Signore e Signori, la storia che sto per raccontare non è
divertente. Per niente. Ci sarebbe da piangere se ci si lasciasse sopraffare
dallo sconforto e dalla tristezza. Io e i miei amici, però, siamo fatti di una
pasta diversa, che non scuoce tanto facilmente come quella che trovi negli
scaffali dei supermercati svedesi. Perché quando si tratta di stare assieme,
divertirsi, gozzovigliare e giocare siamo dei veri bighelloni, degni delle
migliori bande di saltimbanchi medioevali. Se però allo stesso tempo c’è
l’opportunità di crescere e imparare, portando avanti un piccolo grande
progetto teatrale che abbia l’ambizione se non di arricchire ma quantomeno d’intrattenere
la comunità italiana a Stoccolma, allora le idee e le forze per superare le
difficoltà si decuplicano. E di energia e di ingegno ne serve davvero tanto
perché di questi tempi fare cultura non è affatto facile, signori miei. Non lo
è per i professionisti, figurarsi per i sopracitati bighelloni che adorano così
tanto quest’arte da essere definiti amatori.
Persino in Svezia da sempre attenta a questi aspetti sociali la favola sembra essere finita.
O forse no? Magari se riesco a infilare un folletto in questa storiella potrei far continuare la magia.
Il giorno dopo quindi esco di casa con la mia camicia a righe, ben stirata e abbottonata stretta fino al collo. Con una mano tengo la valigetta ventiquattrore con tutti i documenti importanti, con l’altra un borsone più grande con lo strumento del mestiere. Parto a piedi per una nuova giornata extra-lavorativa. Sorrido appena incontro i miei colleghi con gli stessi arnesi e vestiti allo stesso stile. Sembriamo dei predicatori americani e non dei rappresentati di aspirapolvere. Ne ridiamo assieme per sdrammatizzare e ci dirigiamo verso le prime porte che ci aspettano.
Una serie di villette a schiera tutte uguali le une alle altre si presentano davanti alla nostra vista. Ci dividiamo le abitazioni di legno rosse. Con passo deciso io punto a quella centrale. Percorro il breve vialetto, salgo il gradino del piccolo portico, mi assesto la cravatta e suono alla porta con una perfetta pressione del dito indice sul campanello. Aspetto. Passa qualche minuto. Nessuno risponde. Passa un altro minuto e ancora niente. Il mio sorriso smagliante si sta scalfendo. Alla fine la porta si apre con timidezza e dalla fessura ne esce mezza faccia di una rugosa anziana.
Il mio sorriso si ringalluzzisce e in un secondo estraggo l’aspirapolvere dal borsone.
«Buongiorno signora! Mi permetta di presentarle il nostro nuovo prodotto per la prossima stagione: il nuovissimo e sensazionale aspirapolvere VI-2024-25! Da oggi non si dovrà più preoccupare della polvere sui libri e sugli scaffali del salotto. Non ci sarà più bisogno di…»
«No, grazie. Non mi interessa.» La signora comincia a chiudere la porta.
«Ma guardi che con VI-2024-25 potrà finalmente dare una scrollata a quel bel vestito da sera che è nascosto nell’armadio e indossarlo per andare a teatro. E poi…»
«No, grazie. Non mi interessa. Arrivederci.» E chiude del tutto la porta.
Torno sulla strada principale e ritrovo i miei compagni. Tutti hanno ricevuto la stessa risposta. Ci può stare. Non ci perdiamo d’animo e ci incamminiamo verso il successivo blocco di abitazioni. Un condomino di cinque piani. Ci dividiamo i piani e gli appartamenti. Io prendo quello in alto.
Uno scalino alla volta, un po’ sudato, giungo al pianerottolo finale. Mi fermo a prendere fiato e mi sistemo la camicia. Prendo il manuale per mostrarlo meglio e suono al campanello con rinnovata speranza. Questa volta aprono subito. Buon segno, penso.
«Buongiorno! Sono un rappresentante dell’aspirapolvere VI…»
Il signore sulla sessantina, grassottello con i capelli bianchi, non mi lascia il tempo di finire la frase e io mi ritrovo col muso a un paio di centimetri dal legno della porta. D’istinto torno col dito sul campanello ma all’ultimo decido invece di bussare, per non disturbare. Nessuna risposta. Busso ancora una volta, più forte di prima. Niente.
Scendo le scale e ad ogni piano raccolgo i miei amici a pezzi come la fiducia in noi stessi. Intuisco che sia capitata la stessa sorte anche a loro. Giunti al pian terreno, ci diamo una pacca sulle spalle e ricominciamo a camminare. Non sarà certo questo a fermarci. Nuovo quartiere, nuove possibilità.
Mentre ci avviciniamo al gruppo di villette sulla collina, notiamo che i passanti cambiano strada ogni volta che ci vedono. Se chiediamo informazioni qualcuno fa finta di non averci visto e continua a testa bassa guardando il cellulare, altri ci insultano.
«Andate a cercarvi un lavoro vero!»
Inutile ricordar loro che per molti professionisti questo è un vero lavoro e che per noi questo è un hobby oltre al nostro lavoro principale. Non vogliono capire. Alzo le spalle e continuo a camminare. Ormai che siamo qui è meglio proseguire, penso.
Avvistiamo una bella villa a due piani, con un giardino grande e ben curato. Questa volta non ci dividiamo e tentiamo un approccio di squadra. Ci raccogliamo in una breve riunione strategica. Ne usciamo più forti e più convinti. Ora siamo pronti. Ci avviciniamo al recinto e suoniamo al citofono.
«Salve, siamo quelli degli aspirapolveri italiani in Svezia.»
«Prego, entrate!»
La voce non esita. Finalmente un po’ di gentilezza e di fortuna dalla nostra parte. Il cigolio del cancello che si apre è lieve e melodioso. Con coraggio e rinnovata fiducia, metto il primo piede dentro per dare il buon esempio. Il suono dell’acqua che scorre nella fontanella al centro del giardino rende il luogo ancora più idilliaco. I miei compagni mi seguono e i nostri passi smuovono la ghiaia in sincrono. Sorridiamo. Una folata d’aria inaspettata ci scuote i capelli pettinati e impomatati. Il rumore dei sassetti smossi sul viale aumenta nonostante noi ci fossimo fermati un attimo a capire che cosa stesse succedendo. Infine, il ringhio dei doberman ci gela il sangue.
«Scappate!», urlo a tutti quando colgo il pericolo. Corriamo a perdifiato verso il cancello che nel frattempo si sta richiudendo. Alle nostre spalle sentiamo l’alito dei cani: letale non solo perché hanno mangiato crocchette all’aglio ma anche perché i denti affilati ci accarezzano le chiappe. Con un salto alla Mission Impossible ci infiliamo tra le sbarre del cancello. Non capisco se siamo noi o i cani ad ansimare più intensamente. Di sicuro le risate del padrone di casa al citofono sovrastano entrambi gli ansimi.
Per oggi può bastare. Torniamo a casa mogi. Stasera per cena si continua con la dieta ipocalorica culturale. Stringiamo la cintura e andiamo avanti. Forse un giorno i proprietari di questa città capiranno che la polvere accumulata sulla televisione renderà tutti i programmi più grigi di quello che già sono, che il cibo sarà sempre più insapore e che a quel punto l’aria sarà irrespirabile. Se non sarà troppo tardi, solo allora si renderanno conto dell’importanza degli aspirapolveri culturali.
Nel frattempo noi continueremo a operare con quello che abbiamo. Se saranno solo fine pulviscolo grigio, palle di pelo o capelli attorcigliati vorrà dire che costruiremo castelli di polvere.
Persino in Svezia da sempre attenta a questi aspetti sociali la favola sembra essere finita.
O forse no? Magari se riesco a infilare un folletto in questa storiella potrei far continuare la magia.
Il giorno dopo quindi esco di casa con la mia camicia a righe, ben stirata e abbottonata stretta fino al collo. Con una mano tengo la valigetta ventiquattrore con tutti i documenti importanti, con l’altra un borsone più grande con lo strumento del mestiere. Parto a piedi per una nuova giornata extra-lavorativa. Sorrido appena incontro i miei colleghi con gli stessi arnesi e vestiti allo stesso stile. Sembriamo dei predicatori americani e non dei rappresentati di aspirapolvere. Ne ridiamo assieme per sdrammatizzare e ci dirigiamo verso le prime porte che ci aspettano.
Una serie di villette a schiera tutte uguali le une alle altre si presentano davanti alla nostra vista. Ci dividiamo le abitazioni di legno rosse. Con passo deciso io punto a quella centrale. Percorro il breve vialetto, salgo il gradino del piccolo portico, mi assesto la cravatta e suono alla porta con una perfetta pressione del dito indice sul campanello. Aspetto. Passa qualche minuto. Nessuno risponde. Passa un altro minuto e ancora niente. Il mio sorriso smagliante si sta scalfendo. Alla fine la porta si apre con timidezza e dalla fessura ne esce mezza faccia di una rugosa anziana.
Il mio sorriso si ringalluzzisce e in un secondo estraggo l’aspirapolvere dal borsone.
«Buongiorno signora! Mi permetta di presentarle il nostro nuovo prodotto per la prossima stagione: il nuovissimo e sensazionale aspirapolvere VI-2024-25! Da oggi non si dovrà più preoccupare della polvere sui libri e sugli scaffali del salotto. Non ci sarà più bisogno di…»
«No, grazie. Non mi interessa.» La signora comincia a chiudere la porta.
«Ma guardi che con VI-2024-25 potrà finalmente dare una scrollata a quel bel vestito da sera che è nascosto nell’armadio e indossarlo per andare a teatro. E poi…»
«No, grazie. Non mi interessa. Arrivederci.» E chiude del tutto la porta.
Torno sulla strada principale e ritrovo i miei compagni. Tutti hanno ricevuto la stessa risposta. Ci può stare. Non ci perdiamo d’animo e ci incamminiamo verso il successivo blocco di abitazioni. Un condomino di cinque piani. Ci dividiamo i piani e gli appartamenti. Io prendo quello in alto.
Uno scalino alla volta, un po’ sudato, giungo al pianerottolo finale. Mi fermo a prendere fiato e mi sistemo la camicia. Prendo il manuale per mostrarlo meglio e suono al campanello con rinnovata speranza. Questa volta aprono subito. Buon segno, penso.
«Buongiorno! Sono un rappresentante dell’aspirapolvere VI…»
Il signore sulla sessantina, grassottello con i capelli bianchi, non mi lascia il tempo di finire la frase e io mi ritrovo col muso a un paio di centimetri dal legno della porta. D’istinto torno col dito sul campanello ma all’ultimo decido invece di bussare, per non disturbare. Nessuna risposta. Busso ancora una volta, più forte di prima. Niente.
Scendo le scale e ad ogni piano raccolgo i miei amici a pezzi come la fiducia in noi stessi. Intuisco che sia capitata la stessa sorte anche a loro. Giunti al pian terreno, ci diamo una pacca sulle spalle e ricominciamo a camminare. Non sarà certo questo a fermarci. Nuovo quartiere, nuove possibilità.
Mentre ci avviciniamo al gruppo di villette sulla collina, notiamo che i passanti cambiano strada ogni volta che ci vedono. Se chiediamo informazioni qualcuno fa finta di non averci visto e continua a testa bassa guardando il cellulare, altri ci insultano.
«Andate a cercarvi un lavoro vero!»
Inutile ricordar loro che per molti professionisti questo è un vero lavoro e che per noi questo è un hobby oltre al nostro lavoro principale. Non vogliono capire. Alzo le spalle e continuo a camminare. Ormai che siamo qui è meglio proseguire, penso.
Avvistiamo una bella villa a due piani, con un giardino grande e ben curato. Questa volta non ci dividiamo e tentiamo un approccio di squadra. Ci raccogliamo in una breve riunione strategica. Ne usciamo più forti e più convinti. Ora siamo pronti. Ci avviciniamo al recinto e suoniamo al citofono.
«Salve, siamo quelli degli aspirapolveri italiani in Svezia.»
«Prego, entrate!»
La voce non esita. Finalmente un po’ di gentilezza e di fortuna dalla nostra parte. Il cigolio del cancello che si apre è lieve e melodioso. Con coraggio e rinnovata fiducia, metto il primo piede dentro per dare il buon esempio. Il suono dell’acqua che scorre nella fontanella al centro del giardino rende il luogo ancora più idilliaco. I miei compagni mi seguono e i nostri passi smuovono la ghiaia in sincrono. Sorridiamo. Una folata d’aria inaspettata ci scuote i capelli pettinati e impomatati. Il rumore dei sassetti smossi sul viale aumenta nonostante noi ci fossimo fermati un attimo a capire che cosa stesse succedendo. Infine, il ringhio dei doberman ci gela il sangue.
«Scappate!», urlo a tutti quando colgo il pericolo. Corriamo a perdifiato verso il cancello che nel frattempo si sta richiudendo. Alle nostre spalle sentiamo l’alito dei cani: letale non solo perché hanno mangiato crocchette all’aglio ma anche perché i denti affilati ci accarezzano le chiappe. Con un salto alla Mission Impossible ci infiliamo tra le sbarre del cancello. Non capisco se siamo noi o i cani ad ansimare più intensamente. Di sicuro le risate del padrone di casa al citofono sovrastano entrambi gli ansimi.
Per oggi può bastare. Torniamo a casa mogi. Stasera per cena si continua con la dieta ipocalorica culturale. Stringiamo la cintura e andiamo avanti. Forse un giorno i proprietari di questa città capiranno che la polvere accumulata sulla televisione renderà tutti i programmi più grigi di quello che già sono, che il cibo sarà sempre più insapore e che a quel punto l’aria sarà irrespirabile. Se non sarà troppo tardi, solo allora si renderanno conto dell’importanza degli aspirapolveri culturali.
Nel frattempo noi continueremo a operare con quello che abbiamo. Se saranno solo fine pulviscolo grigio, palle di pelo o capelli attorcigliati vorrà dire che costruiremo castelli di polvere.
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