giovedì 25 agosto 2022

RACCONTI – Il viaggio in aereo

Passare le vacanze in Italia è meraviglioso. Rivedere la famiglia, gli amici, i luoghi dell’infanzia, mangiare piatti prelibati, godersi il sole e rilassarsi al mare è qualcosa di ineguagliabile. Tutto molto bello.
Il problema è arrivare in Italia… dalla Svezia e con due bambini piccoli a carico.
 
Tutto inizia qualche mese prima con la prenotazione del volo. Seduto al computer sgranocchio delle patatine e do un’occhiata al sito della SAS: 2000 euro per quattro persone. Lo spuntino si blocca in gola e quasi mi soffoco, ma deglutisco e vado avanti. Guardo su Lufthansa: 1800 euro. Il secondo shock mi fa sputare fuori tutto. Scappo allora sul sito della Norwegian che spesso mi ha dato grandi soddisfazioni. Per sicurezza non mangio più niente. E faccio bene: 1500 euro. Va bene che i prezzi stanno scendendo, ma siamo pazzi?
Per un secondo considero l’idea di fare il viaggio Stoccolma-Udine in macchina per ben duemila chilometri di passione. Mi piace guidare, godermi il paesaggio che sfreccia ai lati dell’auto, fare delle soste in belle città come Copenaghen, Berlino, Praga, Monaco. Sorrido alla sfida che un viaggio on the road mi suggerisce. Poi rinsavisco e mi ricordo che in macchina i miei figli passano il tempo a litigare, urlare o piangere. Quando non lo fanno dormono. Sembra un’ottima soluzione, vero? No! Perché se dormono di giorno si trasformano in vampiri e stanno svegli di notte, quando siamo io e mia moglie che dovremmo riposare e restare in forma per la tappa successiva del giorno dopo. Nonostante penso che potrei sopportare tutto solo perché so che in Italia mi aspetterà il bel tempo e il caldo, scarto a malincuore l’ipotesi del viaggio in auto. Ci ripenserò quando i bimbi saranno più grandi.
Mi resta solo una cosa da fare. La compagnia aerea semi palindroma che da qualsiasi parte ti giri per leggere il suo nome cerca sempre di mettertelo nel fondoschiena. Sto parlando della Ryanair. Accedo al sito e ho l’impressione di sentire una porta scricchiolare, un forte odore di chiuso e mi sembra di dover togliere ragnatele immaginare dallo schermo. Non compro un biglietto con questa compagnia da più di 6 anni, dal periodo prima di avere i bambini.
Tutto è cambiato. Non mi ci ritrovo più. Con fatica navigo a vista tra le nuove opzioni. Seleziono l’aeroporto di partenza e quello di arrivo e clicco per avviare la ricerca: 250 euro a persona. Buono! Penso sbalordito, considerando che è piena estate e i prezzi sono folli in questo periodo. Devo delle scuse a questa compagnia aerea. I miei pregiudizi sono stati infondati. Non dovevo essere così duro con lo… aspetta un attimo. Ho letto male. Quel prezzo vale per la tariffa Value, cioè quella che puoi portarti solo le mutande e devi pagare il sedile a centimetri quadrati che occupi. L’aria che respiri è invece inclusa nel prezzo, ma c’è una tassa sulla CO2 che emetti.
Io, mia moglie e due bambini piccoli abbiamo però bisogno di almeno un paio di bagagli in stiva, non tanto per le cose che porteremo in Italia, ma per quelle che riporteremo in Svezia sotto forma di salumi, formaggi e le immancabili patatine Fonzies. Aggiungi quindi 80 euro a persona, che comprende anche il posto prenotato, ottimo per avere la certezza di tenersi le canaglie minorenni a portata di mano così da limitare i danni che sicuramente faranno.
Con la coda dell’occhio leggo le notizie provenienti dall’aeroporto principale di Stoccolma. A quanto pare è preso d’assalto e le file ai banconi del check-in sono infinite. Tutti consigliano di comprare il servizio Fast track per evitare impicci. E vuoi non comprarlo? Aggiungi dunque al carrello 20 euro in più.
Bene, ci siamo. Passo al pagamento. Prezzo totale 1400 euro. Eh? Quant’era il prezzo con Norwegian? 1500 euro… va beh, il totale è sempre una botta ma almeno ho risparmiato qualcosa. Cosa non si fa per la prospettiva di starsene un po’ al caldo e al sole!
 
È il giorno della partenza. I bambini sono super eccitati. Non vedono l’ora di arrivare in Italia. Per rivedere i nonni, i cugini, il mare? No, per i gelati artigianali. Per convincerli a partire e a stare calmi mentre si preparavano le valige abbiamo infatti promesso che ne mangeremo tanti. In effetti, funziona bene perché questo motiva moltissimo anche me.
Io e mia moglie siamo invece già super stanchi. Carichi come due muli (uno zaino per spalle e due trolley a testa) arriviamo a fatica in aeroporto. La voglia di fare marcia indietro è tanta, ma tra qualche ora saremo al caldo e al sole e il disagio passa. Che bello.
I bambini continuano nel loro trip d’eccitamento saltellando, correndo e sbraitando in giro per la hall del terminal. In coda per il check-in sono incontenibili. Spostano le transenne che delimitano la fila, usano le valige con le ruote come auto da corsa e danno fastidio agli altri viaggiatori ridendo a crepapelle come Beavis & Butthead. Appena riusciamo a imbarcare le valige più grosse ci guardiamo attorno alla ricerca dei passeggini che l’aeroporto dà in dotazione ai clienti. Prima non potevamo perché non avevamo nessun arto disponibile per poterli spingere avanti. Sfortunatamente troviamo solo quelli normali. Quelli con la camicia di forza incorporata sono già tutti occupati.
Dopo aver sedato un po’ i bambini con un giornaletto dei Pokemon è il momento di passare i controlli. Le notizie che avevo letto sull’aeroporto non erano poi così fondate. Non sembra esserci tanta fila qui. Non c’è il marasma descritto nei vari articoli catastrofali e nei resoconti aneddotici dei miei conoscenti. Uso comunque il servizio di Fast track che ho comprato. Mentre passo velocemente attraverso i tornelli, rido beffardo in faccia agli altri viaggiatori che aspettano il loro turno. Mi trattengo dall’essere scurrile. Mitico Fast track. Allora funziona davvero, eh eh eh! Passo indenne i controlli (il personale della sicurezza non ha nessun stracchino da confiscare come successe qualche anno fa… quei bastardi), risistemo le mie cose in tasca e nello zaino, compro una bottiglia d’acqua al duty free shop mi giro e chi mi ritrovo alle spalle? Le stesse persone che avevo lasciato alla fila dei controlli senza Fast track. Ma come? Con questo meraviglioso servizio mi sono risparmiato ben 10 minuti di coda. Meglio non ricordarsi quanto mi sia costato. Meglio ricordarsi che tra poco si arriva al caldo.
 
Nel frattempo è ora di cena. Gli aeroporti per fortuna offrono una vasta gamma di scelte di ristoranti. Non quest’aeroporto. Non questo terminal almeno. Tutto è inspiegabilmente chiuso. Sui tavoli di tutti i ristoranti ci sono solo cartacce sparpagliate. Sono tutti involucri dello stesso panino al formaggio, con o senza il prosciutto, venduto dal duty free shop. Ho il forte sospetto che quel pezzo di pane al cartone con una soletta di scarpa sarà la nostra cena. Purtroppo non abbiamo scelta. Il panino però è meno cattivo di quanto pensassi e lo valuto passabile. Incredibilmente lo mangiano anche i miei bambini, nonostante non ci siano tracce di wurstel, polpette IKEA o pancakes in esso.
Dopo questo lauto pasto è ora d’imbarcarsi. Troviamo facilmente il gate e aspettiamo. Intanto i bambini hanno ricaricato le batterie e sono di nuovo a caccia di marachelle e danni. Tra minacce di far sparire i gelati, somministrazione di cartoni animati come pasticche calmanti e lettura di libri a ripetizione riusciamo a limitare i danni e arriva l’ora del nostro volo (il tempo passa in fretta quando ti diverti, vero?) Ora è arrivato finalmente il momento di partire.
Neanche per idea. Il volo è in ritardo, ma solo di 10 minuti… 20 minuti, mi correggo. Hm, scusate, volevo scrivere mezz’ora. Per un attimo mi sembra che la voce che annuncia i ritardi sia quella di Trenitalia. Di riflesso mi allontano dalla linea gialla e mi viene un forte mal di pancia.
Come promesso dall’altoparlante, dopo 45 minuti c’imbarchiamo. I bambini se la passano guardando video e il volo fila via incredibilmente liscio oltre mia ogni aspettativa, nonostante quello seduto dietro di me abbia una sospettosissima tosse secca che mi fa bestemmiare a ogni colpo. Passo il tempo leggendo un libro, rimpiangendo i vecchi tempi pre-covid quando mi lamentavo della puzza di piedi dei vicini di posto e ripetendomi il mantra che, okay non vedrò il sole perché ormai è notte, ma almeno ci sarà il bel tempo.
 
Al nostro arrivo a Venezia vengo benedetto dai miei genitori. Vengo accolto con il capretto sacrificato come il loro figliol prodigo. Bello sentire il calore famigliare e pregustare quello atmosferico che mi aspetta fuori dall’aeroporto. Non vedevano l’ora di riabbracciarmi dopo un anno di assenza? Sì, anche per quello… ma soprattutto perché mi vedono come uno sciamano, un profeta (mi chiedo se sia un bel modo per dire che porto sfiga?) Finalmente infatti è successo qualcosa che non accadeva da mesi: piove e fa freddo. Bentornato in Italia!

venerdì 19 agosto 2022

RACCONTI – I corti (1)

Certe mattine è proprio dura andare al lavoro. Non c’è niente da fare. Hai il mondo davanti agli occhi, ma tu vedi solo un muro. È un muro invalicabile. Non lo puoi scavalcare. Non ci puoi camminare intorno. Non ci puoi passare attraverso. Il passaggio ti è precluso. Non importa quanto ti sforzi, quanto fatichi, quanto spingi, ma non puoi andare oltre.
Poi per fortuna qualcosa succede. Avviene ciò che speravi. Trovi il tuo spazio. Arriva il tuo momento.
Alcuni passeggeri scendono dal vagone e tu puoi finalmente prendere la metro. Le porte si richiudono e il treno riparte.

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Provo a seguire il filo, ma i miei pensieri vanno da un’altra parte.
Oggi sono troppo distratto per concentrarmi su questo. È un tale garbuglio e non riesco a venirne a capo. Di solito ascoltare della musica o parlare con i miei cari mi aiuta ma oggi non ci riesco. Non posso proprio.
Più ci provo e più mi innervosisco. Non posso credere che mi succeda ogni volta. Provo sempre a mettere le cose a posto, ma poi le trascuri un po’, passa il tempo e “magicamente” te le ritrovi tutte aggrovigliate.
Sbuffo. Ho quasi perso la pazienza, ma alla fine tutto va per il verso giusto e la matassa si scioglie.
Ora le cuffiette sono finalmente libere dall’intrico e posso di nuovo ascoltare musica e chiamare a casa.
 
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Un deserto.
Crepe ovunque.
Tutto è arido e secco.
Sembra un luogo senza vita, abbandonato da Dio. Eppure qui ci sono io. Tutto questo è proprio davanti ai miei occhi. Non riesco ancora a capacitarmi di come sia potuto succedere. Una volta era liscio e soffice. Una volta era perfetto.
Poi è passato il vento, le stagioni sono trascorse inesorabili, è arrivato il freddo e tutto si è asciugato, si è essiccato, lasciando tutto duro e spigoloso. Fa male. Fa molto male.
C’è poco da piangere, però, quando si è la causa dei propri mali.
Ormai non resta molto da fare. Non posso fare altro che svuotare mezzo tubetto di crema su queste mani screpolate, ripetere l’operazione ogni giorno e col tempo dovrebbero tornare come prima.

venerdì 12 agosto 2022

KISSENEFREGA – Le fasi

No. No. Nooo. Non è possibile!
Ho da poco letto un messaggio che mi è appena arrivato sul cellulare. Non ci posso credere. Non può essere vero. Si stanno sicuramente sbagliando. Non deve succedere.
Come posso andare avanti così? Io ne ho bisogno. Come cazzo possono pensare di lasciarmi così. Devono fare qualcosa. Devono subito sistemare le cose. Se la situazione è questa potrei morire.
Strozzo un grido in gola e mordo il colletto del maglione. Mi ficco le unghie sulle cosce per sostituire l’angoscia mentale con il dolore fisico. Vorrei spaccare tutto. Appoggio per terra la sedia che avevo sollevato solo perché mia moglie mi sta guardando in cagnesco.
— Che succede?
Le mostro il cellulare. Scoppio a piangere e lei mi abbraccia.
— Perché proprio a me? Cosa ho fatto per meritarmi tutto questo?
Mia moglie mi passa un fazzoletto per asciugarmi gli occhi e mi consola con delle carezze.
— Magari li chiamo e mi spiegano che si sono sbagliati.
Mia moglie scuote la testa.
— Invece di starmene qui ad attendere la mia fine, potrei andarci incontro. Forse troviamo una soluzione…
— No, caro. Bisogna aspettare ormai.
— Non può essere. Perché è successo proprio adesso. So che prima o poi deve succedere, ma non proprio ora. No. Potrei chiedere di posticipare?
Mia moglie mi stringe al petto e io soffoco le mie grida di disperazione sulla sua maglietta.
— Se sopravviverò a tutto questo, giuro che non farò più lo stesso errore. Passeremo più tempo assieme. Faremo un sacco di cose. Porterò fuori te e i bambini più spesso. Non ci chiuderemo in casa. Cucinerò per voi!
— So che lo farai…
Ora anche mia moglie non trattiene le lacrime. Non capisco se lo faccia per quello che sta succedendo o per le mie limitate capacità culinarie. Meglio non chiedere. Se non ricevessi la risposta voluta sarebbe un altro duro colpo da assorbire. Preferisco restare nel dubbio. Preferisco rimanere nella mia inutilità. Sono solo un uomo. Sono solo un involucro vuoto. Il tempo mi sta consumando: a ogni minuto che passa perdo peso, la mia forma svanisce. Tra poco sarò una carcassa senza speranza e senza vita. Nulla ha più senso ormai. Anche mia moglie se ne va in salotto dai bambini e mi lascia solo. Non posso biasimarla: nessuno potrebbe sopportare la mia presenza. Non riesco a farlo nemmeno io. Dovrei farla finita prima che si arrivi alla conclusione di questa faccenda.
Oh se solo non fosse andata così. Se solo non fosse successo proprio oggi. Vorrei poter tornare indietro nel tempo e fare altre scelte, ma non posso. Ormai non c’è più niente da fare. Non so quanto resisterò ancora. In fondo è giusto così. Siamo il frutto delle azioni che compiamo e del caso che interviene a nostra insaputa sopra le nostre teste. Siamo solo una molecola d’acqua nell’oceano del mondo. Non mi resta che accettare che sia andata così. Non posso far altro che guardarmi all’indietro ed essere grato per tutto quello che ho avuto: la salute, la famiglia, un pasto caldo da portare a tavola.
Ora mi siedo per terra, nell’angolo della cucina e aspetto. Aspetto che arrivi il mio momento. Il messaggio sul cellulare dice che sarà a breve.
Non riesco neanche più a piangere. Meglio così. Non avrebbe nessuno scopo. Aspetto in silenzio, mentre sento i miei figli giocare con gioia nell’altra stanza.
Abbasso lo sguardo verso il pavimento e in quel momento succede quello che non ti aspetti: squilla il citofono.
Alzo la testa. Nei miei occhi si dipinge un velo di speranza. L’angolo della bocca accenna un sorriso. Vado ad aprire alla porta: è lui. È arrivato. Incredibile. Non so se abbracciarlo felice o se insultarlo arrabbiato. Faccio una strana via di mezzo. Mi ricompongo e lo ringrazio comunque perché so che non è colpa sua. Prendo quello che ha da darmi e poi chiudo la porta.
La cena è salva. La pizza calda è sulla tavola. Dopo 45 minuti di ritardo sulla mia consegna il rider di Foodora è di nuovo in strada, pronto per una nuova avventura.
 
E voi direte: e chi se ne frega del ritardo della tua cena? Beh, non prendetevela con me, non è colpa mia… io vi avevo avvisati: rileggete il titolo della rubrica, per piacere!