Il mio nuovo appartamento è
completamente vuoto. Tra qualche settimana io e la mia famiglia ci
trasferiremo. Prima di farlo mi aspettano delle prove importanti che saranno
una sfida per la mia tenuta mentale e fisica. Nella semioscurità del salotto,
alla sola luce di una fievole lampadina inspiro profondamente e seguo i
consigli del mio grande maestro Miyagi.
— Dai stucco, togli tassello, dai stucco, togli tassello, dai stucco…
— Per quanto tempo dovrò andare avanti in questo modo, maestro?
— Togli tassello, dai stucco, togli tassello…
— Quanto tempo, maestro?
Mi fermo. Ricevo subito uno scappellotto nella zona parietale e Mr Miyagi se ne va lasciandomi solo.
Ho capito. Devo continuare.
Mi metto d’impegno e finisco in poco tempo tutto il soggiorno.
Il grande maestro sghignazza sotto i baffi e mentre si allontana mi deride.
— Questa solo prima stanza, ragazzo.
Ora mi aspettano altre quattro camere. Maledetto il giorno che abbiamo deciso di comprare una casa più grande. Mi rimbocco le maniche e mi butto a capofitto sui tasselli e chiodi lasciati dai vecchi proprietari che vanno rimossi. Spremo fino all’ultima goccia lo stucco dal tubetto come se fosse il dentifricio. Dopo qualche ora sono stanco ma ho finito. Ho visto cose orribili: tasselli sotterrati da anni con stucco rinsecchito come fossero cadaveri impossibili da riesumare, ho riempito più buchi di quanto abbia fatto Rocco Siffredi in tutta la sua carriera e ho avuto più chiodi per le mani io che un paninaro negli anni ‘80. Però ho portato a termine il mio compito.
Con orgoglio mi presento dal grande sensei che ha appena preso una mosca con un paio di bacchette. No, aspetta un attimo. C’è qualcosa che non va.
— Sono pennelli quelli che ha in mano, maestro? Perché?
— Capirai.
Rimango perplesso e lo guardo inebetito.
— Hm… che faccio ora?
— Forse capirai…
— Allora?
Alza la mano per darmi un altro ceffone. Questo lo capisco. Devo andarmene. Vado a sistemare i cavi elettrici e dell’antenna diramati per tutta la casa. Qual è la distanza tra la Terra e la Luna? Circa 384 mila chilometri. Ho la netta sensazione che sia la stessa distanza che otterrei se mettessi tutti questi fili uno dietro l’altro o se calcolassi la lunghezza delle bestemmie che sto pronunciando.
Dopo aver raccolto e arrotolato tutti i cavi come un bravo marinaio del Titanic, torno dal maestro che si sta preparando il tè.
— Anche pietra fredda, se siedi sopra tre anni, diventa tiepida.
— Mi scusi maestro, chiedo con grande umiltà, ma che vuol dire?
— Torna quando sarai più pronto, ragazzo con poca saggezza.
Non dice più niente e sorseggia la sua bevanda, scottandosi le labbra.
Credo sia il momento di andare a imbiancare le pareti di casa. Mi armo di vestiti bianchi, rulli e pennelli. Ci prendo subito gusto ma dopo aver dato una mano al muro mi sono stancato così tanto che ora è il muro a dover dare una mano a me. Mi dipingo più volte la faccia, lascio impronte bianche su tutto il parquet appena levigato, mi sento più volte un pittore del movimento spazialista con tela bianca su sfondo bianco e ho paura di non farcela. Dopo un paio di giorni, però, con parsimonia e pazienza, concludo anche questa prova.
— Ho imbiancato, maestro!
— Torna quando sarai più pronto.
Lo dice sputacchiando cibo mentre mangia una polpetta di riso. Chiedo spiegazioni ma a gesti mi dice che non si parla con la bocca piena. Allora vado a dipingere anche le piastrelle della cucina. Erano di un colore orribile e sono rovinate in molti punti. Dopo un lavoro di fino, più impegnativo del previsto, ho reinventato la cucina: ora le piastrelle sono di un colore grigio topo e sono rovinate negli stessi punti di prima.
Non ce la faccio più. Sono a pezzi. Le braccia mi fanno male. Il sensei Miyagi sta meditando nella posizione della gru. Vorrei la sua guida nel mio percorso spirituale, ma lui mi guarda di sbieco per un nano secondo e io lo anticipo.
— Torno quando sarò più pronto.
Inscatolo e impacchetto le mie cose nel vecchio appartamento. Mi soffermo ad affrontare i ricordi legati a ogni biglietto d’auguri, appunto di viaggio e soprammobile che ho conservato in casa. Sorrido nel constatare la differenza tra i libri di narrativa in svedese, tutti della stessa dimensione e altezza, che si incastrano alla perfezione negli scatoloni, e quelli in italiano che invece hanno quasi tutti altezze e forme diverse a comporre un quadro cubista nella scatola del trasloco. Le differenze culturali e la conformità societaria svedese si riflette anche in questi piccoli dettagli.
Anche questo test richiede lunghe giornate per essere portato a termine: ho conservato molti oggetti (troppi) e molti libri (sempre troppo pochi). Gli scatoloni sono però pronti e tutti belli impilati in ogni angolo sfruttabile del vecchio appartamento. Il grande maestro mi vede nostalgico e scuote la testa mentre accende un incenso.
— Torna quando sarai più pronto.
Ma cosa devo fare ancora? Non finirà mai questa agonia!
Non mi resta che sistemare i due armadi della camera matrimoniale. Due torri gemelle di tolkiana memoria. Due giganti dal cuore di pietra che non si spostano neanche seguendo le regole della tettonica a placche. Con mille colpetti da un lato e altrettanti dall’altro e l’aiuto di una coperta alla fine riesco a spostare l’armadio nella posizione desiderata evitando sapientemente graffi sul parquet ed eventuali insulti garantiti da parte di mia moglie.
Ora non c’è davvero più nessuna prova da affrontare. Nessuna sfida da vincere. Sono soddisfatto. Mi sento bene. Sono in pace con me stesso. Mi avvicino al cospetto del grande maestro con orgoglio, temprato fisicamente e fortificato mentalmente. Mai stato meglio in vita mia. Ripeto tra me e me con convinzione.
Il saggio sensei osserva le mie mani callose, il mio viso sfigurato e le mie ascelle pezzate. Annuisce e si mette il dito nel naso.
— Quello che cerchi sempre stato dentro te. Ora tu essere pronto per atto finale.
— Davvero. Dice sul serio?
Non posso credere alle sue parole e scoppio in un pianto di gioia e commozione.
— E qual è questa grande prova finale, oh sensei Miyagi?
— Trasloco di casa!
— Oh grazie, grande maestro!
M’inginocchio per la gratitudine e per la sofferenza.
— Grazie sensei. Per me è un onore essere degno di questo ultimo nobile incarico. Aspettavo queste sue parole da moltissimo tempo. Sono fiero di essere finalmente pronto. Le prometto che porterò a termine questo compito con tutte le mie…
— Oh amore! Ma con chi stai parlando?
È mia moglie che interrompe il momento mistico.
— È da quattro settimane che ti sento borbottare da solo… guarda che sono sempre stata qui vicino a te. Ti ho visto, sai. Questo trasloco ti sta dando la testa. Non è che c’era qualcosa di strano nello stucco?
Un attimo prima che lei chiami il reparto di psichiatria per un trattamento sanitario obbligatorio e m’infili in bocca un potente calmante riesco a urlare con voce strozzata.
— Sensei, perdonala per la sua ignoranza!
— Dai stucco, togli tassello, dai stucco, togli tassello, dai stucco…
— Per quanto tempo dovrò andare avanti in questo modo, maestro?
— Togli tassello, dai stucco, togli tassello…
— Quanto tempo, maestro?
Mi fermo. Ricevo subito uno scappellotto nella zona parietale e Mr Miyagi se ne va lasciandomi solo.
Ho capito. Devo continuare.
Mi metto d’impegno e finisco in poco tempo tutto il soggiorno.
Il grande maestro sghignazza sotto i baffi e mentre si allontana mi deride.
— Questa solo prima stanza, ragazzo.
Ora mi aspettano altre quattro camere. Maledetto il giorno che abbiamo deciso di comprare una casa più grande. Mi rimbocco le maniche e mi butto a capofitto sui tasselli e chiodi lasciati dai vecchi proprietari che vanno rimossi. Spremo fino all’ultima goccia lo stucco dal tubetto come se fosse il dentifricio. Dopo qualche ora sono stanco ma ho finito. Ho visto cose orribili: tasselli sotterrati da anni con stucco rinsecchito come fossero cadaveri impossibili da riesumare, ho riempito più buchi di quanto abbia fatto Rocco Siffredi in tutta la sua carriera e ho avuto più chiodi per le mani io che un paninaro negli anni ‘80. Però ho portato a termine il mio compito.
Con orgoglio mi presento dal grande sensei che ha appena preso una mosca con un paio di bacchette. No, aspetta un attimo. C’è qualcosa che non va.
— Sono pennelli quelli che ha in mano, maestro? Perché?
— Capirai.
Rimango perplesso e lo guardo inebetito.
— Hm… che faccio ora?
— Forse capirai…
— Allora?
Alza la mano per darmi un altro ceffone. Questo lo capisco. Devo andarmene. Vado a sistemare i cavi elettrici e dell’antenna diramati per tutta la casa. Qual è la distanza tra la Terra e la Luna? Circa 384 mila chilometri. Ho la netta sensazione che sia la stessa distanza che otterrei se mettessi tutti questi fili uno dietro l’altro o se calcolassi la lunghezza delle bestemmie che sto pronunciando.
Dopo aver raccolto e arrotolato tutti i cavi come un bravo marinaio del Titanic, torno dal maestro che si sta preparando il tè.
— Anche pietra fredda, se siedi sopra tre anni, diventa tiepida.
— Mi scusi maestro, chiedo con grande umiltà, ma che vuol dire?
— Torna quando sarai più pronto, ragazzo con poca saggezza.
Non dice più niente e sorseggia la sua bevanda, scottandosi le labbra.
Credo sia il momento di andare a imbiancare le pareti di casa. Mi armo di vestiti bianchi, rulli e pennelli. Ci prendo subito gusto ma dopo aver dato una mano al muro mi sono stancato così tanto che ora è il muro a dover dare una mano a me. Mi dipingo più volte la faccia, lascio impronte bianche su tutto il parquet appena levigato, mi sento più volte un pittore del movimento spazialista con tela bianca su sfondo bianco e ho paura di non farcela. Dopo un paio di giorni, però, con parsimonia e pazienza, concludo anche questa prova.
— Ho imbiancato, maestro!
— Torna quando sarai più pronto.
Lo dice sputacchiando cibo mentre mangia una polpetta di riso. Chiedo spiegazioni ma a gesti mi dice che non si parla con la bocca piena. Allora vado a dipingere anche le piastrelle della cucina. Erano di un colore orribile e sono rovinate in molti punti. Dopo un lavoro di fino, più impegnativo del previsto, ho reinventato la cucina: ora le piastrelle sono di un colore grigio topo e sono rovinate negli stessi punti di prima.
Non ce la faccio più. Sono a pezzi. Le braccia mi fanno male. Il sensei Miyagi sta meditando nella posizione della gru. Vorrei la sua guida nel mio percorso spirituale, ma lui mi guarda di sbieco per un nano secondo e io lo anticipo.
— Torno quando sarò più pronto.
Inscatolo e impacchetto le mie cose nel vecchio appartamento. Mi soffermo ad affrontare i ricordi legati a ogni biglietto d’auguri, appunto di viaggio e soprammobile che ho conservato in casa. Sorrido nel constatare la differenza tra i libri di narrativa in svedese, tutti della stessa dimensione e altezza, che si incastrano alla perfezione negli scatoloni, e quelli in italiano che invece hanno quasi tutti altezze e forme diverse a comporre un quadro cubista nella scatola del trasloco. Le differenze culturali e la conformità societaria svedese si riflette anche in questi piccoli dettagli.
Anche questo test richiede lunghe giornate per essere portato a termine: ho conservato molti oggetti (troppi) e molti libri (sempre troppo pochi). Gli scatoloni sono però pronti e tutti belli impilati in ogni angolo sfruttabile del vecchio appartamento. Il grande maestro mi vede nostalgico e scuote la testa mentre accende un incenso.
— Torna quando sarai più pronto.
Ma cosa devo fare ancora? Non finirà mai questa agonia!
Non mi resta che sistemare i due armadi della camera matrimoniale. Due torri gemelle di tolkiana memoria. Due giganti dal cuore di pietra che non si spostano neanche seguendo le regole della tettonica a placche. Con mille colpetti da un lato e altrettanti dall’altro e l’aiuto di una coperta alla fine riesco a spostare l’armadio nella posizione desiderata evitando sapientemente graffi sul parquet ed eventuali insulti garantiti da parte di mia moglie.
Ora non c’è davvero più nessuna prova da affrontare. Nessuna sfida da vincere. Sono soddisfatto. Mi sento bene. Sono in pace con me stesso. Mi avvicino al cospetto del grande maestro con orgoglio, temprato fisicamente e fortificato mentalmente. Mai stato meglio in vita mia. Ripeto tra me e me con convinzione.
Il saggio sensei osserva le mie mani callose, il mio viso sfigurato e le mie ascelle pezzate. Annuisce e si mette il dito nel naso.
— Quello che cerchi sempre stato dentro te. Ora tu essere pronto per atto finale.
— Davvero. Dice sul serio?
Non posso credere alle sue parole e scoppio in un pianto di gioia e commozione.
— E qual è questa grande prova finale, oh sensei Miyagi?
— Trasloco di casa!
— Oh grazie, grande maestro!
M’inginocchio per la gratitudine e per la sofferenza.
— Grazie sensei. Per me è un onore essere degno di questo ultimo nobile incarico. Aspettavo queste sue parole da moltissimo tempo. Sono fiero di essere finalmente pronto. Le prometto che porterò a termine questo compito con tutte le mie…
— Oh amore! Ma con chi stai parlando?
È mia moglie che interrompe il momento mistico.
— È da quattro settimane che ti sento borbottare da solo… guarda che sono sempre stata qui vicino a te. Ti ho visto, sai. Questo trasloco ti sta dando la testa. Non è che c’era qualcosa di strano nello stucco?
Un attimo prima che lei chiami il reparto di psichiatria per un trattamento sanitario obbligatorio e m’infili in bocca un potente calmante riesco a urlare con voce strozzata.
— Sensei, perdonala per la sua ignoranza!
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