Oggi
vi propongo un estratto dal mio libro “I casi del commissario Grammatikus”, un
giallo comico diviso in sei racconti. Vi presento il primo estratto dal primo
caso: “Nominativo”.
Su Amazon potete trovare il link per l’acquisto del mio libro “I casi del
commissario Grammatikus”, sia in formato e-book sia in formato cartaceo.
Sì,
lo so, questo pezzo potrebbe tranquillamente stare nella rubrica
“Kissenefrega”… prendetelo come una sottocategoria letteraria!
Nominativo – parte 1
Davanti allo specchio, con il mento e
le guance spalmate di schiuma da barba, il commissario Grammatikus ha in mano
un rasoio. Si mette leggermente di lato e tende il viso mentre avvicina la lama
alla pelle. Con quattro colpi precisi per lato della faccia, il commissario si
rade tutto il volto ad eccezione dei suoi folti baffi neri. Si ricontrolla
osservandosi allo specchio e nota che una piccola parte della barba non è stata
rimossa. Riprende in mano il rasoio e prepara la mossa calcolata. La lama è ora
a contatto con la pelle. Grammatikus imprime forza sul manico del rasoio e sta
per completare il movimento. In quel preciso istante, all’improvviso, si sente
lo squillo del suo cellulare. Il commissario perde la concentrazione, il manico
del rasoio gli sfugge di mano e la lama gli procura un taglio a livello della
mandibola. Quella che Mario Bernotti, l’inquilino del sesto piano, sente molto
limpidamente è l’imprecazione del commissario. Grammatikus si ricompone subito
e risponde al telefono.
— Chi mi osa disturbarmi mentre
mi faccio la barba?
— Mi scusi commissario, sono io,
Veronika!
— Ah, è lei Veronika. — la voce del
commissario si addolcisce — Beh, insomma, che cosa vuole? — si addolcisce un
po’, ma mai troppo.
— Hm… c’è stato un… come dire… qualcosa
che non è un omicidio ma che se ne avvicina molto!
— Eh? Di che si tratta?
— Non saprei spiegarglielo… quando l’ho
visto sono rimasta senza parole.
— Dove? Arrivo subito al commissariato.
— No, commissario. Non vada in ufficio.
Venga a San Genoveffo al Carmo.
Tempo di medicarsi la guancia e
Grammatikus è già in auto col suo sigaro in bocca sotto i folti baffi neri, in
direzione del piccolo paese di provincia. La campagna è stupenda, immersa nei
mille colori autunnali di quella soleggiata giornata d’ottobre. Il commissario
sembra, però, non accorgersene, immerso nei suoi pensieri. Dopo una mezz’oretta
di viaggio, il cartello di benvenuto a San Genoveffo accoglie il commissario.
Il luogo del delitto è in centro. Il commissario esce dalla macchina e si
dirige verso i suoi colleghi. Veronika Sapientini lo avvicina in fretta.
— Salve commissario! Deve venire subito
in piazza a vedere… — poi s’interrompe osservando Grammatikus — ...cos’è quel
cerotto?
Grammatikus si toglie il sigaro di
bocca e squadra Veronika compiaciuto.
— Lei è un’ottima osservatrice,
Veronika! Sotto il cerotto c’è una ferita che mi sono procurato tagliandomi con
il rasoio. Pultroppo non è facile
radersi quando qualcuno ti disturba con una telefona all’improvviso…
Un po’ in imbarazzo Veronika suggerisce
a bassa voce al commissario.
— Si dice “purtroppo”, non “pultroppo”…
— Oh, che differenza vuole che fa?
— Hm… faccia, non… va beh, lasciamo
stare… venga con me, commissario. Deve vedere cosa è successo alla vittima.
I due poliziotti si avvicinano al centro
della piazza dove ci sono due metri cubi di fittissima nebbia.
— Nebbia? Con questo sole?
— No, commissario, questa non è
semplice nebbia. Deve vedere con i suoi occhi.
Il commissario è perplesso, ma si fa
guidare all’interno della nebbia dalla sua assistente. All’interno si trova la
vittima di questo singolare incidente: un ragazzo sulla trentina seduto su una
panchina. L’uomo è in stato catatonico: non parla, non si muove e fissa il
vuoto davanti a sé.
— I paesani l’hanno trovato così
stamattina. — chiarisce Veronika — Probabilmente è qui da almeno ieri sera.
— Cosa l’ha indotto in questo stato?
— Le sente queste voci di sottofondo?
Grammatikus aguzza le orecchie e solo
in quel momento si rende conto che quel paio di metri cubi non è formato da vapor
acqueo, ma da frasi bisbigliate, sparse e diffuse nell’aria in una mescolanza
indecifrabile ad orecchio nudo.
— Hm, ne uccide più la lingua che la
spada. Avete fatto analizzare il contenuto?
— Abbiamo mandato una registrazione
alla centrale e il risultato dovrebbe arrivare a momenti.
— Chi è la vittima? — chiede il
commissario mentre i due escono dalla nebbia di parole.
— Si chiama Marcello de Vultris, 32
anni di San Genoveffo al Carmo.
— Cosa sappiamo sul suo conto?
— Che è al verde.
— No, intendevo dire, cosa sappiamo su
di lui in generale.
— Che è al verde! La sua famiglia era
molto ricca, ma suo padre ha sperperato tutto il patrimonio con il gioco
d’azzardo negli ultimi anni. Suo nonno, un partigiano durante la seconda guerra
mondiale, ha lasciato la moglie e figli per scappare con una tedesca nazista:
doppio tradimento dunque. Sua madre è una fervente atea e ha cresciuto il de
Vultris con questi principi.
— Ottimo riassunto!
Mentre Veronika arrossisce e il
commissario si riporta il sigaro alla bocca, arriva il collega Lars Svensson,
di chiare origini svedesi.
— Buonggiorno Komisario! Buonggiorno
Veronica! Ke bela Italia! Kose bele da vedere sempre… gvarda che campania con
tuti qvesti…
Il commissario lo interrompe irritato.
— Vai al punto Lars!
L’agente Svensson vede il sigaro del
commissario e chiede timidamente.
— Vuole acendere?
— No, grazie, io non fumo! — e si
toglie il sigaro spento dalla bocca —Ti ho detto di andare al punto!
— Hm, ja. — rimane un po’ basito ma
prosegue — Sono arivate le analysis dalla centrale: sembra ke le frasi konfusse
e sparpaliate non siano altro ke cativerie, pettegolezzi, chiaccere,
insinuazioni… dicerie di paese insoma.
— Ma chi ci hanno mandato? Uno che non
sa neanche l’italiano? Pensano che io sono
l’ultimo arrivato?
Grammatikus cerca di dirlo sottovoce
alla sua assistente, ma viene sentito chiaramente anche da Lars Svensson che si
incupisce. Poi il commissario prosegue a voce alta.
— E qual è il contenuto di queste
dicerie?
L’agente Svensson non ha più il
coraggio di parlare e schiaccia semplicemente il tasto di un registratore
portatile dal quale esce una voce metallica che non dà la possibilità di
rintracciare il proprietario: “…è un de
Vultris, che cosa ti aspetti da lui? …è un fannullone come suo padre… è un
traditore come suo nonno… non andrà da nessuna parte… come ci si può fidare di
uno che non crede in Dio… io non lo invito… non fissarlo, girati dall’altra
parte… guardalo come beve, sembra un disperato… e con quali soldi si è comprato
quella giacca? …ho sentito dire che si droga anche… no, no e poi no: mia figlia
non può uscire con uno come lui… con che coraggio si fa ancora vedere in giro?
…meglio non frequentare certa gente…”
Veronika scrive tutto sul suo blocco
degli appunti ed interviene presa dall’entusiasmo.
— Quindi, se mi permette commissario,
ripensando al cognome e alla storia di famiglia che si porta dietro, le dicerie
sono state come delle piccole dosi di veleno che hanno, per così dire, ucciso
il de Vultris.
— Capisco. Quindi assumo che è colpa di tutto il paese… e non si può
accusare tutto il paese, vero? Il caso è dunque chiuso, Veronika! Ottimo
lavoro, torniamo alla centrale.
Veronika rimane un attimo in silenzio,
ma non molla. Il commissario sta già camminando verso la macchina, ma lei lo
ferma.
— Commissario, lei assume bene che la
colpa sia di tutto il paese, ma io
credo che qualcuno sia più colpevole di altri. — Grammatikus solleva un
sopraciglio incuriosito e lei chiarisce — la nostra squadra speciale ha trovato
qualche indizio, tra cui…
— …un forte odore di caffè, vero? —
l’assistente annuisce — L’ho sentito subito.
— Non solo, commissario, non solo. Per
questo il caso non è chiuso. Venga a vedere.
Il commissario e la sua assistente
rientrano nella nebbia di parole. La vittima ha una macchia rossa all’altezza
del cuore.
— Sangue?
— No, sugo. — sostiene Veronika —
Secondo una mia prima analisi.
— Se sarebbe sugo fa pensare a
qualcosa di fatto in casa, ma potrebbe anche essere vino rosso… quel tipico
vino rosso da osteria, una delle tante che si trovano da queste parti.
Veronika non ci aveva pensato e prende
frettolosamente appunti.
— C’è di più… infatti se il de Vultris sarebbe ateo non avesse un rosario di perle turchese con incise le iniziali “D. N.”
ai suoi piedi, vero? Ma noi sappiamo con certezza che la vittima è un fervente
ateo… quindi il rosario appartiene a qualcun altro. Un prete, ad esempio!
“D.N.”… hm, come si chiama il prete del paese?
— Don Nando! — esclama Veronika
consultando i suoi appunti.
CONTINUA NEL PROSSIMO POST…
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