Passeggio con la testa immersa
nei miei pensieri e nelle preoccupazioni. Lo sguardo è basso rivolto ai
sampietrini di questa stradina di Södermalm. Dal nulla si alza un refolo di
vento e sposta in avanti le foglie lungo il pavé. Un altro colpo le porta in
alto e mi costringe a seguirle con gli occhi. Le foglie autunnali dalle mille
gradazioni di giallo e arancione svoltano all’improvviso a sinistra, giù per
una scala di legno, poi a destra tra le fronde degli alberi e lungo un percorso
sterrato. Il vento mi spinge a seguire il fogliame che infine si libera e danza
nell’aria limpida a contatto col pallido sole dell’ottobre stoccolmese. Come
spesso mi succede, quasi senza accorgermene, arrivo all’improvviso in questo
posto magico in pieno centro. Camminando lungo il sentiero ghiaioso, mi ritrovo
la città sbattuta in faccia. Ci sono dentro e allo stesso tempo mi sembra di
esserne fuori, distante, in un percorso parallelo. Mi sembra di stare sopra
la città e di guardarla come se fosse un soprammobile comprato in un negozio di
souvenir. È una sensazione che mi coglie sempre di sorpresa. Rimango ammaliato
dalla bellezza di Gamla Stan, dell’imponenza dello Stadshuset coi suoi mattoni
rossi. Gli occhi si spostano a destra e sinistra e il sorriso si allarga tra le
labbra: seguo tutto il Norrmälarstrand fino allo slanciato Västerbron in
lontananza. Mi fermo ad accarezzare un gatto che, accovacciato sul passamano di
legno, fa le fusa a tutti i passanti, senza eccezioni. Dal lato opposto
dell’orizzonte scorgo i tetti del palazzo reale che nascondono Djurgården e Östermalm.
Nel contorno della città svettano le guglie delle chiese, le torri radio, le
immancabili gru di una capitale sempre in costruzione e le due nuove torri di
“Sauron” a Torsplan. Riprendo a camminare e mi diverto a indovinare da quale
paese provengano i tanti turisti presenti sul percorso. Ascolto le loro lingue
e le loro espressioni stupite. Riconosco gli italiani dal loro modo di muoversi
e di vestirsi ancora prima di sentirli parlare. Scatto una foto a chi me lo
chiedo e ributto lo sguardo oltre il precipizio dove trovo lo specchio d’acqua
che mi riflette e mi fa riflettere. Questo posto magico è nascosto, ma molti
sognatori riescono comunque a trovarlo a occhi chiusi. Scorro la mano sui
lucchetti agganciati sulla rete metallica e provo anch’io un rinnovato amore
per una città che mi sta dando filo da torcere in questo periodo. Dall’alto
osservo le automobili sfrecciare sul Centralbron come delle Micro Machines
uguali a quelle che avevo da piccolo, ogni tanto passa il treno come in un
modellino che gira in cerchio all’infinito. Perso nelle mie fantasie mi scanso
all’ultimo secondo per far passare una coppia di anziani che si tiene per mano.
Immagino le case del paesaggio fatte di mattoncini Lego multicolori e i palazzi
più importanti come miniature rubate al museo civico. I passanti in fondo alla
scarpata sono formichine e le barche sembrano radiocomandate da qualcuno
nascosto tra i parchi o gli appartamenti dai prezzi esorbitanti alle mie
spalle. Le foglie gialle – mi piace pensare che fossero le stesse di prima –
spinte ancora dal vento, ballano davanti al mio volto rilassato e mi riportano
sulla strada principale.
Sono bastati cinquecento metri di passeggiata in questo posto tanto semplice quanto incantato per dimenticare ansie e paure. Quanto tempo è passato dall’inizio della camminata? Non ne ho idea e non è importante. È proprio questo l’effetto che fa questo terrazzo che sporge dalla e sulla città e mi proietta oltre i limiti osservabili dai miei sensi. Mi scuoto dal sogno e riprendo il passo spedito lungo Bastugatan. La mia pausa pranzo è finta, devo andare. Alla prossima volta, cara Monteliusvägen.
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Ecco il link all’articolo su Italienaren - Il lavoratore:
https://italienaren.org/angolo-di-paradiso/
Sono bastati cinquecento metri di passeggiata in questo posto tanto semplice quanto incantato per dimenticare ansie e paure. Quanto tempo è passato dall’inizio della camminata? Non ne ho idea e non è importante. È proprio questo l’effetto che fa questo terrazzo che sporge dalla e sulla città e mi proietta oltre i limiti osservabili dai miei sensi. Mi scuoto dal sogno e riprendo il passo spedito lungo Bastugatan. La mia pausa pranzo è finta, devo andare. Alla prossima volta, cara Monteliusvägen.
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