giovedì 26 maggio 2022

RACCONTI – L’equilibrio

Mi metto il camice bianco ed entro in laboratorio. Mi infilo i guanti in lattice. Appoggio l’elastico dietro le orecchie e appoggio la mascherina sul naso e la bocca. Ora sono pronto.
Il mio laboratorio non è asettico, ordinato e disinfettato, ma caotico, scombussolato e sporco. La stanza di un adolescente arrapato sarebbe messa meglio. Questo però è quello che mi ritrovo tra le mani, quindi inspiro profondamente e mi metto al lavoro con l’attività che ogni giorno mi dà da vivere.
Con passo cauto zampetto da un punto libero all’altro del pavimento evitando le pile di libri e i vecchi camici buttati alla rinfusa per terra.
Arrivato al bancone sposto le scartoffie, le penne sparpagliate e le cartacce delle merendine mangiate in preda al nervosismo dei giorni scorsi.
Gli esperimenti non stanno andando bene. I risultati non si vedono. Non riesco a trovare la soluzione al mio problema.
Mi abbatto al solo pensiero di come sia andata ultimamente, ma ritrovo la concentrazione. Non mi arrendo e ci riprovo ora.
Inspiro ed espiro profondamente. Mi guardo attorno e vedo le provette nella teca. Sposto alambicchi e strumenti vari che ne ostruiscono l’apertura e con molta fatica riesco ad aprirla e a prendere il supporto con tutte le provette in fila.
Da un’altra bacheca afferro saldamente alcuni flaconi contrassegnati da etichette con nomi di sostanze. Appoggio tutto sul bancone.
Osservo tutto il materiale che ho davanti agli occhi. Da dove cominciare?
Allora, la volta scorsa ho fatto tutto quello che pensavo fosse giusto ma alla fine non ero contento. Come posso fare per essere felice? Hm…
Va bene, provo così: in un becher verso della dopamina. Se riempio fino a questo segno dovrebbe andare. Ah, merda! Ne ho messa troppa. Mi gira la testa. Non posso credere a quello che è successo. Non posso essere stato io a farlo. No. Dev’essere stato qualcun altro a versare più sostanza di quella che serviva. Qualcuno nascosto in questa stanza mi ha spostato il braccio nel momento in cui versavo la dopamina.
Calma, Roberto. Calma. Non c’è nessuno qui con me. dev’essere la stanchezza di questi giorni e questa luce al neon che lampeggia a intervalli irregolari ad avermi ingannato.
Cerca di restare lucido. Ti serve serotonina. Devo metterci più serotonina. Ecco là.
Mi giro di scatto. Per sbaglio urto col dorso della mano un flacone che cade a terra e si rompe in mille pezzi. Il liquido che conteneva si sparge sul pavimento. È irrecuperabile. Ovviamente era la serotonina. Nel frattempo la dopamina nel becher è evaporata. Sono un incapace. Non so fare niente e quel poco che faccio lo faccio male. Sono un buono a nulla. Non potrò mai essere felice così, senza la serotonina.
Vorrei mettere via tutto. Anzi, vorrei buttare via tutto e nascondermi a letto sotto le coperte. All’improvviso sono stanco e svogliato. Non otterrò mai i risultati che voglio. Me lo merito.
Abbasso lo sguardo affranto, ma proprio in quel momento mi ricordo che posso ancora fare qualcosa. Posso provare a compensare l’assenza di serotonina con le endorfine.
Dove sono? Maledizione, dove le ho messe? Dove?
Cerco freneticamente tra gli scaffali e le teche, ma non le trovo. Giusto: sono in quell’angolo. Devo muovermi da qua. Le provette con le endorfine sono alla fine di quel tapis roulant. Ecco a cosa serviva. Prima cammino, ma non ci arrivo. Cammino più in fretta fino a correre, ma i preziosi neurotrasmettitori sembrano irraggiungibili. Sto correndo da almeno trenta minuti e non ho ottenuto niente. Sono esausto. Mi fermo. Con mia grande sorpresa ora le provette con le endorfine sono a portata di mano. Bene. Questa notizia mi fa stare meglio.
Ritornando al bancone mi ricordo però che in questi giorni devo portare l’auto a riparare, devo sistemare la mensola in bagno, completare quei maledetti documenti per la banca e partecipare a una riunione lavorativa ma farei volentieri a cambio con una camminata sui carboni ardenti. Distratto da questi pensieri non verso le endorfine ma un’altra provetta. L’etichetta recita: cortisolo. No, che stress!
Provo a buttare freneticamente nel becher le endorfine, ma è troppo tardi, hanno finito il loro effetto. Trovo altri due flaconi che avevo preso prima. Apro in fretta il tappo e rovescio tutto il contenuto nel miscuglio di prima. Tanto, che male possono fare alcune sostanze in più. Leggo meglio l’etichetta: adrenalina e noradrenalina. Panico!
Il cuore batte a mille colpi al minuto. Sto sudando freddo. Sto iperventilando. Aiuto non so cosa fare. Ho paura di aver sbagliato tutto. Guardo le provette e i contenitori che mi restano ma non so quale prendere. La vista è appannata e sto per svenire. Ho bisogno di sedermi.
Inspiro, conto fino a tre, espiro, conto fino a tre, inspiro, conto fino a tre, espiro, conto fino a tre…
Continuo così per qualche minuto finché non mi riprendo. Molto meglio così.
L’adrenalina e la noradrenalina nel frattempo sono evaporate e i miei valori corporei sono tornati alla normalità. Oh, bene. Guardo verso il bancone. Ora non vedo le provette e gli alambicchi, ma una cornice appesa al muro, oltre il bancone. È una fotografia. Mi basta guardarla per sentirmi già meglio. Mi alzo. Mi avvicino. La prendo in mano: è una foto della mia famiglia. C’è mia moglie e i miei due bambini. Penso ai loro abbracci, alle loro carezze, ai loro baci. Il ricordo è così vivido che mi sembra di averli qui al mio fianco.
Sovrappensiero ho versato nella miscela di sostanze anche un flacone contenente ossitocina. Che bello. Tutto sembra bilanciato ora. Lo so che durerà poco e che a breve dovrò aggiungere altre sostanze per mantenere l’equilibrio, ma per ora va bene così.
Credo sia ora di andare a casa. Ho fatto quello che potevo per oggi. Domani ci saranno altri esperimenti da provare. Questo è quello che faccio per vivere. Per sentirmi vivo.
Il letto è in un altro lato del laboratorio. Io vivo, mangio e dormo sempre qui.
Sono stanco. Cerco di chiudere gli occhi. Dovrei dormire, ma non ci riesco. Sono troppo eccitato per il lavoro di oggi. L’equilibrio mentale resta costantemente instabile. Mi consolo al pensiero che probabilmente l’obiettivo non è raggiungere l’equilibrio, ma quello che si fa per cercare di raggiungerlo.
E solo in quel momento capisco perché non riesco ad addormentarmi. Maledizione, ho dimenticato di aggiungere la melatonina!

lunedì 23 maggio 2022

PROMOZIONE – Mi pubblicano… a puntate (6)

"Il lavoratore", storico giornale della Federazione delle Associazioni Italiane in Svezia (per gli amici detta anche FAIS) continua imperterrita a pubblicare alcuni miei racconti presi dal mio Blog da Strapazzo (https://blogdastrapazzo.blogspot.com/).
Oggi è il turno de “L’aurora”: https://illavoratore.org/i-racconti-di-roberto-riva-laurora/
 
Date anche un’occhiata agli altri interessanti articoli che pubblicano.
 
Sì, lo so, questo pezzo potrebbe tranquillamente stare nella rubrica “Kissenefrega”… prendetelo come una sottocategoria letteraria!

martedì 17 maggio 2022

RACCONTI – La dipendenza

Dov’è? Dov’è?
Ah, eccola: l’icona blu sul cellulare. Schiaccio.
Oh, che goduria. Mi mancava. Erano passati ben cinque minuti dall’ultima connessione…
 
Scorro giù.
Scorro giù.
Cazzata scritta da Caio Sempronio: “Sapete perché i sostenitori del movimento No Vax non bevono mai latte di mucca? Perché è vaccino!”.
Metto faccina “LOL”.
Scorro giù.
Scorro giù.
Tette grosse.
Scorro giù.
Scorr…
Aspetta un attimo.
Torna indietro.
Scorro su.
Ah, è la foto di una con due meloni grossi così! Pazzesco. Devono essere quei meloni bianchi e dolci che si mangiano in Sardegna. Buonissimi.
Non erano tette grosse. Peccato.
Scorro giù.
Niente d’interessante.
Scorro giù.
Scorro giù.
Pinco Pallino mette in vendita su Market Place uno spazzolone da cesso, un cravatta color kaki che fa cacare e un libro di Alessandro Orsini. Non posso fare a meno di notare l’ironia dell’accostamento dei 3 oggetti. Ma poi che cazzo me ne frega di che cosa sta vendendo Pinco Pallino? Tra l’altro, Pinco Pallino dovrebbe essere un mio amico ma non ricordo di averlo mai conosciuto. Mah.
Scorro giù.
Video di gattini.
Scorro giù.
Hm…
Scorro giù.
Beh, dai solo un attimo.
Scorro su.
Scorro su.
Video di gattini.
Oh che carini! Guarda quello che buffo. Ah, ah, ah.
Vado oltre. Ho altro da fare.
Ancora un video, dai. Solo uno…
…due, va’!
Metto “Mi piace” e andiamo avanti.
Scorro giù.
Articolo sul riscaldamento globale e sulla crisi energetica.
Metto “Mi piace” per far vedere che sono una persona impegnata e vado oltre.
Ovviamente non leggo l’articolo.
Però metto la bottiglia nel bidone della plastica, l’umido nel contenitore apposito e la coscienza a posto.
Scorro giù.
Uno scrive che è triste perché ha perso il cellulare.
Metto faccina “Sigh”.
Scorro giù.
Ah, ah, ah. C’è una vignetta troppo forte sull’essere genitore.
Metto faccina “LOL”.
Scorro giù.
Qualcuno commenta sulla situazione catastrofale del lavoro in Italia.
Metto faccia arrabbiata “Grrr!”
Ma vivo all’estero e la cosa al momento non mi tocca.
Ah, ah, ah!
No, non metto la faccina “LOL”. Scrivo invece un commento: “Che scandalo!!!1!”.
Scorro giù.
Niente di interessante.
Pubblicità.
Niente di niente di niente.
Scorro giù.
Notizia sul calcio. Gli altri sport non esistono e si parla solo di 3 squadre. Le altre si fottano.
Scorro giù.
Scorro giù.
Scorro giù?
Ma perché continuo?
Devo aver dimenticato il cervello qualche pagina sopra.
Alzo gli occhi dal cellulare.
Dovrei davvero usare il mio tempo in modo più produttivo. Sono una merdaccia!
Appoggio il cellulare sul tavolo.
Meglio mettersi a scrivere.
Accendo il computer. Apro Word. Eccomi…


Beh, dai. Guardo solo un secondo.
Solo cinque minuti per trovare ispirazione.
Per distrarmi un attimo.
Apro il browser.
Clic col mouse sul segnalibro con la “F” bianca e lo sfondo blu.
Scorro giù.
Scorro giù.

giovedì 12 maggio 2022

KISSENEFREGA – La quattro stagioni alla svedese

Questa ricetta è facilissima. Ormai è da molti anni che la faccio e viene da Dio. Mi sorprendo ogni volta del risultato ma funziona benissimo. Fai un figurone con gli ospiti.
Allora, prendi una manciata di sassolini da spargere per terra. Ci aggiungi delle foglie secch…
Ah, non avevate capito che non si trattava di una pizza?
Tranquilli, è un errore comune. Qui non si parla di cibo. Questa è più un’esperienza di vita che una ricetta culinaria. Ma dove eravamo rimasti?
Ah sì… aggiungete delle foglie secche rimaste dall’autunno. Anche bagnate da pioggerelle o acquazzoni improvvisi vanno bene lo stesso a dire il vero. Raccogliete dall’aria il polline di graminacee, pioppi, querce e faggi e mescolatelo con una buona dose di starnuti (quanto basta) e alcuni boccioli ancora verdi. Amalgamate per bene l’impasto creato e una volta che sembra arrivata l’estate, spruzzateci sopra un po’ di neve o nevischio. Potete anche abbondare con la neve alta se amate i gusti più forti.
Lasciate riposare per qualche giorno mentre osservate gli scoiattoli zampettare da un ramo all’altro, ascoltate gli uccellini cinguettare alle cinque di mattina perché c’è già la luce forte dell’alba e preparate i vestiti a cipolla che dovrete usare durante la giornata.
Adesso scaldate l’impasto a venti gradi e subito dopo raffreddatelo a zero o meno tre. Poi portatelo a temperatura ambiente di dieci o dodici gradi. Ripetete quest’ultimo processo a giorni alterni e a volte, se necessario, a ore alterne. Quando non ne potete più, sappiate che non v’è certezza della fine della procedura e che a volte potrebbe richiedere altri trenta o sessanta giorni oppure addirittura fino a data da destinarsi.
Per ultimo, coprite con un velo di mal di testa da pressione barometrica, stanchezza, depressione stagionale e infilate tutto quanto nel mese di aprile.
Ecco pronta la prelibata ricetta della quattro stagioni alla svedese.
Buon appetito!

E voi direte: e chi se ne frega di questa ricetta? Beh, non prendetevela con me, non è colpa mia... io vi avevo avvisati: rileggete il titolo della rubrica, per piacere!

giovedì 5 maggio 2022

RACCONTI – Bestioline

Con un cappello in mano, sono seduto per terra e chiedo l’elemosina ai passanti. I miei vestiti sono sgualciti e sporchi di polvere. Ho la barba incolta, le unghie dei piedi lunghe che escono dai calzini bucati e… sniff, sniff… puzzo come una capra.
Perché sono finito in queste condizioni?
Semplice. La colpa è di 898 malefiche bestioline. Per capire come è successo dobbiamo tornare indietro nel tempo…
 
[L’arpa suona, le immagini ondeggiano e tutto si tinge di bianco e nero]
 
Tutto è cominciato durante uno spensierato pomeriggio nell’anno del Signore 2022 a casa di una coppia di amici italiani. Tutto è andato per il meglio: i nostri e i loro figli hanno giocato senza scannarsi, abbiamo mangiato del buon cibo italiano e fatto due chiacchiere come ai vecchi tempi. Tutto bene fino ai saluti finali, quando il loro figlio di otto anni innocentemente si fa avanti e porge un dono a mio figlio di cinque anni.
— Sono doppioni. Puoi tenerli.
Mio figlio ringrazia con le lacrime agli occhi.
Che carino. Che gesto amorevole. Davvero lodevole.
Pensiamo io e mia moglie da veri naïve, senza minimamente accorgerci del cavallo di Troia appena ricevuto sotto spoglie di un piccolo scrigno contenente una cinquantina di carte dai colori sgargianti. A conferma di ciò, con la coda dell’occhio, noto che i miei amici bisbigliano tra di loro con fare sospetto.
Non capisco. Quando ci salutano, però, sento una frase maligna, detta a denti stretti.
— Benvenuti nel mondo dei Pokemon!
C’è un attimo di silenzio e la porta si chiude.
— Perché stanno sghignazzando in maniera satanica?
Chiedo a mia moglie, perplesso.
— Sei il solito esagerato! Che ci sarà di male in un gesto tanto generoso? Sono solo delle adorabili bestioline.
Le do ragione e lascio stare.
Mentre torniamo a casa in metro, mio figlio comincia a lanciare pezzi di lego, giocattoli o palline di carta agli altri passeggeri urlando nomi incomprensibili.
Continuo a non capire. Devo aver visto male. Mia moglie non può essersi sbagliata. Le mogli non hanno mai torto, per definizione.
 
[tic-tac, tic-tac, tic-tac… le lancette dell’orologio scorrono in avanti veloci]
 
Passa una settimana. Siamo tutti in cucina. Nostro figlio più grande ha convinto quello più piccolo a intraprendere una specie di lotta a colpi di sbracciate esagerate e nomi di personaggi fantastici. Sembrano gli stessi nomi della volta scorsa. Ancora non capisco quello che sta succedendo e lascio correre (sì, lo so, sono un po’ tardo).
 
[Avanti veloce come nei video e le immagini accelerano]
 
Passano un paio di giorni. Siamo al supermercato. Faccio la scorciatoia verso il reparto detersivi, prendendo larga la curva delle acque minerali. Per un attimo mi sento al circuito Formula Uno di Imola! Mio figlio sfrutta la mia distrazione e si fionda verso il reparto giocattoli che io avevo cercato di tagliare fuori con la mia abile deviazione. Vado a recuperarlo prima che avvenga il danno ma ormai è troppo tardi. Mi tira per la maglietta e mi chiede con gli occhi da cerbiatto.
— Mi compri le carte dei Pokemon?
Esito.
— Dai, dai, dai, dai, dai. Papà, ti prego, ti prego, ti prego!
— Va bene, andiamo a vedere queste carte dei Pokemon.
Arriviamo allo scaffale e trovo una bustina grande 12x7 cm, spessa forse mezzo centimetro con una capacità stimata di 5 o 6 carte plastificate.
— Va beh. Si può fare. Quanto vuoi che costino?
Guardo il prezzo e, in contemporanea, da dietro lo scaffale escono due cassiere e due impiegati del supermercato con il passamontagna calato sulla faccia e armati di pistole. Uno di loro mi urla puntandomi in faccia una calibro otto.
— Metti quella cazzo di bustina nel carrello e non fare storie se non vuoi che tuo figlio pianti un capriccio da paura e cominci a frignare come nei tuoi peggiori incubi!
Ci metto un attimo a riprendermi e a rendermi conto che non è una rapina a mano armata ma la realtà. Solo ora capisco il perché della custodia anti taccheggio. Nel dubbio appoggio la busta nel carrello. Sono bianco in volto.
— Che hai? Stai male?
Mia moglie si preoccupa. Farfuglio e balbetto qualcosa di incomprensibile. Devo ripeterlo due volte.
— Devo sentire la mia banca.
— La banca? Perché?
— Devo chiedere un mutuo.
Quando le mostro il prezzo mia moglie vacilla e ha bisogno di sedersi. Io intanto con le mani sudate passo la carta di credito nel lettore e pago.
A mio figlio brillano gli occhi. È felicissimo con le sue maledette carte Pokemon in mano. È un piacere vederlo così contento. È un prezzo alto da pagare ma ne vale la pena. Certo, abbiamo dovuto rinunciare al pane e al latte per le prossime settimane ma la vita è fatta anche di sacrifici.
 
[Scritta in sovrimpressione: “Qualche giorno dopo”]
 
Siamo in salotto. I bambini vogliono vedere i cartoni su Netflix. Scorrendo il catalogo sul mio cellulare con le loro ditina tanto carine quanto zozze di cioccolata scoprono anche lì la presenza invadente dei Pokemon. La bava scende dalla bocca, mi aggrediscono saltandomi addosso e in men che non si dica si trasformano in zombi davanti alla televisione.
Mi soffermo a guardare un episodio: una serie di storielle con le nostre beneamate bestioline come protagoniste, controllate da alcuni adolescenti baffuti che si sfidano a colpi di energia e mosse fantasiose ma alquanto ripetitive e che si concludono sempre con uno scialbo finale da “volemose bene”.
Dove sono finiti i cari e vecchi cartoni animati giapponesi degli anni ’80 con i quali sono cresciuto io? Dov’è l’agonismo senza pietà di Holly e Benji? Dove sono i litri di sangue versato da Kenshiro? Dove sono i colli spezzati dall’Uomo Tigre?
Altri tempi. Altre emozioni. Altri idoli.
Non proprio adatti a bambini di 5 e 3 anni… ma questo è un altro discorso.
 
Finito il cartone, mio figlio si avvicina con la sicurezza e la spavalderia di un gangster di un brutto quartiere della provincia americana. Gli manca solo la collana d’oro da 50 chili appesa al collo e la pistola dietro la schiena, incastrata tra la chiappa destra e quella sinistra.
— Ora ho troppe carte. Ho bisogno di un raccoglitore più grande!
Il suo tono di voce mi fa paura. Non riesco a contraddirlo. Controllo on-line il prezzo di quello che mi ha imposto di comprare.
Dopo l’acquisto del raccoglitore e, perché no, di altre 200 carte nuove (c’era lo sconto se compravo tutto nello stesso momento), ricevo una telefonata che mi lascia senza parole. Io e mia moglie ci guardiamo in faccia. La banca ci ha appena bloccato il conto. Ora le carte Pokemon dei miei figli valgono più delle nostre carte di credito.
 
[L’arpa suona di nuovo, le immagini ondeggiano ancora una volta e riacquistano colore]
 
Eccomi dunque di nuovo qui sulla strada a elemosinare un tozzo di pane e qualche spicciolo confidando sulla pietà dei passanti.
Ho mandato i miei figli a borseggiare i viaggiatori in metro, ma loro tornano invece con una pesante palla da basket che fanno rimbalzare. Dovrei arrabbiarmi ma sembrano così felici che mi si scioglie il cuore. Per fortuna la mania per le bestioline è finita e ora si divertono di nuovo con poco.
Non faccio in tempo a sorridere che il figlio più grande mi lancia il pallone in faccia. Prima di svenire lo sento urlare entusiasta.
— Guarda mamma, ho catturato un nuovo Pokemon!