giovedì 27 gennaio 2022

RACCONTI – Sensei

Il mio nuovo appartamento è completamente vuoto. Tra qualche settimana io e la mia famiglia ci trasferiremo. Prima di farlo mi aspettano delle prove importanti che saranno una sfida per la mia tenuta mentale e fisica. Nella semioscurità del salotto, alla sola luce di una fievole lampadina inspiro profondamente e seguo i consigli del mio grande maestro Miyagi.
 — Dai stucco, togli tassello, dai stucco, togli tassello, dai stucco…
— Per quanto tempo dovrò andare avanti in questo modo, maestro?
— Togli tassello, dai stucco, togli tassello…
— Quanto tempo, maestro?
Mi fermo. Ricevo subito uno scappellotto nella zona parietale e Mr Miyagi se ne va lasciandomi solo.
Ho capito. Devo continuare.
Mi metto d’impegno e finisco in poco tempo tutto il soggiorno.
Il grande maestro sghignazza sotto i baffi e mentre si allontana mi deride.
— Questa solo prima stanza, ragazzo.
Ora mi aspettano altre quattro camere. Maledetto il giorno che abbiamo deciso di comprare una casa più grande. Mi rimbocco le maniche e mi butto a capofitto sui tasselli e chiodi lasciati dai vecchi proprietari che vanno rimossi. Spremo fino all’ultima goccia lo stucco dal tubetto come se fosse il dentifricio. Dopo qualche ora sono stanco ma ho finito. Ho visto cose orribili: tasselli sotterrati da anni con stucco rinsecchito come fossero cadaveri impossibili da riesumare, ho riempito più buchi di quanto abbia fatto Rocco Siffredi in tutta la sua carriera e ho avuto più chiodi per le mani io che un paninaro negli anni ‘80. Però ho portato a termine il mio compito.
Con orgoglio mi presento dal grande sensei che ha appena preso una mosca con un paio di bacchette. No, aspetta un attimo. C’è qualcosa che non va.
— Sono pennelli quelli che ha in mano, maestro? Perché?
— Capirai.
Rimango perplesso e lo guardo inebetito.
— Hm… che faccio ora?
— Forse capirai…
— Allora?
Alza la mano per darmi un altro ceffone. Questo lo capisco. Devo andarmene. Vado a sistemare i cavi elettrici e dell’antenna diramati per tutta la casa. Qual è la distanza tra la Terra e la Luna? Circa 384 mila chilometri. Ho la netta sensazione che sia la stessa distanza che otterrei se mettessi tutti questi fili uno dietro l’altro o se calcolassi la lunghezza delle bestemmie che sto pronunciando.
Dopo aver raccolto e arrotolato tutti i cavi come un bravo marinaio del Titanic, torno dal maestro che si sta preparando il tè.
— Anche pietra fredda, se siedi sopra tre anni, diventa tiepida.
— Mi scusi maestro, chiedo con grande umiltà, ma che vuol dire?
— Torna quando sarai più pronto, ragazzo con poca saggezza.
Non dice più niente e sorseggia la sua bevanda, scottandosi le labbra.
Credo sia il momento di andare a imbiancare le pareti di casa. Mi armo di vestiti bianchi, rulli e pennelli. Ci prendo subito gusto ma dopo aver dato una mano al muro mi sono stancato così tanto che ora è il muro a dover dare una mano a me. Mi dipingo più volte la faccia, lascio impronte bianche su tutto il parquet appena levigato, mi sento più volte un pittore del movimento spazialista con tela bianca su sfondo bianco e ho paura di non farcela. Dopo un paio di giorni, però, con parsimonia e pazienza, concludo anche questa prova.
— Ho imbiancato, maestro!
— Torna quando sarai più pronto.
Lo dice sputacchiando cibo mentre mangia una polpetta di riso. Chiedo spiegazioni ma a gesti mi dice che non si parla con la bocca piena. Allora vado a dipingere anche le piastrelle della cucina. Erano di un colore orribile e sono rovinate in molti punti. Dopo un lavoro di fino, più impegnativo del previsto, ho reinventato la cucina: ora le piastrelle sono di un colore grigio topo e sono rovinate negli stessi punti di prima.
Non ce la faccio più. Sono a pezzi. Le braccia mi fanno male. Il sensei Miyagi sta meditando nella posizione della gru. Vorrei la sua guida nel mio percorso spirituale, ma lui mi guarda di sbieco per un nano secondo e io lo anticipo.
— Torno quando sarò più pronto.
Inscatolo e impacchetto le mie cose nel vecchio appartamento. Mi soffermo ad affrontare i ricordi legati a ogni biglietto d’auguri, appunto di viaggio e soprammobile che ho conservato in casa. Sorrido nel constatare la differenza tra i libri di narrativa in svedese, tutti della stessa dimensione e altezza, che si incastrano alla perfezione negli scatoloni, e quelli in italiano che invece hanno quasi tutti altezze e forme diverse a comporre un quadro cubista nella scatola del trasloco. Le differenze culturali e la conformità societaria svedese si riflette anche in questi piccoli dettagli.
Anche questo test richiede lunghe giornate per essere portato a termine: ho conservato molti oggetti (troppi) e molti libri (sempre troppo pochi). Gli scatoloni sono però pronti e tutti belli impilati in ogni angolo sfruttabile del vecchio appartamento. Il grande maestro mi vede nostalgico e scuote la testa mentre accende un incenso.
— Torna quando sarai più pronto.
Ma cosa devo fare ancora? Non finirà mai questa agonia!
Non mi resta che sistemare i due armadi della camera matrimoniale. Due torri gemelle di tolkiana memoria. Due giganti dal cuore di pietra che non si spostano neanche seguendo le regole della tettonica a placche. Con mille colpetti da un lato e altrettanti dall’altro e l’aiuto di una coperta alla fine riesco a spostare l’armadio nella posizione desiderata evitando sapientemente graffi sul parquet ed eventuali insulti garantiti da parte di mia moglie.
Ora non c’è davvero più nessuna prova da affrontare. Nessuna sfida da vincere. Sono soddisfatto. Mi sento bene. Sono in pace con me stesso. Mi avvicino al cospetto del grande maestro con orgoglio, temprato fisicamente e fortificato mentalmente. Mai stato meglio in vita mia. Ripeto tra me e me con convinzione.
Il saggio sensei osserva le mie mani callose, il mio viso sfigurato e le mie ascelle pezzate. Annuisce e si mette il dito nel naso.
— Quello che cerchi sempre stato dentro te. Ora tu essere pronto per atto finale.
— Davvero. Dice sul serio?
Non posso credere alle sue parole e scoppio in un pianto di gioia e commozione.
— E qual è questa grande prova finale, oh sensei Miyagi?
— Trasloco di casa!
— Oh grazie, grande maestro!
M’inginocchio per la gratitudine e per la sofferenza.
— Grazie sensei. Per me è un onore essere degno di questo ultimo nobile incarico. Aspettavo queste sue parole da moltissimo tempo. Sono fiero di essere finalmente pronto. Le prometto che porterò a termine questo compito con tutte le mie…
— Oh amore! Ma con chi stai parlando?
È mia moglie che interrompe il momento mistico.
— È da quattro settimane che ti sento borbottare da solo… guarda che sono sempre stata qui vicino a te. Ti ho visto, sai. Questo trasloco ti sta dando la testa. Non è che c’era qualcosa di strano nello stucco?
Un attimo prima che lei chiami il reparto di psichiatria per un trattamento sanitario obbligatorio e m’infili in bocca un potente calmante riesco a urlare con voce strozzata.
— Sensei, perdonala per la sua ignoranza!

venerdì 21 gennaio 2022

PROMOZIONE – Mi pubblicano… a puntate (4)

"Il lavoratore", giornale della Federazione delle Associazioni Italiane in Svezia (FAIS) e degli italiani in Svezia, ha da poco compiuto 50 anni (portati bene, eh). Per l’occasione si è rinnovato e ha fatto lo storico passaggio dal formato cartaceo a quello on-line.
La nostra collaborazione però continua con la pubblicazione di alcuni racconti presi dal mio Blog da Strapazzo (https://blogdastrapazzo.blogspot.com/). Non posso che esserne grato e onorato.

Ecco il mio racconto “La guerra”: https://illavoratore.org/i-racconti-di-roberto-riva-la-guerra/
 
Sì, lo so, questo pezzo potrebbe tranquillamente stare nella rubrica “Kissenefrega”… prendetelo come una sottocategoria letteraria!

venerdì 14 gennaio 2022

RACCONTO – Il gran ritorno

Sono accerchiato da nemici. Mi guardano minacciosi. Mi sento braccato. Mi sento al centro del mirino delle loro armi. Non fucili o pistole, ma virus e batteri. Mi sento come John Rambo nella giungla. Infatti le mie espressioni facciali esasperate dopo pochi minuti di sforzo fisico sono uguali a quelle di Sylvester Stallone. I muscoli purtroppo no. Non sono neanche nella giungla. Sono in palestra. Dopo più di un anno e mezzo di esilio forzato. Ci sto riprovando per tentare di tornare alla normalità. Il risultato è stato disarmante… per il mio stato di forma fisica.
Eppure in tutti questi mesi di pandemia mi ero allenato da solo, in casa. Ci avevo provato in molti modi: seguendo video su YouTube, con allenamenti specifici trovati su internet, chiedendo consigli a colleghi fisioterapisti, allenandomi con amici a distanza via videoconferenze. Credevo che i miei tentativi fossero andati a buon fine e che mi avessero tenuto in forma per il momento del gran ritorno in palestra. Pensavo di essere al sicuro. Invece mi basta mezz’ora di vere flessioni e piegamenti in questa lezione di gruppo con l’istruttrice da far sembrare l’allenamento fatto in casa nell’ultimo anno e mezzo come il film d’animazione “Le esercitazioni di Pippo” del 1949. La goffaggine è esattamente la stessa. Yuk!
In effetti puntare tutto sulla mia forza di volontà e propensione alla sofferenza fisica non è stata una delle migliori idee, nonostante abbia autolesionisticamente deciso di studiare psicologia nella vita professionale e dedicarmi alla scrittura nel tempo libero. Ora che riguardo indietro nell’ultimo anno mi rendo conto che ogni scusa era buona per non iniziare (troppo tardi, troppo poco tempo), per accorciare (questo esercizio non mi piace, devo andare a prendere i bambini a scuola) o per diminuire l’intensità degli esercizi (oggi sono stanco, ho già fatto un bel pezzo in bici). A parziale scusante non è sempre facile allenarsi quando i bambini minacciano la tua incolumità lasciando pezzi di lego sul pavimento, facendo corsa ad ostacoli su di me quando mi metto in posizione di plank oppure occupando tutto il salotto con la pista del treno.
Nel frattempo, in palestra, questi pensieri mi fanno andare fuori ritmo e sono completamente scoordinato rispetto agli altri. Niente di strano. Anche questo è un ritorno al passato. Sto sudando come Ted Striker alla guida dell’aereo più pazzo del mondo. Sto colando sudore dalle ascelle come una grondaia di Bombay durante i monsoni. Prima che qualcuno se ne accorga, mi passo un asciugamano sulla nuca e bevo dalla borraccia per recuperare liquidi. Mi asciugo giusto in tempo. Una gnocca svedese dal fisico mozzafiato in terza fila sembra stia guardando verso di me così mi metto nella posizione del coglione: pancia in dentro e petto in fuori. Una sorta di reazione testosteronica istintiva. La ragazza sorride. Allora fare il gradasso funziona. Quanto mi mancava andare in palestra. La ragazza sorride ancora e a gesti mi chiede se ci vediamo dopo. A me? Non posso, sono un uomo sposato… ma davvero a me? Non ci credo. E infatti non ci devo credere perché stava parlando con un’amica dall’altra parte della palestra. Ovvio. Per lo meno ora posso “rilassarmi” e tornare a una posizione più normale. Allento però un po’ troppo la tensione e per poco non mi scappa una scoreggina innocente come se fossi ancora nel salotto di casa mia. Mi trattengo all’ultimo e torno alla mia sofferenza e rimpianti per non essermi allenato di più a casa. Avrei potuto correre nei boschi. Avrei potuto andare nelle palestre all’aperto. Invece mi sono fidato dell’allenamento fai da te in casa. È stato come cercare di rinnovare casa seguendo i consigli di Giovanni Muciaccia su Art Attack.
Tutti queste seghe mentali, però, hanno il merito di avermi distratto e la sessione in palestra è finita. Tutti battono le mani all’insegnante, ma per un istante a me dà l’impressione che l’applauso sia tutto per me, perché sono riuscito ad arrivare vivo alla fine della lezione. È una liberazione. Per il momento… perché domani pagherò le conseguenze di questa mia spavalderia e mi sentirò come Pietro Gambadilegno. Sia per le gambe irrigidite dall’acido lattico sia per la panza che non sarà calata di un centimetro.
Mi devo sedere per prendere fiato. Assieme a molti altri uso la hall d’ingresso della palestra come un nuovo spogliatoio unisex. Lo facciamo per evitare la doccia ed entrare in contatto con gli altri in questo periodo pandemico. Non lavandoci e lasciando lavorare liberamente gli effluvi ascellari aumentiamo anche il distanziamento dagli altri quando saremo in metro. Due piccioni con una fava.
Inebriato dagli odori che si spargono per il locale, mi rendo conto che sto a pezzi e da dio nello stesso momento. Allora i miei colleghi fisioterapisti avevano ragione sull’esercizio fisico! Le gambe sfrigolano come il burro che si scioglie in pentola. Il profumino non è proprio lo stesso ma l’effetto benefico sì. Le endorfine fanno effetto come il cavallo di Troia per i greci: superata la soglia della sofferenza grazie a questa sensazione di benessere so che tornerò ad allenarmi con questa intensità e a quel punto sarò incastrato e non potrò più fare a meno dell’esercizio fisico. Mi ripeto come un mantra che dalla prossima volta sarà più semplice e che tutto sarà in discesa. Ma aspetta un attimo… cosa stanno dicendo al telegiornale? Grande aumento di nuovi casi di Covid-19, previsto picco a Stoccolma nelle prossime settimane e nuove restrizioni che limitano l’accesso alle palestre.
Hm… mi sa tanto che dovrò tornare ad allenarmi a casa. Da solo? No, con Pippo. Yuk!

venerdì 7 gennaio 2022

PISSICOLOGIA – I pensieri

«Allora, Carlo Gustavo, hai capito quello che ti ho detto ieri su come affrontare i brutti pensieri?»
«Sì, sì… sto già meglio.»
«E…?»
«E grazie. Sì, grazie mille, Sigismondo!»
«Va bene, di niente. Ma no, dico. E… come hai risolto coi pensieri?»
«Eh, ho fatto proprio come mi hai consigliato tu: mi sono seduto al tavolo della cucina, non troppo vicino all’ora di andare a dormire per non disturbare il sonno, proprio come mi hai detto tu, e con calma ho scritto giù tutti i miei pensieri» Sigismondo annuisce compiaciuto (è sempre bello vedere che gli amici seguono i tuoi consigli). «Li ho scritti su Facebook, Twitter, Instagram… ho aperto un account apposta per questo e ci ho schiaffato la foto dei miei pensieri scritti su carta! E persino su Myspace. Pensa che mi ricordavo ancora la password: “CarloGustavoRulez_1875”» lui ridacchia ma Sigismondo è allibito. «Infine ho pure fatto un video-soliloquio nel quale ho riassunto tutti i miei pensieri e l’ho caricato su YouTube. Ho fatto una versione più breve e più cool di sessanta secondi da mettere su TikTok per i più gggiovani.»
Sigismondo è senza parole.
«Perché mi guardi così, Sigismondo? Ho fatto proprio come mi hai detto. Ho scritto tutto: pensieri profondi sul mondo e su me stesso, pensieri pesanti sulla vita, riflessioni intelligenti, ma anche stupidaggini, frasi non-sense, i miei fatti personali e pure i fatti degli altri, le miei opinioni sul capo… quel grandissimo stronzo! E sui miei colleghi… quei maledetti leccaculo! Tutto. Ho scritto tutto quello che mi passava per la testa… ah, pure di quel tuo problemino di erezione che mi hai confidato l’atro giorno. Scusa sai ma ho pensato fosse giusto non pormi limiti.» Sigismondo sgrana gli occhi incredulo. «Come mi hai detto tu, mi avrebbe fatto bene… e infatti mi sento libero. Sto alla grande. Grazie amico!»
Carlo Gustavo abbraccia Sigismondo, il quale resta rigido e non ricambia l’affetto.
«Aspetta un attimo…» Sigismondo comincia a capire. «Tu hai fatto una diffusione del pensiero! Hai diffuso i tuoi pensieri potenzialmente a tutto il mondo!»
Carlo Gustavo annuisce entusiasta e gongola: «Dovresti vedere il numero di like che mi ritrovo ora!»
«Io non ti ho detto di applicare la diffusione del pensiero ma la defusione del pensiero! Imbecille» Carlo Gustavo guarda sbalordito l’amico. «Quando si hanno pensieri negativi che creano delle credenze distorte su noi stessi e il mondo circostante, corriamo il rischio di credere troppo che i nostri pensieri corrispondano in tutto e per tutto alla realtà e che siano la verità sul mondo che conosciamo. Questo ci porta a problemi e siamo in balia della paura e della depressione. In questo caso incappiamo nella fusione del pensiero. In contrapposizione a questo, per cercare di essere liberi dai nostri pensieri, si può provare ad applicare la defusione del pensiero. Cioè limitarsi a notare i propri pensieri e vederli per quello che sono: solo pensieri e non necessariamente la realtà o la verità, ma solo un’interpretazione del mondo.»
Ora è Carlo Gustavo senza parole.
«Hm… credo di averti leggermente frainteso.»
«Per questo ti ho consigliato di scrivere i tuoi pensieri… su carta e penna. E poi provare a leggere i pensieri negativi. In silenzio tra sé e sé! Trattando i pensieri come tali: per esempio, invece di leggere “Sono un fallito!”, provare a leggere “Questo è un mio pensiero che dice che sono un fallito”. E così per tutti i pensieri. Un po’ alla volta si può provare senza scriverli ma fare lo stesso processo solo mentalmente. Questo ti aiuta a staccarti dai pensieri negativi, a non crederci più così tanto e a essere libero da questi schemi mentali che tu stesso hai creato.»
All’improvviso squilla un cellulare. È quello di Carlo Gustavo.
«Oh… è il mio capo. Vorrà sicuramente complimentarsi per gli ottimi risultati che ho ottenuto nell’ultimo mese di lavoro.»
«Quando hai scritto le tue opinioni su Facebook?»
«Bah, un’oretta fa. Scusami, Sigismondo, ma ora devo proprio rispondere…» Cambia tono diventando eccessivamente entusiasta mentre si allontana. «Dottor Fumagalli! Come sta? Come dice? Ho scritto cosa?»
«Mi sa che per Carlo Gustavo è in arrivo una bomba: una bella fissione nucleare del pensiero.»