Sono appena sceso nel seminterrato
della cattedrale di Stoccolma. Sono da solo per gentile concessione del Vescovo
della città. Il silenzio è assordante.
Mi avvicino a passi cauti verso l’altare principale, prestando il dovuto rispetto che questo luogo richiede. Faccio il segno della croce, inspiro profondamente e procedo con un passo in avanti deciso.
Ora sono di fronte alla teca. È una pregiatissima custodia poggiata su un piedistallo che ne eleva il contenuto verso il cielo. La teca rotondeggiante è ricoperta d’oro con meravigliosi intarsi settecenteschi. Il vetro che protegge il contenuto è luccicante e perfettamente lucidato. In cima campeggia una croce anch’essa dorata con un rubino rosso incastonato al centro.
Per qualche secondo rimango a bocca aperta nell’osservare cotanta bellezza e armonia. Poi m’infilo dei guanti di seta, apro la teca con cautela e ne estraggo il contenuto trattenendo il fiato per l’emozione. Lì dentro c’è una reliquia. In quella teca incantevole c’è qualcosa di sacro: bordo alto, leggermente abbrustolito ma morbido, base cotta a puntino ma non cadente… e soprattutto, mmm, profumino inebriante. Questa, signore e signori, è la pizza perfetta.
L’ho fatta io!
Mi è costata fatica, pratica e tanta, ma tanta dedizione.
Perché mi sono fissato per raggiungere la perfezione per il mio piatto preferito quando potrei semplicemente andare in una delle tante ottime pizzerie italiane di Stoccolma? Perché devo pagare la bolletta rincarata dell’elettricità, ho appena comprato un volo estivo per l’Italia che mi è costato una fortuna e ho due figli piccoli da sfamare. Quindi, dopo quello quarantennale della casa, non posso permettermi un altro mutuo per pagare il conto delle suddette pizzerie italiane a Stoccolma. Sono costretto a fare da me.
Potrei andare nelle pizzerie svedesi?
No, grazie e vi spiego anche perché (lo so che è abbastanza ovvio ma mi piace puntualizzare).
Farina.
- Come faccio io, italiano all’estero.
Uso rigorosamente farina Caputo, acquistata di contrabbando dal grossista napoletano di fiducia nel quartiere più nascosto della città. Una polvere bianca che pago più della cocaina.
- Come fa uno svedese.
Usa farina qualsiasi: di grano duro, di grano saraceno, integrale… la prima che trova. Non gli importa una segale di quale sia la farina migliore.
Acqua.
- Come faccio io, italiano all’estero.
Mescolo l’impasto con acqua a temperatura di 13,5 gradi. Ci aggiungo un pizzico di sale.
- Coma fa uno svedese.
Mescola il tutto con vatten* (*che vuol dire acqua)… ops, ha dimenticato il sale!
Lievito.
- Come faccio io, italiano all’estero.
Lievito madre messo in coltura e mantenuto come se fosse mio figlio. Anzi, ogni tanto gli do in pasto un dito di mio figlio per farlo crescere (sia il lievito sia il figlio).
- Come fa uno svedese.
Bakpulver, ovvero lievito chimico che usa per qualsiasi altro dolcetto natalizio. Magari gli scappa anche un po’ di zafferano.
Impasto.
- Come faccio io, italiano all’estero.
Impasto a mano per 15-20 minuti, faccio riposare per 30 minuti, formo i panetti calcolati grazie al calcolatore online di quantità della pasta, faccio lievitare per 6-8 ore a temperatura ambiente. Infine stendo con passione e precisione l’impasto fino a ottenere un cerchio perfetto (controllo con il compasso per essere sicuro o in mancanza di esso, chiedo al mio amico Giotto).
- Come fa uno svedese.
Mette tutto insieme e mescola con la frusta elettrica finché l’impasto diventa un blocco di cemento armato pronto per costruire un rifugio antiatomico. Con il martello di Thor schiaccia l’impasto fino a ottenere una forma vagamente rotondeggiante.
Salsa.
- Come faccio io, italiano all’estero.
Coltivo piantine di pomodori San Marzano nel balcone di casa dove, con un complesso sistema di riscaldamento e aereazione, sono riuscito a ricreare il microclima del golfo di Napoli. Sfrutto i miei figli per raccogliere i pomodori. Poi li pelo (i pomodori, non i miei figli) e li schiaccio delicatamente con una forchetta. aggiungo un filo d’olio extra vergine d’oliva e un pizzico di sale.
- Come fa uno svedese.
Prende un barattolo nuovo di ketchup Heinz e lo spreme sull’impasto.
- Come fa un venusiano.
Mescola un Mars, un Milky Way e alcuni Pan di Stelle assieme alle Galatine tritate. Poi prende… hm, no, questo non c’entra niente. L’ho messo qui solo per vedere se stavate ancora seguendo la narrazione.
Mozzarella.
- Come faccio io, italiano all’estero.
Mozzarella di Bufala Campana dop* (*dop ovviamente sta per “dop aver lett quest raccont i napoletani m’accidon”) ordinata a Napoli e spedita in un pacco celere mantenuto a temperatura ambiente.
- Come fa uno svedese.
Un formaggio qualsiasi: dall’halloumi al cheddar bianco, passando per il Gouda e la plastica bruciata.
Condimenti.
- Come faccio io, italiano all’estero.
Vedi i due paragrafi precedenti… cioè niente. Solo pomodori e mozzarella e qualche foglia fresca di basilico. C’è bisogno d’altro per la pizza perfetta?
- Come fa uno svedese.
Aggiunge tutto, ma proprio tutto. Dagli ormai classicissimi “Pollo e curry”, “Hawaii” e “Alla banana” si passa con nonchalance alle avanzate “Pizza carbonara” (con panna e pancetta) e “Pizza al cappuccino” (si spiega da sola) che sono delle specie di meta-castronerie culinarie.
Forno.
- Come faccio io, italiano all’estero.
Forno in pietra incastonato in un angolo della cucina che si alimenta a legna ricavata dalle saune che ho smontato di nascosto nei vari angoli della città scandinava. La temperatura sale a 450 gradi, cuoce la pizza in meno di 4 minuti e fa risparmiare sulla bolletta del riscaldamento.
- Come fa uno svedese.
Scalda la pizza sul grill assieme ai wurstel e agli hamburger.
Consumazione.
- Come faccio io, italiano all’estero.
Servo la pizza sul piatto. La osservo in religioso silenzio per qualche minuto e piango dalla gioia prima di gustarmela fino all’ultima fetta.
- Come fa uno svedese.
Piega la pizza in quattro e la mangia take-away aggiungendoci un filo di senape in cima.
P.S.: Scusatemi italiani, vi ho
mentito! Non sono così integralista, soprattutto per ragioni pratiche. Al posto
della Caputo spesso sono costretto a usare una miscela di farina di grano tenero
e di Manitoba. Vivo in Svezia e i pomodori si congelano in terrazzo, quindi
compro la passata (però Mutti!) Al supermercato svedese compro una mozzarella
[(di “bufala”*)#]… che spesso metto sulla pizza in cottura (i bambini la
vogliono filante altrimenti non la mangiano). Però mi son comprato un
fornelletto Ariete per arrivare a 400 gradi.
P.P.S.: Scusatemi svedesi, ho abusato
di stereotipi e falsità! Anche gli svedesi possono fare una buona pizza se
istruiti adeguatamente ma, mi raccomando, non prendete mai iniziative
personali!
Mi avvicino a passi cauti verso l’altare principale, prestando il dovuto rispetto che questo luogo richiede. Faccio il segno della croce, inspiro profondamente e procedo con un passo in avanti deciso.
Ora sono di fronte alla teca. È una pregiatissima custodia poggiata su un piedistallo che ne eleva il contenuto verso il cielo. La teca rotondeggiante è ricoperta d’oro con meravigliosi intarsi settecenteschi. Il vetro che protegge il contenuto è luccicante e perfettamente lucidato. In cima campeggia una croce anch’essa dorata con un rubino rosso incastonato al centro.
Per qualche secondo rimango a bocca aperta nell’osservare cotanta bellezza e armonia. Poi m’infilo dei guanti di seta, apro la teca con cautela e ne estraggo il contenuto trattenendo il fiato per l’emozione. Lì dentro c’è una reliquia. In quella teca incantevole c’è qualcosa di sacro: bordo alto, leggermente abbrustolito ma morbido, base cotta a puntino ma non cadente… e soprattutto, mmm, profumino inebriante. Questa, signore e signori, è la pizza perfetta.
L’ho fatta io!
Mi è costata fatica, pratica e tanta, ma tanta dedizione.
Perché mi sono fissato per raggiungere la perfezione per il mio piatto preferito quando potrei semplicemente andare in una delle tante ottime pizzerie italiane di Stoccolma? Perché devo pagare la bolletta rincarata dell’elettricità, ho appena comprato un volo estivo per l’Italia che mi è costato una fortuna e ho due figli piccoli da sfamare. Quindi, dopo quello quarantennale della casa, non posso permettermi un altro mutuo per pagare il conto delle suddette pizzerie italiane a Stoccolma. Sono costretto a fare da me.
Potrei andare nelle pizzerie svedesi?
No, grazie e vi spiego anche perché (lo so che è abbastanza ovvio ma mi piace puntualizzare).
- Come faccio io, italiano all’estero.
Uso rigorosamente farina Caputo, acquistata di contrabbando dal grossista napoletano di fiducia nel quartiere più nascosto della città. Una polvere bianca che pago più della cocaina.
- Come fa uno svedese.
Usa farina qualsiasi: di grano duro, di grano saraceno, integrale… la prima che trova. Non gli importa una segale di quale sia la farina migliore.
- Come faccio io, italiano all’estero.
Mescolo l’impasto con acqua a temperatura di 13,5 gradi. Ci aggiungo un pizzico di sale.
- Coma fa uno svedese.
Mescola il tutto con vatten* (*che vuol dire acqua)… ops, ha dimenticato il sale!
- Come faccio io, italiano all’estero.
Lievito madre messo in coltura e mantenuto come se fosse mio figlio. Anzi, ogni tanto gli do in pasto un dito di mio figlio per farlo crescere (sia il lievito sia il figlio).
- Come fa uno svedese.
Bakpulver, ovvero lievito chimico che usa per qualsiasi altro dolcetto natalizio. Magari gli scappa anche un po’ di zafferano.
- Come faccio io, italiano all’estero.
Impasto a mano per 15-20 minuti, faccio riposare per 30 minuti, formo i panetti calcolati grazie al calcolatore online di quantità della pasta, faccio lievitare per 6-8 ore a temperatura ambiente. Infine stendo con passione e precisione l’impasto fino a ottenere un cerchio perfetto (controllo con il compasso per essere sicuro o in mancanza di esso, chiedo al mio amico Giotto).
- Come fa uno svedese.
Mette tutto insieme e mescola con la frusta elettrica finché l’impasto diventa un blocco di cemento armato pronto per costruire un rifugio antiatomico. Con il martello di Thor schiaccia l’impasto fino a ottenere una forma vagamente rotondeggiante.
- Come faccio io, italiano all’estero.
Coltivo piantine di pomodori San Marzano nel balcone di casa dove, con un complesso sistema di riscaldamento e aereazione, sono riuscito a ricreare il microclima del golfo di Napoli. Sfrutto i miei figli per raccogliere i pomodori. Poi li pelo (i pomodori, non i miei figli) e li schiaccio delicatamente con una forchetta. aggiungo un filo d’olio extra vergine d’oliva e un pizzico di sale.
- Come fa uno svedese.
Prende un barattolo nuovo di ketchup Heinz e lo spreme sull’impasto.
- Come fa un venusiano.
Mescola un Mars, un Milky Way e alcuni Pan di Stelle assieme alle Galatine tritate. Poi prende… hm, no, questo non c’entra niente. L’ho messo qui solo per vedere se stavate ancora seguendo la narrazione.
- Come faccio io, italiano all’estero.
Mozzarella di Bufala Campana dop* (*dop ovviamente sta per “dop aver lett quest raccont i napoletani m’accidon”) ordinata a Napoli e spedita in un pacco celere mantenuto a temperatura ambiente.
- Come fa uno svedese.
Un formaggio qualsiasi: dall’halloumi al cheddar bianco, passando per il Gouda e la plastica bruciata.
- Come faccio io, italiano all’estero.
Vedi i due paragrafi precedenti… cioè niente. Solo pomodori e mozzarella e qualche foglia fresca di basilico. C’è bisogno d’altro per la pizza perfetta?
- Come fa uno svedese.
Aggiunge tutto, ma proprio tutto. Dagli ormai classicissimi “Pollo e curry”, “Hawaii” e “Alla banana” si passa con nonchalance alle avanzate “Pizza carbonara” (con panna e pancetta) e “Pizza al cappuccino” (si spiega da sola) che sono delle specie di meta-castronerie culinarie.
- Come faccio io, italiano all’estero.
Forno in pietra incastonato in un angolo della cucina che si alimenta a legna ricavata dalle saune che ho smontato di nascosto nei vari angoli della città scandinava. La temperatura sale a 450 gradi, cuoce la pizza in meno di 4 minuti e fa risparmiare sulla bolletta del riscaldamento.
- Come fa uno svedese.
Scalda la pizza sul grill assieme ai wurstel e agli hamburger.
- Come faccio io, italiano all’estero.
Servo la pizza sul piatto. La osservo in religioso silenzio per qualche minuto e piango dalla gioia prima di gustarmela fino all’ultima fetta.
- Come fa uno svedese.
Piega la pizza in quattro e la mangia take-away aggiungendoci un filo di senape in cima.
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