mercoledì 25 ottobre 2023

ITALIENAREN – Vocali svedesi

A, E, I, O, U, Y, Å, Ä e Ö.
Un mistero.
Una sfida.
Una maledizione.
Sono loro, le vocali svedesi. Un vero grattacapo per chi vuole imparare la lingua. Tranquilli, non vi ammorberò con noiose e complicate dissertazioni di psicolinguistica e fonetica (anche perché non sarei in grado di farle) ma vi introdurrò queste fantastiche letterine svedesi a modo mio, a cazzo di cane. Vi avviso quindi già da subito che ci saranno una marea di imperfezioni e alcune inesattezze. Le ho messe volutamente a fine di bene, con affetto e un pizzico di ironia. Astenersi dunque precisini e puntigliosi. Andate altrove se volete qualcosa di più serio e utile[1]. Benvenuti invece perditempo e bighelloni.
 
Nonostante il disclaimer iniziale alcuni andranno avanti lo stesso e molti di essi storceranno il naso leggendo questo pezzo ma è bene che sappiano che non li aiuterà affatto a pronunciare meglio le vocali svedesi perché per quello serve invece la posizione della lingua, delle labbra e della faringe come cassa di risonanza. Le vocali svedesi possono essere luuunghe o cort, FORTI o debolucce. Hanno il brutto viziaccio di influenzare molto la pronuncia delle consonanti che le stanno vicine non lasciandole mai in pace, un po' come nel proverbio "dimmi con chi vai e ti dirò chi sei".
Data la loro natura dispettosa, ho deciso quindi che oggi non le presenterò in ordine alfabetico (come sono state scritte qui sopra), ma a caso. D'altronde anche l'ordine alfabetico svedese mi ha sempre dato l'impressione di essere quasi casuale o per meglio dire rattoppato all'ultimo secondo, con quelle ÅÄÖ messe all'ultimo dopo la Z, come se fossero state dimenticate. Non compatitele però, perché quelle tre brutte pesti si vendicano quotidianamente con tutti gli stranieri che cercano di pronunciarle correttamente.
Ora però bando alle ciance e preparatevi al peggio.
 
A – iniziamo da una facile, una normale, una che non ti vuole mettere in difficoltà. Invece no. Sarebbe troppo semplice. La A ti fa credere che si pronunci sempre A come in pace, carote e patate in italiano. Lo fa spesso, a dire il vero, ma ogni tanto, quando si alza col piede sbagliato, ti frega, si traveste e sembra una O, come in gatan (=via), dove la seconda A è Dr Jekyll e la prima è Mr Hyde.
Å – È la vocale queer, quella che nasce come una A ma si sente una O, come in regnbågsflagga (=bandiera arcobaleno). Per quanto mi riguarda può identificarsi in quello che vuole, io la amo lo stesso per quello che è perché è una di quelle che mi dà meno problemi di tutte.
Ö – Ovvero la faccina sorpresa… come quella dei barman quando tento invano di ordinare una birra (öl) e non capiscono. La Ö è il mio più acerrimo nemico da quando vivo in Svezia perché la mia bocca va in sciopero al momento di posizionarsi nel modo corretto a forma di bacetto e cado facilmente in errore. La Ö è molto facile da confondere con la precedente Å. Attenzione infatti se date appuntamento agli svedesi a Åland (arcipelago di isole in Finlandia) perché il rischio è che possano invece recarsi a Öland (isola nel sud della Svezia) oppure nei casi più estremi in Holland (=Olanda). Il mio consiglio è quello di mandare un messaggio scritto di conferma e non sentirsi solo a voce.
I – Prendiamo fiato e rilassiamoci perché questa vocale è tutto sommato semplice e non nasconde particolari insidie. Mi raccomando, però, meglio sempre stare all'erta e tenere d'occhio queste pazze vocali svedesi perché potrebbero sempre rifilare brutti scherzi.
O – La O è birichina come la A. A volte è semplice e si pronuncia come la O in italiano, per esempio in social (=socievole), ma se messa al centro dell'attenzione s'intimidisce, si chiude in sé stessa e diventa quasi una U, come in osocial (=asociale).
U – Si pronuncia quasi come una O. No, scherzo. Si pronuncia come una U ma va allungata moltissimo, più di quello che si possa pensare. Un esempio lampante è la U nella parola jul (=Natale) che si comincia a pronunciare la sera del 24 dicembre e si finisce a juni (=giugno) o addirittura a juli (=luglio) se si va troppo per le luuunghe.
Ä – Vedi lettera successiva.
E – La metto vicina alla Ä perché le due vocali in questione non sono facili da distinguere. Una è chiusa e l'altra è aperta. Lascio a voi decidere in che ordine. Sfido infatti a capire la differenza tra egg (=spigolo) e ägg (=uovo) senza provare a prepararsi uno spigolo all'occhio di bue, ovviamente. Le cose si complicano ulteriormente e si tingono di imbarazzo quando alla festicciola sadica si presenta anche la consonante H e non vi resta che scappare a casa augurando a tutti un Buon fine settimana: Trevlig älg! No, un secondo... ho appena scritto Buon alce! Intendevo, Trevlig helg! Ecco, così va bene.
Y – A, E, I, O U… ipsilon… come il famoso medley Disco samba dei Two Man Sound, trio di musicisti brasilian… hm no, trio belga. Non vi sto prendendo in giro è davvero un trio belga[2] e la Y è davvero una vocale in svedese. È una via di mezzo tra la U e la I, passando per la Ö nei giorni dispari e con targhe alterne a occhi bendati. Facile, vero? A me fa impazzire e spesso mi viene voglia di affettarla con la yxa (=accetta).
 
Bene, ora che sapete tutto, ma proprio tutto sulle vocali svedesi è ora di festeggiare.
Pe pe pe pe pe pe pe pe pe pe (da ripetere sei volte)… e via di trenino di Capodanno, anzi Nyårsaftons lilla tåg!
 
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Ecco il link all’articolo su Italienaren - Il lavoratore:
https://italienaren.org/vocali-svedesi/


[1] https://swedish-for-all.se/sfi-steg-learning-steps/uttal-1-vokaler/
https://uttal.se/vokaler/
https://www.omsvenska.se/uttal/vokaler-och-konsonanter/
http://pratar.weebly.com/vokaler.html
 
[2] https://www.soundsblog.it/post/disco-samba-capodanno-trenino-medley-canzoni

mercoledì 18 ottobre 2023

RACCONTI – Paesello

La prima cosa che noto ogni volta che torno in Italia per un periodo di vacanza è la presenza del “fuso orario”. A differenza dei miei genitori che me lo chiedono sempre, io so che Italia e Svezia hanno la stessa ora in tutti i periodi dell’anno, ma il fuso orario di cui parlo è legato alle differenze culturali e alle abitudini alimentari. Trovare infatti un punto d’accordo con gli amici per darsi appuntamento oppure decidere l’orario del pranzo e della cena con i familiari è impresa degna del planning manager della Casa Bianca.
L’altro aspetto temporale si manifesta quando faccio un giro per il paese dove sono cresciuto. In certe zone il tempo sembra essere andato avanti veloce fino a un lontano futuro dove la civiltà umana è scomparsa da secoli e tutto è diroccato, dai negozi alle abitazioni. Il quadretto distopico è completato dalla presenza di 30 gradi a ottobre che rende attuale ogni scenario catastrofico della crisi climatica. La conseguenza di queste temperature è che le cimici, quegli orribili insettini verdi che volano non sapendolo fare bene come gli aeroplanini di carta che lanciavo da piccolo, sono le nuove creature dominatrici di questo secolo e di queste lande desolate. Quelle bestie invadenti sono i nuovi Visitors del pianeta Terra e ormai occupano impunemente e indisturbate tutte le abitazioni del paesello. La politica e le forze dell’ordine non fanno ovviamente niente per fermare questa invasione. C’è chi invoca la vespa samurai, chi l’aglio confondendosi probabilmente coi vampiri e chi l’odore del tabacco, creando alla fine un clima di tutti contro tutti e senza alcuna soluzione tangibile al problema. Intanto tutto è imballato nella burocrazia che è… ma che ve lo dico a fare? Anche chi non è italiano sa come funziona.
Cerchi di distrarti guardando la televisione e ti viene da ridere notando che c’è ancora il Grande Fratello… parlo del programma televisivo, non dei dibattiti politici che dilagano in tutto il paesello.
Spengo tutto. Vado a mangiarmi una pizza. Prima però devo passare dalla banca e chiedere un mutuo, visto il listino prezzo “stoccolmese”. Mi consolo pensando che almeno si mangia bene, dai. Oltre ai ragni: leggenda narra che si ingoi circa otto ragni all’anno. Credo che a casa mia nel paesello si alzi la media vertiginosamente. No, scherzi a parte. Nessuna polemica sul cibo. O forse è questo il problema, che nel paesello ci si accontenta di essere un’eccellenza culinaria, mentre ci ritroviamo con i culi in aria… o meglio dire per terra.
Sono comunque felice di questa vacanza: ho fatto incetta di famiglia, amici e cibo. Adesso è ora di tornare a casa ma le sorprese non sono finite. L’atterraggio del mio aereo era previsto per mezzanotte ma il volo fa un’ora di ritardo come annuncia lo speaker: “Ci scusiamo per il disagio che vi porterà ad arrivare a casa a notte fonda e che vi renderà uno zombie al lavoro domani mattina!”. Grazie Semi-Palindrome Air. Probabilmente questa è la punizione per aver parlato male del paesello.
Dopo l’attesa sfiancante alla fine però arrivo in Svezia dove tutto funziona bene. Atterro al Terminal 4 di Arlanda e mi costringono a fare una camminatina di dieci minuti fino al Terminal 5. L’autobus però parte all’uscita del Terminal 4. Logico. Quindi devo camminare nella direzione opposta appena percorsa, questa volta da fuori. Ovviamente perdo la corriera e la prossima è tra 40 minuti. Grazie Arlanda. Questa invece è la punizione per aver parlato male delle cimici-Visitors.
Dopo un sonnellino sul sedile della corriera, la coincidenza fortuita dell’autobus a Stoccolma e una breve camminata, alle tre di notte arrivo a casa. Esausto, appoggio la testa sul cuscino e… tre, due, uno: driiiin. Suona la sveglia. Sono già le sette. È ora di fare colazione con pappa d’avena, mettersi il cappotto pesante, farsi schiacciare in metro come sardine e andare al lavoro prima dell’alba e tornare dopo il tramonto.
A vederla così, il paesello già mi manca.

venerdì 13 ottobre 2023

RACCONTI – Astinenze

Passeggio per le strade di questa bella località di mare in estate. Sono in Italia per farmi una bella dose di sole, aria ricca di iodio e acqua salata. È una vera e propria annuale disintossicazione dal lungo inverno svedese. Sono tranquillo e sereno. Mi rilasso godendomi le vacanze. All'improvviso però tutto cambia quando vedo lei. All'angolo della strada mi lancia uno sguardo beffardo. Mi ha trovato subito. Ho i sudori freddi ma una scarica di dopamina si abbatte sul mio cervello. Distolgo lo sguardo ma sono eccitato. Cammino e vado oltre facendo finta di niente. Ora non posso. Ora no, perché sto andando al mare con la famiglia. Mi sforzo di non incrociarla con lo sguardo e vado oltre. In quei cento metri di camminata faccio fatica a non voltarmi e sto male, ma una volta girato l'angolo mi sento meglio. Ho fatto la cosa giusta.
Arrivo alla spiaggia e mi sdraio al sole, mi faccio un bagno refrigerante e mi mangio un buon gelato. Tutto è alle spalle. Quasi. Un pensiero infatti non mi lascia tregua: "E se ci ricasco?" Mi rassicuro che non succederà ma nel profondo della mia mente non ne sono sicuro. Reprimo il pensiero ingoiando un altro gelato e quando è ora di tornare a casa dalla spiaggia prendo di proposito un'altra strada, così non ci faccio più caso e me ne sto tranquillo.
Finché arriva la sera, dopo cena, quando mia moglie mi manda a prendere un gelato per tutta la famiglia (sì, un altro gelato… d'estate è concesso) e passo di nuovo per la via di questa mattina. Lei mi aspetta sempre là. Al solito angolo. Cerco di distogliere lo sguardo. È difficile resistere. È una tentazione troppo forte. Sono in crisi nera. So benissimo quello che lei mi può offrire. Uso tutte le mie energie mentali per non pensarci, ma più porti all'attenzione un desiderio e più questo si rinforza. È come una palla che più la spingi sott'acqua e più grande sarà la forza che la riporterà in superficie. Sono al massimo dei miei sforzi. Guardo altrove nonostante lei mi fissi impietosa dall'altro lato della strada in attesa del mio inevitabile cedimento. Mi concentro sulla musica che sento arrivare dai bar affollati. Guardo le belle ragazze a passeggio. Niente funziona come vorrei.
"Se lo faccio solo una volta, lo posso controllare!" Penso mentre la guardo dritta davanti a me.
"Sarà solo una cosa veloce, che male mi farà?" M'illudo attraversando la strada.
"In fondo mi mancava tantissimo e sono stato bravo a resistere per tutti questi mesi." Mi compiaccio dei miei sforzi e abbasso ulteriormente le difese mentre le sono ormai a un passo.
Alla fine soccombo. Cado vittima di quella debolezza e di quel vizio che mi attanaglia da sempre. Di nuovo. In fondo, se voglio roba buona italiana sono costretto a farlo qui e ora per non dovermi rivolgere ancora a quella odiosa consegna postale.  
Un attimo dopo tengo già in mano quello che lei mi ha offerto con tanto feroce sadismo e gioia nel vedermi soffrire. Soppeso il prodotto di tanti sforzi e fatiche. Ne annuso il profumo avvicinandolo bramosamente al naso. Ne ammiro la cura e la qualità dei dettagli. Mi guardo attorno e mi stropiccio gli occhi della varietà che mi viene proposta. Mi pregusto la sensazione liberatoria di estasi che proverò quando userò i suoi prodotti nella tranquillità e intimità di casa mia, al riparo di sguardi indiscreti e molesti.
Tutto questo turbine di emozioni e di sensazione è semplicemente stupefacente. Mi chiedo come io abbia potuto farne a meno per più di sei mesi. Mi chiedo anche come io abbia potuto evitare il suo fascino durante i primi giorni di vacanza in Italia senza approfittarne subito appena atterrato in suolo italiano.
Dopo molta ricerca e devota venerazione delle varie proposte, riesco miracolosamente a limitare la mia scelta a un solo prodotto. Con gli occhi lucidi e l'aria inebetita mi dirigo alla cassa per ottenere un regolare scontrino del mio acquisto. Pago il prezzo dovuto alla commessa ed esco con il mio bel libro nuovo in mano. Un romanzo che avevo nella mia lista dei desideri da tanto tempo e che ora finalmente aggiungerò alla pila di libri che mi sono prefissato di leggere e che probabilmente non riuscirò a terminare prima della pensione.
Sniffo il profumo della carta stampata un'altra volta, accarezzo la copertina patinata togliendo un po' di polvere e sospiro soddisfatto. Mi volto a darle l'ultimo sguardo e la saluto. A presto, cara libreria.

mercoledì 4 ottobre 2023

RACCONTI – La strazio

Sono bloccato su una sedia: le mani sui braccioli, i piedi sul piedistallo, la testa ferma, gli occhi ben spalancati a guardare avanti. La persona di fronte a me mi ha appena imbottito di domande sulla mia vita e sulle mie abitudini. Il tempo sembra non passare più da quando sono entrato qua dentro. Sono qui da minuti, ore o addirittura giorni? Non lo so. Immagino che il Trattamento Ludovico a Alex DeLarge in Arancia Meccanica fosse qualcosa di simile, ma forse sono il solito esagerato.
Non vorrei essere qui. Mi pento di aver fatto questa scelta, di essere venuto in questo luogo maledetto di mia spontanea volontà. Vorrei essere altrove.
Eppure era la scelta giusta. Era giunto il momento di portare a termine questa tortura.
"È meglio la numero uno o la numero due?"
Non è Mike Bongiorno dal regno dell'aldilà che mi chiede quale busta preferisco e, dato che lo sto evitando da anni, non può neanche essere il mio medico di base che mi propone un paio di creme antifungine da usare sulla schiena. Quella è la voce dell'oculista che mi chiede con quale lente vedo meglio le lettere dall'altra parte della stanza. Un po' come quando la tua compagna ti invita a esprimere una preferenza tra il divano grigio topo di campagna a sinistra o quello grigio topo di città a destra quando siete in visita all'IKEA (spoiler alert: non c'è nessuna differenza). Quello che faccio, quindi, è scegliere una lente o l'altra in base all'istinto, se non addirittura al caso.
"Cosa vedi in questa riga?"
Ecco la domanda che mi tortura più di tutte. La domanda che mi accompagna da quando avevo quattro anni e che mi ha condannato a inforcare gli occhiali e a non lasciarli più. La domanda che mi ha sempre lasciato senza risposte e con un forte senso d'ansia e d'impotenza. Con l'occhio "buono" riesco anche a cavarmela, ma con l'occhio destro sono quasi cieco e cercare di interpretare la forma di quella maledetta lettera è pura sofferenza. Mi sono sempre chiesto se ci siano davvero delle lettere o se l'oculista si diverta a mettere dei segni a caso, tipo rune celtiche oppure sanscrito antico ogni volta che io mi approccio alla tavola optometrica. Ma poi, perché dovrei leggere quelle letterine? Neanche fossi Babbo Natale con gli elfi seduti accanto a me davanti al caminetto.
Da piccolo ogni tanto trovavo una scusa per avvicinarmi alla tavola optometrica e imparavo a memoria l'ordine delle lettere presenti. Era bello poter fregare così l'oculista che per me era una persona sadica che sghignazzava per le mie incapacità visive. Ricordo ancora le risate che mi facevo quando poi, uscito dal negozio col mio nuovo paio di occhiali dalla gradazione sbagliata, festeggiavo la riuscita del mio inganno andando a sbattere involontariamente contro tutti i muri che trovavo. Che pirla.
"Questi li vedi orizzontali o verticali?"
L'oculista passa poi ai suoi classici trucchetti da illusionista e giochi di prestidigitazione. Se tappo un occhio vedo una sequenza di linee, se tappo l'altro intuisco che ci sia qualcos'altro ma non so bene cosa: una macchia del test di Rorschach sarebbe più chiara. In realtà vorrei solo chiudere entrambi gli occhi e sparire dal negozio e ritrovarmi magicamente di nuovo a casa a tortura conclusa. Non posso farlo però e sono invece costretto a continuare a stare ai giochi perversi di quel personaggio in camice bianco che ormai non sembra neanche divertirsi più perché preso da una sorta di compassione per i miei continui fallimenti. Almeno io li percepisco così. L'ho già scritto che sono il solito esagerato? Mi pare di sì.
"E ora guarda qua: tranquillo, non è pericoloso!"
E prima che io possa rendermi conto che questa è la tipica affermazione che mette una gran preoccupazione nel paziente (io, in questo caso), mi ritrovo un raggio sparaflashante alla Men in Black sparato dritto negli occhi che mi acceca completamente. Per un millisecondo, ma mi rende cieco. Mi dice che è un test per il riflesso della dilatazione pupillare ma io credo che sia un metodo astuto per cancellare la memoria degli ultimi e dei prossimi cinque minuti e farmi dimenticare il prezzo del conto da pagare della visita, degli occhiali e delle lenti, così poi potrò tornare agli accertamenti di controllo senza farmi troppe remore.
"Abbiamo finito!"
Oh, il momento più bello di tutti. La frase che aspettavo da quando mi sono seduto in sala d'attesa. La liberazione che mi fa abbassare finalmente le spalle da livello Generale dell'esercito prussiano a livello pappamolla di scuola di polizia. È il lasciapassare che mi fa rilassare tutti i muscoli del corpo e gli sfinteri anali, con notevoli sforzi nel trattenere le conseguenti scoregge…
"Che cos'è questa puzza?"
…cosa che non sempre mi riesce a quanto pare.
A parte questo spiacevole e imbarazzante inconveniente ora non mi resta che aspettare un mesetto che le miei lenti speciali vengano create su misura e un altro mesetto che mi vengano fatte recapitare dall'altra parte del mondo. Mi chiedo se questi tempi d'attesa eterni dipendano dal fatto che le mie lenti siano prodotte a mano da monaci tibetani solamente dopo aver raggiunto il nirvana oppure se sia solo la mia solita sfiga. Non lo saprò mai.
Ad ogni modo, la giornata finisce e io torno a casa esausto. Sono davvero a pezzi. Affrontare le proprie paure e ansie è faticoso. Se avessi saputo che era così difficile non lo avrei mai consigliato ai miei pazienti in tutti questi anni da psicologo. Mi sento comunque orgoglioso per aver risolto questo problema da vero uomo: ovvero prenotando una visita oculistica dopo averla posticipata all'infinito e non aver dato priorità alla mia salute per paura di eventualmente ricevere brutte notizie come per esempio diventare cieco o dover passare da occhiali con lenti spesse come un fondo di una bottiglia a occhiali con lenti spesse come il fondo di una damigiana. Tutto sembra portare a berci sopra, ma non troppo, altrimenti rischio di dimenticare l'importante lezione di oggi: la prossima volta metterò da parte la mia virilità a vantaggio della mia salute.
E quell'altra visita dal dottore che dovevo fare? Ah, ci penserò domani.