Lo psicologo vaga disperato per la città. È senza
pace perché è prenda di una condanna assai bizzarra che solo chi ha intrapreso
un cammino come il suo ne è a conoscenza. È avvilito perché non riesce a
sentire i suoi pensieri. Proprio così: nonostante ci provi in ogni momento
della giornata, non ce la fa. Da quando ha intrapreso i suoi studi, da quando
ha messo piede nella facoltà di Psicologia della sua università, da quando ha
rivelato a parenti e amici la sua scelta di vita, non è più in grado di
raggiungere i suoi pensieri. Ogni volta che incontra un’altra persona per
strada, è costretto, dal suo codice etico e professionale, a leggere nella
mente dell’altro passante. È più forte di lui. Che il passante sia uomo o
donna, vecchio o bambino, essere umano o altro animale, lo psicologo è
deontologicamente costretto a leggere e interpretare i pensieri altrui. Lo
psicologo può avere accesso ai propri pensieri solo davanti allo specchio... eh
no, neanche in quest’occasione funziona perché il suo subconscio non è scemo e
si accorge subito che si tratta di se stesso e quindi reagisce con un
sofisticato meccanismo di difesa. Una via di fuga però c’è: lo psicologo può
riuscire a sentirsi pensare in maniera indiretta. Questo succede quando due
psicologi s’incontrano e, guardandosi intensamente negli occhi, possono leggere
reciprocamente nella testa dell’altro. In seguito potranno scambiarsi le
informazioni… ma potranno mai fidarsi l’uno dell’altro e instaurare una buona
alleanza terapeutica? Eh, quant'è dura la vita dello psicologo!
Psyche: dea dell’anima.
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