Fuori piove. Anzi no, peggio: pioviggina.
Quelle dieci gocce d’acqua al minuto che non richiedono l’ombrello e che aumentano
l’umidità e ti bagnano i vestiti.
Fuori è buio. Non nero come la notte. È grigio come un topo. Che è peggio. Perché mette tristezza e incupirebbe anche Pippo o Gongolo dei sette nani.
Guardo il lavello. È pieno di piatti sporchi. Sono lì da ieri sera (o forse sono lì da sempre). Dovrei lavarli ma non ne ho voglia. Lì vicino lo straccio rosa mi aspetta e mi fissa con disprezzo. Sembra che mi dica che dovrei fare qualcosa per migliorare la situazione del lavello, ma oggi no. Oggi non ce la faccio.
Lo straccio però resta lì, davanti a me e non si muove. Non mi lascia andare via. Mi chiedo che cosa gli abbia fatto di male per guardarmi in quel modo. Mi chiedo che cosa voglia da me.
Lo straccio è logoro, strappato ai lati, ha diversi buchi al centro. È adagiato mollemente sulla pila di piatti. Se ne sta lì flaccido ma sembra che stia per cadere da un momento all’altro per farsi inghiottire dalle tazze e dai bicchieri ricolmi di liquame giallognolo e fondi di caffè. Sta in bilico tra il farsi sommergere da altre posate sozze o dal farsi travolgere da un’ondata di acqua gelida e detersivo.
Mi fa pena vederlo così mal messo.
Il lavandino sgocciola con regolarità in cima alla montagna di cose da lavare. Un piatto perde l’equilibrio, si sbilancia e crea una cascata di miscela di acqua e olio sul povero straccio. Lui cerca di ripararsi, piegandosi e sporgendo le braccia, ma non serve a nulla. È l’ennesima doccia fredda di questa giornata uggiosa. Non c’è niente da fare. Oggi non è la sua giornata. A dire il vero va avanti così da lunedì. Questa settimana non è la sua settimana. Da lunedì scorso. Questo mese non è il suo mese. Dovrebbe fare qualcosa per invertire la tendenza. Non so come… magari trovando un posto asciutto, lavando i piatti in Arno oppure sturando lo scarico per far scendere tutta la melma che c’è nel lavello. Nah, non ce la fa. Oggi non ce la fa. Domani, magari.
Lo straccio è sudicio, imbrattato, unto. Il rosa iniziale è ormai diventato un marroncino a chiazze nere. A vederlo così mi fa proprio schifo. Mi avvicino per guardarlo meglio e… bleah! Puzza. Emana fetore di pesce, di uova scadute, di verdura andata a male, di… di marcio. Di marcio ma con un leggero retrogusto di detersivo chimico alla brezza di mare. Una meraviglia insomma. Cerco di allontanarmi ma lui mi fissa di nuovo con sdegno. Non posso andarmene così.
Lo straccio andrebbe cambiato ma non si può. Me lo devo tenere così com’è. O forse potrei cambiarlo, ma costerebbe tempo e fatica. Non è ho voglia. Non ce la faccio. Oggi no. Domani, magari.
Così lo lascio lì zuppo e fradicio. Ripiegato su sé stesso che chiede pietà. Ridotto quasi a brandelli ma che in un modo o nell’altro fa il suo lavoro, che funziona. A volte mi chiedo come faccia, ma ce la fa. Nonostante sia così trasandato, anche oggi ha dato il suo contributo. Oggi sì. Domani, magari.
Forse c’è speranza. Basta che passi un’altra giornata e poi si vedrà.
Fuori non piove, pioviggina. Fuori è buio, non nero ma grigio. Il peggio che il clima possa offrire. Così non è certo d’aiuto.
Mi giro di nuovo verso lo straccio, ma quello che ho guardato finora non era il lavello, ma lo specchio.
Fuori è buio. Non nero come la notte. È grigio come un topo. Che è peggio. Perché mette tristezza e incupirebbe anche Pippo o Gongolo dei sette nani.
Guardo il lavello. È pieno di piatti sporchi. Sono lì da ieri sera (o forse sono lì da sempre). Dovrei lavarli ma non ne ho voglia. Lì vicino lo straccio rosa mi aspetta e mi fissa con disprezzo. Sembra che mi dica che dovrei fare qualcosa per migliorare la situazione del lavello, ma oggi no. Oggi non ce la faccio.
Lo straccio però resta lì, davanti a me e non si muove. Non mi lascia andare via. Mi chiedo che cosa gli abbia fatto di male per guardarmi in quel modo. Mi chiedo che cosa voglia da me.
Lo straccio è logoro, strappato ai lati, ha diversi buchi al centro. È adagiato mollemente sulla pila di piatti. Se ne sta lì flaccido ma sembra che stia per cadere da un momento all’altro per farsi inghiottire dalle tazze e dai bicchieri ricolmi di liquame giallognolo e fondi di caffè. Sta in bilico tra il farsi sommergere da altre posate sozze o dal farsi travolgere da un’ondata di acqua gelida e detersivo.
Mi fa pena vederlo così mal messo.
Il lavandino sgocciola con regolarità in cima alla montagna di cose da lavare. Un piatto perde l’equilibrio, si sbilancia e crea una cascata di miscela di acqua e olio sul povero straccio. Lui cerca di ripararsi, piegandosi e sporgendo le braccia, ma non serve a nulla. È l’ennesima doccia fredda di questa giornata uggiosa. Non c’è niente da fare. Oggi non è la sua giornata. A dire il vero va avanti così da lunedì. Questa settimana non è la sua settimana. Da lunedì scorso. Questo mese non è il suo mese. Dovrebbe fare qualcosa per invertire la tendenza. Non so come… magari trovando un posto asciutto, lavando i piatti in Arno oppure sturando lo scarico per far scendere tutta la melma che c’è nel lavello. Nah, non ce la fa. Oggi non ce la fa. Domani, magari.
Lo straccio è sudicio, imbrattato, unto. Il rosa iniziale è ormai diventato un marroncino a chiazze nere. A vederlo così mi fa proprio schifo. Mi avvicino per guardarlo meglio e… bleah! Puzza. Emana fetore di pesce, di uova scadute, di verdura andata a male, di… di marcio. Di marcio ma con un leggero retrogusto di detersivo chimico alla brezza di mare. Una meraviglia insomma. Cerco di allontanarmi ma lui mi fissa di nuovo con sdegno. Non posso andarmene così.
Lo straccio andrebbe cambiato ma non si può. Me lo devo tenere così com’è. O forse potrei cambiarlo, ma costerebbe tempo e fatica. Non è ho voglia. Non ce la faccio. Oggi no. Domani, magari.
Così lo lascio lì zuppo e fradicio. Ripiegato su sé stesso che chiede pietà. Ridotto quasi a brandelli ma che in un modo o nell’altro fa il suo lavoro, che funziona. A volte mi chiedo come faccia, ma ce la fa. Nonostante sia così trasandato, anche oggi ha dato il suo contributo. Oggi sì. Domani, magari.
Forse c’è speranza. Basta che passi un’altra giornata e poi si vedrà.
Fuori non piove, pioviggina. Fuori è buio, non nero ma grigio. Il peggio che il clima possa offrire. Così non è certo d’aiuto.
Mi giro di nuovo verso lo straccio, ma quello che ho guardato finora non era il lavello, ma lo specchio.
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