Non sto molto bene. Mi sento giù di
morale. Non ho un motivo particolare. Non serve sempre averne uno.
Chiudo gli occhi per rifugiarmi in un luogo sicuro. Per riposare la mente. Solo per un momento. È un’illusione, lo so, ma meglio di niente.
Chiudo gli occhi e sono sulla spiaggia, in un giorno di sole. Sono steso supino sulla battigia secca. Fa caldo. Sento il sapore della salsedine sulle labbra, il vento tra i capelli, il sole che mi brucia la pelle. Ascolto i gabbiani garrire, bambini in lontananza che giocano, il mare agitato a pochi passi da me.
Inspiro profondamente. Le onde sono sempre più forti e ora l’acqua mi tocca i piedi. Sto ancora male, ma sono dove vorrei essere. Ora ho un po’ di conforto. Mi scappa un piccolo sorriso. Non dura molto.
Al lavoro è andato tutto male: i miei pazienti non migliorano. È colpa mia. I miei colleghi pensano che sia un incapace. Hanno ragione. Sono uno psicologo e non dovrei stare male. Sono un fallito.
Un’onda arriva più forte delle altre, mi raggiunge, mi sommerge per un paio di secondi. Sono bagnato da capo a piedi. Ma l’acqua fresca mi scuote. Intanto sento che un’altra onda si sta caricando alle mie spalle.
Manco da troppo tempo dall’Italia. La mia famiglia crede che sia scappato. Come darle torto. I miei vecchi amici mi hanno dimenticato. Non ho scuse per non farmi sentire.
Arriva l’ondata, mi travolge più della precedente e mi sposta di qualche metro. Sono ancora disteso. Ora a faccia in giù.
Sento i granelli di sabbia tra i denti, nel naso e nelle orecchie. Ma mi sento più vivo.
Il mare agitato non ha pietà e continua a montare rabbia.
Sono sempre stanco, a pezzi, affaticato. Sono vecchio. Non riesco più allenarmi come una volta. Sono pigro.
L’onda s’infrange prepotentemente sul mio corpo inerme e mi toglie il fiato sotto il livello dell’acqua. Mi giro e mi metto seduto. Mi scuoto.
Non faccio in tempo a pensare che già vedo l’acqua che si ritira sulla battigia, prende la rincorsa per una nuova scarica.
Non sono presente come marito. Penso solo a me stesso. I miei figli mi detestano e vogliono solo la mamma. Niente di strano visto che non sono un bravo papà.
L’ultima onda è fortissima. Mi fa rotolare più volte, mi scaraventa a destra e sinistra e alla fine mi rimette in piedi.
Sto bene. Sto meglio. Sono di nuovo in carreggiata.
Espiro. Riapro gli occhi. Non sono più sulla spiaggia. Sono in palestra. Nella sala di spinning dopo l’allenamento di oggi. Quarantacinque minuti di sforzi e sudore. La fatica mi ha liberato la mente dai pensieri negativi come una mareggiata di acqua fresca e rigenerante. Ha funzionato ancora.
È ora di andare a casa da mia moglie e bimbi, chiamare in Italia, mandare un messaggio a un amico, mangiare e riposare. Cammino verso l’uscita rinvigorito. Ho però solo un po’ di dolore alla gamba destra. È un granchio che mi ha morso sulla spiaggia? No, è un crampo al polpaccio. Che io sia invecchiato è un dato di fatto.
Chiudo gli occhi per rifugiarmi in un luogo sicuro. Per riposare la mente. Solo per un momento. È un’illusione, lo so, ma meglio di niente.
Chiudo gli occhi e sono sulla spiaggia, in un giorno di sole. Sono steso supino sulla battigia secca. Fa caldo. Sento il sapore della salsedine sulle labbra, il vento tra i capelli, il sole che mi brucia la pelle. Ascolto i gabbiani garrire, bambini in lontananza che giocano, il mare agitato a pochi passi da me.
Inspiro profondamente. Le onde sono sempre più forti e ora l’acqua mi tocca i piedi. Sto ancora male, ma sono dove vorrei essere. Ora ho un po’ di conforto. Mi scappa un piccolo sorriso. Non dura molto.
Al lavoro è andato tutto male: i miei pazienti non migliorano. È colpa mia. I miei colleghi pensano che sia un incapace. Hanno ragione. Sono uno psicologo e non dovrei stare male. Sono un fallito.
Un’onda arriva più forte delle altre, mi raggiunge, mi sommerge per un paio di secondi. Sono bagnato da capo a piedi. Ma l’acqua fresca mi scuote. Intanto sento che un’altra onda si sta caricando alle mie spalle.
Manco da troppo tempo dall’Italia. La mia famiglia crede che sia scappato. Come darle torto. I miei vecchi amici mi hanno dimenticato. Non ho scuse per non farmi sentire.
Arriva l’ondata, mi travolge più della precedente e mi sposta di qualche metro. Sono ancora disteso. Ora a faccia in giù.
Sento i granelli di sabbia tra i denti, nel naso e nelle orecchie. Ma mi sento più vivo.
Il mare agitato non ha pietà e continua a montare rabbia.
Sono sempre stanco, a pezzi, affaticato. Sono vecchio. Non riesco più allenarmi come una volta. Sono pigro.
L’onda s’infrange prepotentemente sul mio corpo inerme e mi toglie il fiato sotto il livello dell’acqua. Mi giro e mi metto seduto. Mi scuoto.
Non faccio in tempo a pensare che già vedo l’acqua che si ritira sulla battigia, prende la rincorsa per una nuova scarica.
Non sono presente come marito. Penso solo a me stesso. I miei figli mi detestano e vogliono solo la mamma. Niente di strano visto che non sono un bravo papà.
L’ultima onda è fortissima. Mi fa rotolare più volte, mi scaraventa a destra e sinistra e alla fine mi rimette in piedi.
Sto bene. Sto meglio. Sono di nuovo in carreggiata.
Espiro. Riapro gli occhi. Non sono più sulla spiaggia. Sono in palestra. Nella sala di spinning dopo l’allenamento di oggi. Quarantacinque minuti di sforzi e sudore. La fatica mi ha liberato la mente dai pensieri negativi come una mareggiata di acqua fresca e rigenerante. Ha funzionato ancora.
È ora di andare a casa da mia moglie e bimbi, chiamare in Italia, mandare un messaggio a un amico, mangiare e riposare. Cammino verso l’uscita rinvigorito. Ho però solo un po’ di dolore alla gamba destra. È un granchio che mi ha morso sulla spiaggia? No, è un crampo al polpaccio. Che io sia invecchiato è un dato di fatto.
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