— Papà, non voglio più parlare
italiano. voglio parlare solo svedese.
— Non esiste. L’italiano è meglio dello svedese.
Mio figlio di 6 anni butta fuori
tutte le lacrime che ha in corpo in una specie di dramma preadolescenziale.
Io invece piango dentro al suo rifiuto reiterato dell’italiano.
Parla italiano, piccolo mio. Parla
la lingua più bella del mondo. L’italiano è amato e insegnato in tutto il
mondo. È la lingua dell’amore, della passione e dell’arte.
Assorbi adesso questa lingua aulica perché quando sarai grande potrebbe essere troppo tardi. Impara adesso l’italiano e da adulto avrai una lingua in più gratis. Sarà semplice. Sarà naturale. Sarà per te un vantaggio nella vita e nel mondo del lavoro. Non come è stato per il tuo papà e la tua mamma che hanno dovuto imparare da zero una lingua straniera come lo svedese, sputando sangue e sudando le famigerate sette camicie.
Piccolo mio, pensa al Rinascimento, pensa all’impero romano, pensa a Dante, Petrarca e Boccaccio. Pensa a Berlusc… hm, no. Lascia stare, brutto esempio. Pensa a Manzoni e sii anche tu un promesso sposo di questa lingua meravigliosa dai mille dialetti e dalle altrettante sfumature.
Parla l’italiano a casa con mamma, papà e tuo fratello. Lo svedese lo puoi parlare a scuola e con gli amici. Lo imparerai anche se non vuoi, in automatico. Parla la lingua dei tuoi nonni.
Pensa, piccolo mio, quando noi in Italia predicavamo diritto e democrazia, qui in Svezia saccheggiavano villaggi e bruciavano i libri per scaldarsi.
Quando noi scrivevamo poesia e incoraggiavamo l’arte, qui si facevano le gare di rutti e s’incitava alla blasfemia.
Quando noi eravamo in pieno Rinascimento, qui brindavano con lo scalpo dei nemici.
Quando il nostro Galilei inventava il metodo scientifico, qui facevano affondare i galeoni caricati con troppi cannoni.
Pensa bene a tutto questo, figliolo mio, quando devi scegliere che lingua parlare.
Pensa a…
Mi blocco perché c’è qualcosa che
non va. Mio figlio cerca di asciugarsi le lacrime, si soffia il naso sulla mia
maglietta e con voce spezzata dalle lacrime mi dice:
— I miei compagni di scuola mi prendono in giro perché non parlo bene svedese!
Fermi tutti!
Ah, ma allora il problema non è l’italiano. Qui si tratta di mobbing, porco cane!
Nonostante sia uno psicologo non ci ho capito una mazza. Mi sento una cacca: per colpa del mio svedese di bassa qualità mio figlio viene deriso dai suoi amichetti. Io non posso insegnargli un buon svedese e lui subisce le angherie e l’emarginazione di quattro bulletti da scuola.
Inspiro profondamente e trattengo a stento la rabbia che ribolle dentro. Ora non è il momento di insegnare la violenza. Ora è il momento di dare una lezione di vita al mio piccolo guerriero.
Non devi abbassarti al loro livello,
piccolo mio. Devi ignorarli. Lasciali stare. Non meritano di stare con te. Gioca
con altri bambini. Fai vedere a quegli svedesi in miniatura che te ne freghi.
Vedrai che starai meglio senza di loro. Vedrai che troverai sempre qualcuno che ti apprezza per quello che sei. Non hai bisogno di sottometterti ai loro giochetti.
Tu sei superiore a loro.
Niente da fare. Mio figlio sta ancora piangendo.
Ho l’impressione che non ci sia niente che io possa dire per calmarlo. Mi sento inutile. Mi si spezza il cuore vederlo così triste.
Proprio in quel momento, però, quando penso di aver giocato tutte le mie carte, quando penso di aver esposto tutte le ragioni che potevo, capisco quello che devo fare.
Mi avvicino, lo abbraccio, lo bacio sulla fronte e con tutta la dolcezza che posso gli dico:
— Non esiste. L’italiano è meglio dello svedese.
Io invece piango dentro al suo rifiuto reiterato dell’italiano.
Assorbi adesso questa lingua aulica perché quando sarai grande potrebbe essere troppo tardi. Impara adesso l’italiano e da adulto avrai una lingua in più gratis. Sarà semplice. Sarà naturale. Sarà per te un vantaggio nella vita e nel mondo del lavoro. Non come è stato per il tuo papà e la tua mamma che hanno dovuto imparare da zero una lingua straniera come lo svedese, sputando sangue e sudando le famigerate sette camicie.
Piccolo mio, pensa al Rinascimento, pensa all’impero romano, pensa a Dante, Petrarca e Boccaccio. Pensa a Berlusc… hm, no. Lascia stare, brutto esempio. Pensa a Manzoni e sii anche tu un promesso sposo di questa lingua meravigliosa dai mille dialetti e dalle altrettante sfumature.
Parla l’italiano a casa con mamma, papà e tuo fratello. Lo svedese lo puoi parlare a scuola e con gli amici. Lo imparerai anche se non vuoi, in automatico. Parla la lingua dei tuoi nonni.
Pensa, piccolo mio, quando noi in Italia predicavamo diritto e democrazia, qui in Svezia saccheggiavano villaggi e bruciavano i libri per scaldarsi.
Quando noi scrivevamo poesia e incoraggiavamo l’arte, qui si facevano le gare di rutti e s’incitava alla blasfemia.
Quando noi eravamo in pieno Rinascimento, qui brindavano con lo scalpo dei nemici.
Quando il nostro Galilei inventava il metodo scientifico, qui facevano affondare i galeoni caricati con troppi cannoni.
Pensa bene a tutto questo, figliolo mio, quando devi scegliere che lingua parlare.
Pensa a…
— I miei compagni di scuola mi prendono in giro perché non parlo bene svedese!
Ah, ma allora il problema non è l’italiano. Qui si tratta di mobbing, porco cane!
Nonostante sia uno psicologo non ci ho capito una mazza. Mi sento una cacca: per colpa del mio svedese di bassa qualità mio figlio viene deriso dai suoi amichetti. Io non posso insegnargli un buon svedese e lui subisce le angherie e l’emarginazione di quattro bulletti da scuola.
Inspiro profondamente e trattengo a stento la rabbia che ribolle dentro. Ora non è il momento di insegnare la violenza. Ora è il momento di dare una lezione di vita al mio piccolo guerriero.
Vedrai che starai meglio senza di loro. Vedrai che troverai sempre qualcuno che ti apprezza per quello che sei. Non hai bisogno di sottometterti ai loro giochetti.
Tu sei superiore a loro.
Niente da fare. Mio figlio sta ancora piangendo.
Ho l’impressione che non ci sia niente che io possa dire per calmarlo. Mi sento inutile. Mi si spezza il cuore vederlo così triste.
Proprio in quel momento, però, quando penso di aver giocato tutte le mie carte, quando penso di aver esposto tutte le ragioni che potevo, capisco quello che devo fare.
Mi avvicino, lo abbraccio, lo bacio sulla fronte e con tutta la dolcezza che posso gli dico:
— Va bene. Domani ti insegno come prendere a calci quei piccoli stronzetti!
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