Sto guardando un video su YouTube di un tipo in pantaloncini
corti e maglietta sportiva che in palestra sembra stia facendo sesso con un
vogatore. È affannato, impreca e quasi s’ingarbuglia con il cavo. Dopo un
minuto un ragazzo muscoloso gli passa vicino e, mosso da compassione ma con un
mezzo sorriso trattenuto tra le labbra, gli mostra l'uso corretto del
macchinario. Il tipo si guarda attorno e ringrazia in notevole imbarazzo. Io rido.
Mi sento uno stronzo ma rido lo stesso. Potrei essere io quel tipo del video,
ma continuo a ridere lo stesso. La Schadenfreude – la gioia maligna –
alle volte è davvero spassosa.
Eppure mi diverte guardare il video perché è un modo per esorcizzare la paura. Mi ci è voluto tempo e coraggio per superare le mie ansie e per essere dove sono adesso: su un tapis roulant in una palestra affollata, durante l’ora di punta.
Mi metto a petto in fuori e tengo le spalle larghe. Non solo perché sono orgoglioso di me stesso e dei miei progressi ma anche perché ho appena notato una bella ragazza che corre al mio fianco. Sorrido sgargiante. Lei ovviamente non mi calcola, immersa in sé stessa e nella musica che sta ascoltando con le cuffiette. Non perdo però l’entusiasmo e ricordo il mio percorso in palestra che definirei terapeutico.
La palestra mi ha salvato dalla depressione. In un periodo difficile al lavoro, avevo abbandonato la pallacanestro giocata e mi ero ritrovato a essere fisicamente inattivo per più di un semestre. Rifiutavo di andare in palestra perché ritenevo fosse solo per fighetti e io invece ero un duro. Mi ero allora buttato sulla corsa all’aria aperta ma avevo fallito in fretta. La temperatura svedese che non sale sopra i 5 gradi da ottobre a marzo e la mia inappetenza verso la noiosa corsa in solitaria avevano aiutato come il due di bastoni con briscola in denari. Spinto dalla quantità di palestre presenti in ogni angolo a Stoccolma e dai prezzi abbordabili, decisi finalmente di cambiare idea e di acquistare una tessera annuale. La promessa di mia moglie di accompagnarmi agli allenamenti con il guinzaglio e il biscotto come ricompensa resero il primo passo più facile.
Nonostante temessi di essere osservato e giudicato quando mi sarei ritrovato asincrono con il resto dei partecipanti, gli esercizi di gruppo mi sembrarono il modo migliore di cominciare. Classi di sollevamento peso finite il giorno dopo a casa con difficoltà ad alzare anche un bicchiere d’acido lattico. Classi di spinning finite ad annaspare aria come se mi avessero tolto le narici e la bocca. Classi di aerobica finite a spostarmi a sinistra della stanza mentre il resto del gruppo salta a destra.
Col tempo la condizione migliorava e assieme a essa anche la fiducia in me stesso. Stavo meglio. Tornavo a essere il vecchio me stesso sportivo. In effetti la palestra non era solo per i fighetti, ma anche per i duri, come loro, quelli che i muscoli ben distribuiti in tutto il corpo ce li hanno davvero.
Restava un tabù da sfatare. Andare in palestra senza prenotare una classe di gruppo. «E se ridono di me perché uso il leg curl per allenare i bicipiti?» «E se non so da dove cominciare e alla fine me ne vado in imbarazzo?» «E se sbaglio l’esercizio e mi procuro un danno muscolare?» «E se per lo sforzo mi scappa una scoreggina?» Non era facile convivere con questi pensieri. Neanche con la puzza a dire il vero. Parlando però con dei Personal Trainer – PT, per gli amici –, studiando programmi di allenamento su internet come fossero un copione teatrale da ripetere senza errori e facendo affidamento alle App della palestra per seguire religiosamente quello che mi dicevano di fare, col tempo mi avventurai nei meandri della palestra. Prima durante gli orari meno frequentati a costo di allenarsi di notte. Poi in un angolo della sala separata facendo una pausa forzata ogni volta che qualcuno passava vicino. Infine in centro alla sala principale, con i faretti puntati, con una canottiera attillata addosso e la fascetta bianca sulla fronte, muovendomi scatenato e cantando a squarciagola Maniac di Michael Sembello – colonna sonora di Flashdance… ok, ok, ok. Con l’ultima ho un tantino esagerato, ma ora ho davvero la libertà di scegliere se prenotare una classe di gruppo, se seguire un programma personalizzato con o senza la App. Questo per me ha fatto la differenza tra ritornare fisicamente e mentalmente in carreggiata e lo smettere di fare attività fisica per paura di finire su un video di sfottò. Cerco di ricordarmelo sempre quando non ho voglia di uscire di casa per andare in palestra.
In un attimo il mio percorso terapeutico mi scorre davanti agli occhi, mentre spengo il video del tipo che faceva l’amore con il vogatore. Sto ancora ridacchiando. Non posso farne a meno. Perdo però l'equilibrio, inciampo sul bordo del tapis roulant come fosse una buccia di banana e cado di faccia sul nastro trasportatore. Solo ora la ragazza carina che mi sta di fianco mi nota – eccome se mi nota – e potrei giurare che un tipo dietro di me ha appena ripreso tutta la scenetta con la fotocamera del cellulare. Le immagini della mia rovinosa caduta viaggiano ora veloci sulla fibra ottica verso un server di YouTube. Chi la fa, l’aspetti.
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Ecco il link all’articolo su Italienaren - Il lavoratore:
https://italienaren.org/macchinari-malefici/
Eppure mi diverte guardare il video perché è un modo per esorcizzare la paura. Mi ci è voluto tempo e coraggio per superare le mie ansie e per essere dove sono adesso: su un tapis roulant in una palestra affollata, durante l’ora di punta.
Mi metto a petto in fuori e tengo le spalle larghe. Non solo perché sono orgoglioso di me stesso e dei miei progressi ma anche perché ho appena notato una bella ragazza che corre al mio fianco. Sorrido sgargiante. Lei ovviamente non mi calcola, immersa in sé stessa e nella musica che sta ascoltando con le cuffiette. Non perdo però l’entusiasmo e ricordo il mio percorso in palestra che definirei terapeutico.
La palestra mi ha salvato dalla depressione. In un periodo difficile al lavoro, avevo abbandonato la pallacanestro giocata e mi ero ritrovato a essere fisicamente inattivo per più di un semestre. Rifiutavo di andare in palestra perché ritenevo fosse solo per fighetti e io invece ero un duro. Mi ero allora buttato sulla corsa all’aria aperta ma avevo fallito in fretta. La temperatura svedese che non sale sopra i 5 gradi da ottobre a marzo e la mia inappetenza verso la noiosa corsa in solitaria avevano aiutato come il due di bastoni con briscola in denari. Spinto dalla quantità di palestre presenti in ogni angolo a Stoccolma e dai prezzi abbordabili, decisi finalmente di cambiare idea e di acquistare una tessera annuale. La promessa di mia moglie di accompagnarmi agli allenamenti con il guinzaglio e il biscotto come ricompensa resero il primo passo più facile.
Nonostante temessi di essere osservato e giudicato quando mi sarei ritrovato asincrono con il resto dei partecipanti, gli esercizi di gruppo mi sembrarono il modo migliore di cominciare. Classi di sollevamento peso finite il giorno dopo a casa con difficoltà ad alzare anche un bicchiere d’acido lattico. Classi di spinning finite ad annaspare aria come se mi avessero tolto le narici e la bocca. Classi di aerobica finite a spostarmi a sinistra della stanza mentre il resto del gruppo salta a destra.
Col tempo la condizione migliorava e assieme a essa anche la fiducia in me stesso. Stavo meglio. Tornavo a essere il vecchio me stesso sportivo. In effetti la palestra non era solo per i fighetti, ma anche per i duri, come loro, quelli che i muscoli ben distribuiti in tutto il corpo ce li hanno davvero.
Restava un tabù da sfatare. Andare in palestra senza prenotare una classe di gruppo. «E se ridono di me perché uso il leg curl per allenare i bicipiti?» «E se non so da dove cominciare e alla fine me ne vado in imbarazzo?» «E se sbaglio l’esercizio e mi procuro un danno muscolare?» «E se per lo sforzo mi scappa una scoreggina?» Non era facile convivere con questi pensieri. Neanche con la puzza a dire il vero. Parlando però con dei Personal Trainer – PT, per gli amici –, studiando programmi di allenamento su internet come fossero un copione teatrale da ripetere senza errori e facendo affidamento alle App della palestra per seguire religiosamente quello che mi dicevano di fare, col tempo mi avventurai nei meandri della palestra. Prima durante gli orari meno frequentati a costo di allenarsi di notte. Poi in un angolo della sala separata facendo una pausa forzata ogni volta che qualcuno passava vicino. Infine in centro alla sala principale, con i faretti puntati, con una canottiera attillata addosso e la fascetta bianca sulla fronte, muovendomi scatenato e cantando a squarciagola Maniac di Michael Sembello – colonna sonora di Flashdance… ok, ok, ok. Con l’ultima ho un tantino esagerato, ma ora ho davvero la libertà di scegliere se prenotare una classe di gruppo, se seguire un programma personalizzato con o senza la App. Questo per me ha fatto la differenza tra ritornare fisicamente e mentalmente in carreggiata e lo smettere di fare attività fisica per paura di finire su un video di sfottò. Cerco di ricordarmelo sempre quando non ho voglia di uscire di casa per andare in palestra.
In un attimo il mio percorso terapeutico mi scorre davanti agli occhi, mentre spengo il video del tipo che faceva l’amore con il vogatore. Sto ancora ridacchiando. Non posso farne a meno. Perdo però l'equilibrio, inciampo sul bordo del tapis roulant come fosse una buccia di banana e cado di faccia sul nastro trasportatore. Solo ora la ragazza carina che mi sta di fianco mi nota – eccome se mi nota – e potrei giurare che un tipo dietro di me ha appena ripreso tutta la scenetta con la fotocamera del cellulare. Le immagini della mia rovinosa caduta viaggiano ora veloci sulla fibra ottica verso un server di YouTube. Chi la fa, l’aspetti.
Ecco il link all’articolo su Italienaren - Il lavoratore:
https://italienaren.org/macchinari-malefici/
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