Sono al parco in una bella giornata
di sole a Stoccolma.
Saluto un amico augurandogli buon fine settimana in svedese.
Un paio di secondi dopo un bambino di cinque anni che stava giocando con le biglie si avvicina e con vocina candida ma decisa mi fa in un italiano un po’ stentato.
— Sbaliato!
Io sono sorpreso, gli sorrido e chiedo chiarimenti.
— Cosa ho sbagliato?
E lui mi corregge la mia pronuncia svedese della frase precedente.
— Hai ragione. Ho sbagliato.
Ha ragione. Ho usato i termini giusti ma non ho pronunciato in modo del tutto corretto le parole “fine settimana”. Non è facile e io mi sbaglio sempre. Il bambino torna a giocare con la sabbia lì vicino a me. Io guardo il cielo azzurro di giugno e mi godo il meritato tepore dopo un lungo inverno faticoso, tra neve e freddo a meno dieci gradi per molti mesi. Chiudo gli occhi e mi immagino su una spiaggia deserta con l’acqua del mare che mi lambisce i piedi. Solo il garrito dei gabbiani e il fruscio delle onde che sbattono sulla battigia fanno da sfondo. Qualcosa mi punzecchia sul fianco. Sarà un granchietto sulla spiaggia della mia immaginazione o una conchiglia sulla quale mi sono inavvertitamente seduto?
No. È il bambino di prima che mi risveglia dal sogno idilliaco con un bastoncino. Mi guarda fisso negli occhi e mi dice con un tono beffardo.
— Tu no parli svedesse benne!
Lo dice uno che non parla italiano! Penso io. Ma mi mordo la lingua. Magari tu, bambinetto, non sai che io parlo italiano, svedese (al contrario di quello che pensi tu), inglese… e anche un po’ di spagnolo, francese e tedesco (gli ultimi tre in nessun ordine particolare). Certo non parlo svedese perfettamente come lo parlerai tu da grande o come probabilmente lo parli già ora, ma lo parlo abbastanza da poter lavorare e vivere in questo paese senza grossi problemi. Mi è costato tanto: corsi serali, ore di studio, frustrazione, incomprensioni e molte situazioni dove sono passato per stupido solo perché non sapevo dire una semplice parola. Tu invece, piccolo gnomo sbarbato, ti ritrovi con lo svedese bello e servito fin dal primo giorno di vita e di sicuro non parlerai mai l’italiano bene come lo parlo io. E scusa se l’italiano è parlato come prima lingua da più di sessata milioni di persone in Italia e in Svizzera ed è una delle lingue più amate al mondo per la sua sonorità e sinuosità. Lo svedese chi lo parla invece? Tu e sì e no altri dieci milioni di persone in Svezia e in alcune parti della Finlandia. Basta. Bella roba. Scusa quindi se l’italiano è solo un pochettino, giusto un poco, più importante dello svedese, piccolo nanetto malefico.
Vorrei dirgli tutto questo in una sfuriata colossale che mi metterebbe allo stesso suo livello emotivo e in imbarazzo davanti a tutto il parco, ma mi limito a un sorriso a denti stretti e ad alzare le spalle.
Cerco di tornare alla mia spiaggia immaginaria con il profumo di salsedine e di crema solare. Cerco di ricreare quell’atmosfera mentale di pace e serenità che solo il calore del sole sulla pelle può dare… ma non ce la faccio. Le parole del bambino che sta giocando sulla sabbia mi hanno innervosito. Non riesco più a concentrarmi come prima e penso a come rispondere per le rime a quel puffo puzzone. Riapro gli occhi, inspiro profondamente e poi, con calma, molta calma, mi giro verso il bambino.
— Senti… è vero che io non parlo alla perfezione lo svedese, però c’è da dire che io non sono nato qui e quindi…
— Cacca! Tu cacca!
Il bambino m’interrompe con questa offesa puerile e mi pesta un piede di proposito. Poi se la ride a crepapelle neanche avesse appena visto un video con tutte le migliori battute di Renato Pozzetto una dietro l’altra. La sua risata (seppure contagiosa come tutte quelle dei bambini, devo essere sincero) in quel momento mi sta facendo andare fuori di testa. Oh, come mi fa incazzare! Come mi fa incazzare! Vorrei tirargli uno scappellotto da altri tempi e insegnargli come si educavano una volta i bambini (almeno così mi diceva mia nonna…), ma penso che a) sia moralmente sbagliato, b) non serva a molto e c) in Svezia mi costerebbe la galera con chiave buttata nei Social Media. Quindi desisto e mi tengo sullo stomaco l’acidità. È quel tipo di fastidio frustrato che ti tieni dentro e ti fa star male. Come quando una persona cara, alla quale vuoi veramente bene, elogia Berlusconi oppure addirittura Salvini. Come quando hai appena conosciuto una ragazza attraente, intelligente, simpatica, intrigante, perfetta per te (e per chiunque altro a dire il vero) e che pure ci sta, ma hai scoperto che tifa per la Juventus. Ingoi il rospo con un filo di olio di ricino, giusto per la pace comune e per non sollevare conflitti inutili e deleteri.
— Cacca e scoreggia!
Replica lo scarafaggio. Poi mi tira la sabbia addosso.
Dovrei girarmi dall’altra parte e ignorare quel Hobbit mangia pane elfico a tradimento che sta ancora ridendo della sua super battuta sulla cacca mentre scava un buco nella sabbia. Invece d’istinto mi alzo in preda al nervosismo e al prurito alle mani. Sto per esplodere e dirgliene quattro davanti a tutti. Ora mi sente. Non mi frega niente di cosa diranno gli altri, ma almeno gli darò una lezione importante che si ricorderà per tutta la vita.
Da lontano, però, mia moglie, che sta giocando con mio figlio di tre anni, mi vede irritato e si avvicina a controllare la situazione.
— Ti ha detto che non parli bene svedese, vero?
Io annuisco. Lei sorride.
— Lo dice sempre anche a me.
Poi prende da parte il bambino esagitato di cinque anni e gli bisbiglia qualcosa all’orecchio che io non riesco a sentire. Lo gira verso di me tenendolo per le spalle e con una leggera pacca sulla schiena gli ordina gentilmente (come solo una mamma con la forza del dito indice puntato sa fare).
— Ora chiedi scusa al papà!
Mio figlio annuisce e viene subito ad abbracciarmi.
— Scusa papà!
Rimango spaesato da tanta dolcezza improvvisa. In un attimo la rabbia e l’irritazione svaniscono. Mi abbasso sulle ginocchia all’altezza di mio figlio e gli do un bacio sulla guancia. Non si può resistere a tanto affetto. Alla fine, i bambini ne fanno e ne dicono tante, ma lo fanno con innocenza e buon cuore. Non sono cattivi. Vogliono solo ridere e stare sereni. Che senso ha arrabbiarsi per queste cose. Bisogna lasciar correre. Specialmente quando poi arrivano delle scuse tanto sincere quanto cariche di tenerezza come questa di mio figlio. Così stringo forte a me quel piccolo furetto con gli occhi da cerbiatto e gli dico con tono sereno ma deciso.
— Non ti preoccupare, cucciolo. Ma non dire più così a mamma e papà, va bene?
— Sì… ora mi dai ciocolata? Mamma ha detto che mi davi ciocolata se dicevo scusa.
Ah, ecco dov’era la dolcezza.
Saluto un amico augurandogli buon fine settimana in svedese.
Un paio di secondi dopo un bambino di cinque anni che stava giocando con le biglie si avvicina e con vocina candida ma decisa mi fa in un italiano un po’ stentato.
— Sbaliato!
Io sono sorpreso, gli sorrido e chiedo chiarimenti.
— Cosa ho sbagliato?
E lui mi corregge la mia pronuncia svedese della frase precedente.
— Hai ragione. Ho sbagliato.
Ha ragione. Ho usato i termini giusti ma non ho pronunciato in modo del tutto corretto le parole “fine settimana”. Non è facile e io mi sbaglio sempre. Il bambino torna a giocare con la sabbia lì vicino a me. Io guardo il cielo azzurro di giugno e mi godo il meritato tepore dopo un lungo inverno faticoso, tra neve e freddo a meno dieci gradi per molti mesi. Chiudo gli occhi e mi immagino su una spiaggia deserta con l’acqua del mare che mi lambisce i piedi. Solo il garrito dei gabbiani e il fruscio delle onde che sbattono sulla battigia fanno da sfondo. Qualcosa mi punzecchia sul fianco. Sarà un granchietto sulla spiaggia della mia immaginazione o una conchiglia sulla quale mi sono inavvertitamente seduto?
No. È il bambino di prima che mi risveglia dal sogno idilliaco con un bastoncino. Mi guarda fisso negli occhi e mi dice con un tono beffardo.
— Tu no parli svedesse benne!
Lo dice uno che non parla italiano! Penso io. Ma mi mordo la lingua. Magari tu, bambinetto, non sai che io parlo italiano, svedese (al contrario di quello che pensi tu), inglese… e anche un po’ di spagnolo, francese e tedesco (gli ultimi tre in nessun ordine particolare). Certo non parlo svedese perfettamente come lo parlerai tu da grande o come probabilmente lo parli già ora, ma lo parlo abbastanza da poter lavorare e vivere in questo paese senza grossi problemi. Mi è costato tanto: corsi serali, ore di studio, frustrazione, incomprensioni e molte situazioni dove sono passato per stupido solo perché non sapevo dire una semplice parola. Tu invece, piccolo gnomo sbarbato, ti ritrovi con lo svedese bello e servito fin dal primo giorno di vita e di sicuro non parlerai mai l’italiano bene come lo parlo io. E scusa se l’italiano è parlato come prima lingua da più di sessata milioni di persone in Italia e in Svizzera ed è una delle lingue più amate al mondo per la sua sonorità e sinuosità. Lo svedese chi lo parla invece? Tu e sì e no altri dieci milioni di persone in Svezia e in alcune parti della Finlandia. Basta. Bella roba. Scusa quindi se l’italiano è solo un pochettino, giusto un poco, più importante dello svedese, piccolo nanetto malefico.
Vorrei dirgli tutto questo in una sfuriata colossale che mi metterebbe allo stesso suo livello emotivo e in imbarazzo davanti a tutto il parco, ma mi limito a un sorriso a denti stretti e ad alzare le spalle.
Cerco di tornare alla mia spiaggia immaginaria con il profumo di salsedine e di crema solare. Cerco di ricreare quell’atmosfera mentale di pace e serenità che solo il calore del sole sulla pelle può dare… ma non ce la faccio. Le parole del bambino che sta giocando sulla sabbia mi hanno innervosito. Non riesco più a concentrarmi come prima e penso a come rispondere per le rime a quel puffo puzzone. Riapro gli occhi, inspiro profondamente e poi, con calma, molta calma, mi giro verso il bambino.
— Senti… è vero che io non parlo alla perfezione lo svedese, però c’è da dire che io non sono nato qui e quindi…
— Cacca! Tu cacca!
Il bambino m’interrompe con questa offesa puerile e mi pesta un piede di proposito. Poi se la ride a crepapelle neanche avesse appena visto un video con tutte le migliori battute di Renato Pozzetto una dietro l’altra. La sua risata (seppure contagiosa come tutte quelle dei bambini, devo essere sincero) in quel momento mi sta facendo andare fuori di testa. Oh, come mi fa incazzare! Come mi fa incazzare! Vorrei tirargli uno scappellotto da altri tempi e insegnargli come si educavano una volta i bambini (almeno così mi diceva mia nonna…), ma penso che a) sia moralmente sbagliato, b) non serva a molto e c) in Svezia mi costerebbe la galera con chiave buttata nei Social Media. Quindi desisto e mi tengo sullo stomaco l’acidità. È quel tipo di fastidio frustrato che ti tieni dentro e ti fa star male. Come quando una persona cara, alla quale vuoi veramente bene, elogia Berlusconi oppure addirittura Salvini. Come quando hai appena conosciuto una ragazza attraente, intelligente, simpatica, intrigante, perfetta per te (e per chiunque altro a dire il vero) e che pure ci sta, ma hai scoperto che tifa per la Juventus. Ingoi il rospo con un filo di olio di ricino, giusto per la pace comune e per non sollevare conflitti inutili e deleteri.
— Cacca e scoreggia!
Replica lo scarafaggio. Poi mi tira la sabbia addosso.
Dovrei girarmi dall’altra parte e ignorare quel Hobbit mangia pane elfico a tradimento che sta ancora ridendo della sua super battuta sulla cacca mentre scava un buco nella sabbia. Invece d’istinto mi alzo in preda al nervosismo e al prurito alle mani. Sto per esplodere e dirgliene quattro davanti a tutti. Ora mi sente. Non mi frega niente di cosa diranno gli altri, ma almeno gli darò una lezione importante che si ricorderà per tutta la vita.
Da lontano, però, mia moglie, che sta giocando con mio figlio di tre anni, mi vede irritato e si avvicina a controllare la situazione.
— Ti ha detto che non parli bene svedese, vero?
Io annuisco. Lei sorride.
— Lo dice sempre anche a me.
Poi prende da parte il bambino esagitato di cinque anni e gli bisbiglia qualcosa all’orecchio che io non riesco a sentire. Lo gira verso di me tenendolo per le spalle e con una leggera pacca sulla schiena gli ordina gentilmente (come solo una mamma con la forza del dito indice puntato sa fare).
— Ora chiedi scusa al papà!
Mio figlio annuisce e viene subito ad abbracciarmi.
— Scusa papà!
Rimango spaesato da tanta dolcezza improvvisa. In un attimo la rabbia e l’irritazione svaniscono. Mi abbasso sulle ginocchia all’altezza di mio figlio e gli do un bacio sulla guancia. Non si può resistere a tanto affetto. Alla fine, i bambini ne fanno e ne dicono tante, ma lo fanno con innocenza e buon cuore. Non sono cattivi. Vogliono solo ridere e stare sereni. Che senso ha arrabbiarsi per queste cose. Bisogna lasciar correre. Specialmente quando poi arrivano delle scuse tanto sincere quanto cariche di tenerezza come questa di mio figlio. Così stringo forte a me quel piccolo furetto con gli occhi da cerbiatto e gli dico con tono sereno ma deciso.
— Non ti preoccupare, cucciolo. Ma non dire più così a mamma e papà, va bene?
— Sì… ora mi dai ciocolata? Mamma ha detto che mi davi ciocolata se dicevo scusa.
Ah, ecco dov’era la dolcezza.
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