«Non comprerò libri. Non comprerò
libri. Non comprerò libri.
Questo è stato il mio mantra durante le vacanze estive ogni volta che passavo davanti a una libreria o un’edicola. Mi ero ripromesso di non comprare nessun libro nuovo. Non è per niente una questione economica – perché se il popolo non ha più pane, che mangi carta come i pesciolini d’argento – e neanche una questione di spazio in valigia – perché c’è sempre spazio per un tomo in più nello zainetto da cabina che Ryanair, grazie al Cielo, ha dimenticato di limitarne il peso – anche se resta un’impresa da contorsionista. Ho fatto questa promessa a me stesso per una questione di etica e di lealtà. Lo so che può sembrare esagerato ma lo dovevo alla mia libreria, a tutti quei libri ancora non letti che aspettano, ai quali, prima di partire avevo promesso che li avrei letti al prossimo giro, dopo aver concluso quell’interminabile tomo da settecentoventicinque pagine di Marcel Proust che ho sul comodino da “solo” un anno e mezzo. Non sto scherzando: prima di partire per le ferie ho fatto un discorsetto, volume per volume, a tutti i libri allineati in libreria e ho dato l’ordine di partenza. Sottovoce e senza essere visto dal mio psichiatra, ho parlato con Pennac, con McGrath e McEwan e infine con Backman e ho giurato solennemente: “Voi sarete i prossimi”. Palahniuk mi ha riso in faccia perché sa che metto in scena lo stesso teatrino ogni anno e Benni ha smascherato la mia bugia sul lunghissimo tomo di Proust perché è passato dal quel comodino e ha notato solo un normalissimo libriccino in svedese appoggiato. Ho dovuto mentire ai miei libri per convincerli a resistere ancora un po’, solo pochi mesi, prima di poter essere letti. Infine, giurin giurello con Baricco che controllava che non avessi le dita incrociate dietro la schiena, ho ribadito che non porterò a casa nessun nuovo romanzo e che non stravolgerò la classifica appena firmata col sangue.
Sono bastati un paio di giorni e un paio di tentazioni demoniache sotto forma di profumo inebriante di carta stampata fresca a solleticarmi le narici e a farmi cedere. Ho tradito le mie promesse e la fiducia dei volumi colorati nello scaffale. Ricordo di non aver provato né vergogna né rammarico. Qualche giorno dopo, però, è arrivata la recidiva. Nella mensola di casa, tra polvere e acari, ho ritrovato un libro perso nei meandri della memoria e del tempo. Un romanzo che si è tenuto in vita grazie alla promessa di lettura che gli feci diciotto anni fa quando lo comprai con gli occhi pieni di speranza e tanta ingenuità. Non ho avuto scelta. Dovevo portarlo con me e salvarlo dall’oscurità della mia cameretta d’infanzia. Infine, è giunta anche la perseverazione diabolica quando, a mia insaputa, mi è stata regalata una raccolta di racconti. Io non l’avrei mai presa. Non perché non mi piacesse l’autore, ma perché, in un moto d’orgoglio finale per non cadere in tentazione, avevo evitato di avvicinarmi alle salviette dei bar, ai volantini delle sagre, ai ticket del parcheggio e a qualsiasi altra forma di carta stampata. Nonostante tutto, non sarebbe stato corretto rifiutare e anche il dono in questione è finito nello zaino.»
«Hm… signor Riva, niente di tutto ciò rientra nelle categorie delle merci da dichiarare alla polizia doganale. L’avevo solo avvertita che un libro gli era caduto dalla giacca quando se l’è tolta per superare i controlli.»
«Oh! Mi scusi. Non volevo abusare del suo tempo.»
Raccolgo in fretta le mie borse con la testa bassa e le gote rosse. Passato oltre, però, ridacchio sotto i baffi e da sotto la maglietta estraggo un romanzo di fantascienza di Asimov acquistato all’edicola dell’aeroporto. Questo non me l’hanno beccato. Lo guardo dritto nell’occhiello e sussurro suadente: «Tu sarai il prossimo.»
Questo è stato il mio mantra durante le vacanze estive ogni volta che passavo davanti a una libreria o un’edicola. Mi ero ripromesso di non comprare nessun libro nuovo. Non è per niente una questione economica – perché se il popolo non ha più pane, che mangi carta come i pesciolini d’argento – e neanche una questione di spazio in valigia – perché c’è sempre spazio per un tomo in più nello zainetto da cabina che Ryanair, grazie al Cielo, ha dimenticato di limitarne il peso – anche se resta un’impresa da contorsionista. Ho fatto questa promessa a me stesso per una questione di etica e di lealtà. Lo so che può sembrare esagerato ma lo dovevo alla mia libreria, a tutti quei libri ancora non letti che aspettano, ai quali, prima di partire avevo promesso che li avrei letti al prossimo giro, dopo aver concluso quell’interminabile tomo da settecentoventicinque pagine di Marcel Proust che ho sul comodino da “solo” un anno e mezzo. Non sto scherzando: prima di partire per le ferie ho fatto un discorsetto, volume per volume, a tutti i libri allineati in libreria e ho dato l’ordine di partenza. Sottovoce e senza essere visto dal mio psichiatra, ho parlato con Pennac, con McGrath e McEwan e infine con Backman e ho giurato solennemente: “Voi sarete i prossimi”. Palahniuk mi ha riso in faccia perché sa che metto in scena lo stesso teatrino ogni anno e Benni ha smascherato la mia bugia sul lunghissimo tomo di Proust perché è passato dal quel comodino e ha notato solo un normalissimo libriccino in svedese appoggiato. Ho dovuto mentire ai miei libri per convincerli a resistere ancora un po’, solo pochi mesi, prima di poter essere letti. Infine, giurin giurello con Baricco che controllava che non avessi le dita incrociate dietro la schiena, ho ribadito che non porterò a casa nessun nuovo romanzo e che non stravolgerò la classifica appena firmata col sangue.
Sono bastati un paio di giorni e un paio di tentazioni demoniache sotto forma di profumo inebriante di carta stampata fresca a solleticarmi le narici e a farmi cedere. Ho tradito le mie promesse e la fiducia dei volumi colorati nello scaffale. Ricordo di non aver provato né vergogna né rammarico. Qualche giorno dopo, però, è arrivata la recidiva. Nella mensola di casa, tra polvere e acari, ho ritrovato un libro perso nei meandri della memoria e del tempo. Un romanzo che si è tenuto in vita grazie alla promessa di lettura che gli feci diciotto anni fa quando lo comprai con gli occhi pieni di speranza e tanta ingenuità. Non ho avuto scelta. Dovevo portarlo con me e salvarlo dall’oscurità della mia cameretta d’infanzia. Infine, è giunta anche la perseverazione diabolica quando, a mia insaputa, mi è stata regalata una raccolta di racconti. Io non l’avrei mai presa. Non perché non mi piacesse l’autore, ma perché, in un moto d’orgoglio finale per non cadere in tentazione, avevo evitato di avvicinarmi alle salviette dei bar, ai volantini delle sagre, ai ticket del parcheggio e a qualsiasi altra forma di carta stampata. Nonostante tutto, non sarebbe stato corretto rifiutare e anche il dono in questione è finito nello zaino.»
«Hm… signor Riva, niente di tutto ciò rientra nelle categorie delle merci da dichiarare alla polizia doganale. L’avevo solo avvertita che un libro gli era caduto dalla giacca quando se l’è tolta per superare i controlli.»
«Oh! Mi scusi. Non volevo abusare del suo tempo.»
Raccolgo in fretta le mie borse con la testa bassa e le gote rosse. Passato oltre, però, ridacchio sotto i baffi e da sotto la maglietta estraggo un romanzo di fantascienza di Asimov acquistato all’edicola dell’aeroporto. Questo non me l’hanno beccato. Lo guardo dritto nell’occhiello e sussurro suadente: «Tu sarai il prossimo.»
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