vado verso la metro passando vicino al cimitero e ad alcune ditte di pompe funebri che espongono le lapidi nel giardino d’ingresso. Per un attimo mi sembra di vedere Michael Jackson ai bei tempi di Thriller, ma in realtà è solo un passante. Nel dubbio che si trasformi in uno zombie accelero il passo e giungo sano e salvo alla stazione. Nella fretta e nella frenesia di mettere tutto a posto il prima possibile non sono neanche riuscito a guardare l’orologio. Saranno almeno le ventitré e trenta o forse addirittura mezzanotte, penso con la testa pesante e lo sguardo stravolto. Poi guardo il cellulare: diciannove e quarantadue!
E domani si torna al lavoro.

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Ecco il link all’articolo su Il lavoratore:
https://italienaren.org/aw-after-work/

martedì 6 dicembre 2022

KISSENEFREGA – Sei punti

Quest’anno solo sei punti.
Non è il referto della mia cartella clinica dopo un trauma cranico. Non è neanche il conteggio di quello che è rimasto nella mia patente a fine anno. È solo il riassunto di un dramma esagerato da quattro soldi.
I punti li ho collezionati stamattina alle ore 8.05 per strada mentre portavo i miei figli a scuola. Avevo appena lasciato il più piccolo alle sue maestre e mi stavo dirigendo verso l’altro ingresso per portare il bambino più grande. Era una bellissima giornata: fredda ma soleggiata. Una di quelle giornate di dicembre stoccolmese che ti rinfrancano dopo un grigio e buio novembre. Come sempre accade in queste occasioni, camminavo serenamente senza aspettarmi minimamente quello che mi sarebbe successo da lì a pochi minuti. Infatti, svoltato l’angolo del palazzo, proprio mentre tenevo teneramente la mano di mio figlio e rispondevo ai suoi soliti perché, la tragedia era lì pronta ad attendermi. Era bastato sporgere la testa per vedere la prima pallottola sfiorarmi l’orecchio. Spinto dall’inerzia e ancora confuso sull’accaduto ho continuato a camminare fino a ritrovarmi a pochi metri dall’aggressore. A quel punto non c’era modo di evitare la mitragliata che mi ha colto al petto. Non ho fatto in tempo a reagire. Non ce n’era proprio la possibilità. La scarica di colpi mi ha piantato lì sul posto e mi ha fatto accasciare senza speranza.
Ho guardato in faccia mio figlio che non aveva ancora ben capito che cosa fosse successo. Avrei voluto dirgli addio, ma non ne ho avuto tempo. La mia attenzione era troppo focalizzata sul bersaglio di quella mitragliata. Ho controllato il petto e l’addome con lo sguardo angosciato di chi già sapeva quello che avrebbe trovato. Del sangue, però, non c’era traccia. Non ero morto. Non ero neanche ferito. Sono rimasto fermo e zitto per un paio di secondi, stupito della piega degli eventi. Poi purtroppo ho capito. Quelli che avevano trafitto il mio corpo non erano proiettili, erano note musicali. Di una specifica canzone, una che può farti fuori anche senza ucciderti.
Ho imprecato ad alta voce. Gli uccellini sugli alberi hanno smesso di cinguettare e sono volati via dai rami. I bambini hanno interrotto i loro giochi con la neve e sono rimasti a bocca aperta. Nonostante avessi parlato in italiano gli altri genitori si sono girati a guardarmi con repulsione. Hanno sicuramente capito il contenuto delle mie frasi dall’intonazione colorita. Oppure erano italiani anche loro. No, impossibile, se fosse così probabilmente avrebbero riso (in realtà se fossero italiani avrebbero pasta, ma non mi voglio soffermare sui dettagli). In lontananza ho sentito un lupo ululare nella notte. Le lancette dell’orologio del campanile si sono bloccate e… va beh, basta. Immagino abbiate capito.
Le note che mi hanno messo fuori gioco erano quelle di “Last Christmas” degli Wham! Il mio Whamageddon 2022 finisce qui: 6 dicembre, quindi sei punti.
Lo so, ho esagerato. Non è una tragedia. È solo un gioco stupido su internet che giunge al termine… e arrivederci al prossimo anno. La mia vita continua come prima. Non ci sarà nessun problema per me.
— Papà, cos’erano tutte quelle cose che hai detto col cane, il porco e la bestia? Erano divertenti… posso insegnarle ai miei amici? Posso raccontarle alla mamma?
Oh no, mi sbaglio. Ora sì che sono nei guai.
 
E voi direte: e chi se ne frega del Whamageddon? Beh, non prendetevela con me, non è colpa mia… io vi avevo avvisati: rileggete il titolo della rubrica, per piacere!