venerdì 3 giugno 2022

RACCONTI – La baby-sitter

Noi siamo pronti.
Eravamo già pronti due anni fa.
Prima della pandemia, quando i bambini erano grandi abbastanza.
Ora siamo prontissimi.
 
Lei arriva puntuale, come ci aspettavamo. Ha molta esperienza con i bambini perché ha 2 fratelli e 4 sorelle. È giovane, ma non troppo. Ha un look cool ma non troppo. Ed è seria al punto giusto.
L’abbiamo selezionata tra mille candidate e nel round finale ha battuto di pochissimo Mary Poppins e Mrs. Doubtfire, solo perché lei è una persona reale e non un personaggio di fantasia.
Io e mia moglie l’aspettiamo vestiti di tutto punto, pronti per andare al ristorante (il ristorante… non so più cosa significhi questa parola, ma non divaghiamo).
Noi l’accogliamo in casa. Lei ci saluta cordialmente.
Noi le presentiamo i bambini. Lei familiarizza subito con loro.
Noi ci mettiamo le scarpe. Lei se le toglie.
 
Poi le passiamo il kit di sopravvivenza completo di tablet, password per WiFi, lista di cartoni preferiti dai bambini, polpette di carne IKEA solo da scaldare in microonde e prima che possa ripensarci chiudiamo la porta alle nostre spalle e partiamo.
Ora noi siamo finalmente LIBERI!
 
— Sesso, droga e rock’n’roll?
Ammicco sfrontato a mia moglie, mentre scendiamo le scale.
— Ho le mie cose.
— Droga e rock’n’roll?
Cerco di non smorzare l’entusiasmo.
— Ma se ti sei a malapena fatto una canna in vita tua e io non reggo più neanche l’alcol.
— Hm… allora solo rock’n’roll?
— Il rock è morto!
— Ma vaffanculo! Almeno ascoltiamo un po’ di vecchi dischi, di quelli buoni.
Lei annuisce e usciamo dal portone del palazzo in fretta e furia.
 
Ce ne andiamo via, come ladri dopo aver derubato una banca.
Scappiamo come Thelma e Louise. Ma senza macchina. E io non sono Thelma e lei non è Louise. E siamo un uomo e una donna, non due donne. E siamo in Svezia e non negli Stati Uniti. E fa freddino.
Uguale insomma.
La benzina della nostra “macchina”, però, finisce in fretta. Dopo il primo mezzo bicchiere di vino nella prima mezz’ora al ristorante, nella quale pianifichiamo quale volo last-minute per le Canarie prendere e tornare come minimo dopo un mese, già cediamo e cominciamo a parlare dei bambini. Ci chiediamo come stanno. Se si divertono. Se abbiamo fatto bene a fidarci di una sconosciuta. Di come sarebbe bello avere i nonni qui con noi da sfruttare come Cenerentola e Cenerentolo. Di come sia bello farli crescere e fare così tante cose assieme.
In parole povere, ci mancano già.
 
Passiamo il resto della cena a renderci conto che effettivamente non riusciremo a fare sesso in un ristorante affollato, che ci basta mezza bottiglia di prosecco per restarci secchi e che la musica che suonano nel locale non è per niente rock. Almeno abbiamo mangiato bene con vista sull’arcipelago di Stoccolma e ci siamo goduti il bellissimo museo della fotografia fingendo di essere intellettuali altezzosi e alticci.
Dopo quattro ore rientriamo a casa stanchi e barcollanti. Ci soffermiamo un momento davanti alla porta. Facciamo un respiro profondo e ci ripromettiamo di trattenere le lacrime di gioia nel rivedere i bambini. Soprattutto di rivederli vivi. Apriamo e loro sono lì, sorridenti e illesi che ci aspettano. Dalla loro faccia immagino che siamo mancati tantissimo a quei due teneri orsacchiotti.
Paghiamo la dovuta e meritata parcella alla baby-sitter Hanna e la salutiamo. Non prima di aver sbagliato un paio di volte la pronuncia del suo nome domandandoci come cacchio vada pronunciata quella maledetta acca all’inizio.
La casa non è sfasciata. I bambini non hanno segni di contusioni e non sembrano denutriti. La cucina è in ordine. Tutto sembra a posto. La baby-sitter Hanna ha superato la prova a pieni voti.
Do un bel bacio ai miei figli e loro mi abbracciano. Mi chiedono di chinarmi per dirmi qualcosa all’orecchio. Di sicuro mi diranno che vogliono bene a mamma e papà e che sperano che non li abbandoneremo mai più. Io mi piego sulle ginocchia e tendo l’orecchio. Con la loro candida vocina mi sussurrano:
— Quando torna Hanna a trovarci?

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