martedì 23 settembre 2025

ITALIENAREN – Gabbie

Ti senti solo? Vorresti la soffice compagnia di un cincillà o di un porcellino d’India? Oppure preferisci essere allietato dal dolce canto di una cocorita? Nessun problema. Ti basterà un semplice appartamento di 50 metri quadrati e dedicarci più della metà della superficie alla gabbia dei tuoi simpatici amici.

Così avrebbe potuto recitare un annuncio pubblicitario a partire dal 2026 se una proposta di legge sulle condizioni degli animali domestici fosse passata[1]. La notizia arriva dal Jorbruksverket, non un parente della mitica band elettronica Kraftwerket ma uno dei trecentocinquanta -verket che regolamentano tutto – dalle tasse all’uso del gabinetto – ma proprio tutto in Svezia.
La proposta mira a migliorare in generale le condizioni ambientali degli animali di casa meno popolari. Non cita dunque cani, gatti e bambini, ma si rivolge ad altri piccoli mammiferi come roditori e leporidi, agli uccelli volanti o meno e ai rettili. Il testo enuncia alcuni esempi interessanti. Si consigliano gabbie di almeno 10 metri quadrati per i conigli, di 3 per i ratti – come se a loro non bastasse possedere le cantine e i giardini di tutta Stoccolma – di 15 per i serpenti più lunghi, volendo assieme ai roditori per risparmiare spazio, di 4 metri quadrati per i canarini e di 30 per i pappagalli. Va ripetuto: 30 per i pappagalli. Inoltre sono state proibite le ruote per i criceti. Questo costringerà l’umanità all’uso di nuove metafore per descrivere la nostra triste vita nella gabbia della società moderna. Infine, animali come scoiattoli volanti e coccodrilli non saranno più considerati animali domestici. Non accenna niente a riguardo degli alligatori, quindi chiunque sia interessato non verserà troppe lacrime.
La proposta di legge del 19 marzo 2025 ha destato molte discussioni: chi ne era favorevole, difendendo a spada tratta i diritti degli animali e chi ne era contrario, sostenendo la difficoltà a mantenere gli animali a tali condizioni economiche. Le proteste e le critiche non sono mancate da entrambe le fazioni e risulta difficile proclamare chi avesse torto o ragione. Nel dubbio, il 24 marzo 2025, quindi pochi giorni più tardi, lo Jordbruksverket ha deciso di tagliare la testa al toro – in senso figurato, s’intende – decidendo di ritirare la proposta, promettendo però di elaborare una formulazione che possa raggiungere un buon compromesso.

Ricordo ancora con un pizzico di nostalgia e di orrore che al mio trasferimento in Svezia, molti anni fa in uno studentato, vivevo in una stanza di 7 metri quadrati, arredata da letto singolo, comodino, scrivania, sedia e armadio a muro. Per l’igiene personale era presente solo un lavello semplice e uno specchio. Il bagno, le docce, la lavatrice e la cucina erano condivisi con gli altri trenta studenti del corridoio che avevano norme igieniche e alimentari assai diverse dalle mie. Fu un’esperienza culturalmente stimolante ma a volte raccapricciante.
Avrei dovuto andare a protestare allo Jordbruksverket.

giovedì 22 maggio 2025

ITALIENAREN – ESC

Le strade della città sono deserte. I vagoni della metropolitana vuoti. I clienti dei bar e ristoranti pagano in fretta e furia il conto prima delle nove di sera e scappano a casa. Qualche ritardatario rincasa sudato preso da una contagiosa frenesia. Tutti sono incollati al televisore. A casa propria o a casa di amici, il più delle volte in compagnia, ma se necessario anche da soli. Chi invece ha avuto la sfortuna di essere di turno a lavoro segue dallo schermo del cellulare con mezzo cervello focalizzato sulle canzoni e mezzo su altre attività. Situazione non molto diversa da quella degli altri che guardano da casa in effetti.
Non è un’apocalisse di zombie tecnologici. Non è neanche una partita di calcio della nazionale. Si tratta però pur sempre di una finale, quella dell’ESC: Eurovision Sociopolitical Contest che ogni anno a maggio s’infila – o molto più spesso si sfila – l’abito da sera con paillettes e spacchi vertiginosi e si traveste da competizione canora internazionale.
In Svezia la febbre da Eurovision è altissima. Tutti aspettano con ansia l’evento prima che inizi, esplodono in un tifo da stadio durante e commentano da esperti musicali dopo il finale. Chi non ne parla viene emarginato socialmente dalle conversazioni al lavoro della settimana successiva.
Le aspettative svedesi sono anche alle stelle: per lo spettacolo, per l’intrattenimento e soprattutto per il risultato finale. La Svezia infatti è stata campione per sette volte, prima a parimerito con l’Irlanda, ma diventa dominatrice assoluta se si considerano solo gli ultimi quindici anni, con ben tre vittorie schiaccianti.
Prima di trasferirmi in Scandinavia io non ero neanche a conoscenza di questa competizione canora mentre qui è una vera e propria fissazione come quella del divieto del cappuccino dopo pranzo per noi italiani. Assurda ma che desta curiosità. Quando ho cominciato a guardare lo show non ne comprendevo molto la sua importanza e l’interesse così morboso dei miei nuovi amici svedesi. Dopo qualche anno, quando ho afferrato il metro di giudizio e i criteri di selezione dei vincitori, ho finalmente capito e anche io mi sono convertito.
I parametri per votare sono molteplici e non hanno né limiti né ritegno. Passano dalla simpatia ingiustificata per una certa nazione (mi piace il Belgio per le sue birre) all’antipatia altrettanto aleatoria per un'altra (i francesi mi stanno sulle scatole). Vanno da nazionalismi sfegatati – non si può votare per il proprio paese se ci risiedi ma puoi farlo se vivi all’estero – a voto di scambio tra nazioni confinanti (vedi paesi nordici o il patto bilaterale Italia-San Marino). A volte si sconfina anche nel becero voto di sottopancia, quando cioè si finisce a giudicare l’aspetto fisico e non la voce del/la cantante in gara (viva le bellocce siliconate e i bellocci fisicati). Si può scegliere per buonismo o perché al contrario il brano o l’autore fa scandalo (Finlandia in primis). Spesso però a farla da padrone sono i motivi sociopolitici come il sì all’Ucraina, il no al Regno Unito a seguito della Brexit e la giusta esclusione dalla competizione per una nazione che si è macchiata di atroci atti bellici come nel caso di Isra… hm, intendevo come nel caso della Russia. Infine, stavo quasi per dimenticarlo per la sua marginalità nel processo decisionale, si può votare anche la qualità del brano proposto. A rovinare tutto il carrozzone, infatti, ci pensa la giuria tecnica che ribalta il voto populista, che tanto va di moda ultimamente.
Da molti anni mi sono allineato dunque anche io al pensiero collettivo svedese perché l’Eurovision è folklore, è cultura, è ironia, è il trionfo del trash made in Europe. Qualcosa che il resto del mondo non ci potrà mai togliere e tantomeno eguagliare. L’Eurovision non passa inosservato perché suscita bellezza o ribrezzo, simpatia o antipatia, odio o amore. A volte i due estremi anche nello stesso momento. L’Eurovision è questo e tanto altro, racchiuso in quattro ore di programmazione… e magari alla fine vince il paese che è giunto alla competizione per un errore di battitura: l’Australia.

venerdì 28 marzo 2025

ITALIENAREN – Montagna

Sciare è meraviglioso. Non è però uno sport per tutti. Non mi riferisco soltanto all’aspetto economico con costi elevati per accaparrarsi l’equipaggiamento adeguato, i vestiti giusti, il viaggio nella località sciistica e l’acquisto dello skipass. Mi riferisco anche alla sofferenza collegata agli sci. È una pena che chi si dedica a questo sport deve decidere se tollerare o meno. Trasportare tutto il necessario e la fase preparatoria prima di lanciarsi finalmente sulla pista innevata sono operazioni non da poco, che richiedono pazienza e una certa dose di dolore fisico.
Ho da poco sperimentato tutto ciò sulla mia pelle dopo un fine settimana lungo passato in montagna con la mia famiglia. A dire il vero, in Svezia, la parola montagna dovrebbe essere scritta tra virgolette. Al mio arrivo alla base dell’impianto di risalita, infatti, alzo gli occhi per seguire con lo sguardo il percorso della pista e invece di trovarmi un muro di montagna trovo la cima perfettamente visibile a occhio nudo. Le Fjällar svedesi non sono molto alte, spesso si aggirano attorno ai 300 o 500 metri sopra il livello del mare. Solo molto a nord, dopo molte ore di viaggio si raggiungono i 1000-1400 metri. Le Fjällar sono dunque delle collinette che di primo acchito mi provocano sempre una lacrima di nostalgia perché mi fanno ripensare ai colli dietro casa mia in Italia dove si coltiva l’uva e perché mi sbattono in faccia il duro confronto con le Dolomiti.
Mi asciugo la lacrimuccia e inforco gli sci. Basta con le solite lamentele da italiano medio. È ora di darsi da fare. Salgo in cima e faccio la prima discesa. La neve è fresca. La pista è ben curata. La discesa è stimolante. Sorrido soddisfatto ma mi passa subito, appena mi rendo conto di essere già a valle, dopo solo un paio di minuti. Mestamente scivolo verso la seggiovia e mi metto in fila. La coda è lunga e lenta perché molti sciano in questo periodo dell’anno e perché i visitatori sono nordici e vogliono stare larghi lasciando malvolentieri il posto ai vicini. Hanno però il pregio di farmi sentire a casa perché è un po’ quello che succede in autobus o in metropolitana a Stoccolma. Ci metto dunque tra i dieci e i quindici minuti per risalire. I muscoli hanno fatto in tempo a raffreddarsi, ma mi consolo ammirando il panorama rilassante della campagna svedese e lodando le tante pale eoliche disseminate nel territorio. Dopo aver fatto una pista rossa per rompere il ghiaccio – metaforicamente, s’intende – ora mi sento pronto per le piste più impegnative. La difficoltà è di poco maggiore. Ogni volta che qualcuno definisce queste piste “nere”, un altoatesino muore, penso divertito – non per la morte dell’altoatesino, s’intende, anche quella era una metafora.
Nulla però mi toglie la voglia di continuare a sciare e godermi la bella giornata di sole. Col passare delle ore le code agli impianti diminuiscono e posso salire e scendere a ripetizione in modo soddisfacente. La giornata passa in fretta. Mi diverto e ammiro l’abilità svedese nel valorizzare qualsiasi piano inclinato per trasformarlo in una pista da sci apprezzabile. Mi ricorda molto quelle poche rovine romane fuori dai confini italiani trattate giustamente come un patrimonio storico e culturale da preservare con cura.
Nonostante sia felice e grato di poter sciare, – ho sognato a occhi aperti di poterlo fare prima di arrivare qui e so che stanotte lo sognerò a occhi chiusi – rimango dell’idea che sciare sia una sofferenza, ma anche tanto altro. È uno sfogo fisico, è contemplazione della natura, è un attimo di meditazione soli con sé stessi, è libertà al vento che ti sferza la faccia, è velocità che ti fa sfrecciare sulla neve fresca. Infine, sciare è anche sollievo, soprattutto quando al termine della giornata arrivi a casa e ti sfili gli scarponi dai piedi indolenziti. 

venerdì 10 gennaio 2025

ITALIENAREN – Ghiaccio

La squadra di pattinaggio artistico nazionale volteggia sul ghiaccio con precisione e coordinazione invidiabili. Ammiro estasiato i loro movimenti eleganti che seguono l’esercizio provato e riprovato mille volte in allenamento. La loro professionalità e precisione è incredibile. Gli artisti eseguono davanti ai miei occhi piroette perfette, tripli axel fenomenali, avvitamenti da capogiro. Tutto meraviglioso. A bocca aperta assisto a uno spettacolo strepitoso. Non posso far altro che sorridere inebetito e applaudire con entusiasmo.
L’infermiera però mi ferma e mi ricorda di non agitarmi troppo. Mi rassicura che l’ortopedico mi visiterà a breve. Devo riposare nella mia condizione malconcia. Mi sa che la morfina che mi hanno dato contro il dolore sta facendo brutti scherzi al cervello perché quello che vedevo andare avanti e indietro non era uno spettacolo di pattinaggio artistico ma il personale dell’ospedale, indaffarato a curare ogni paziente che è caduto e si è rotto qualche osso nell’ultima settimana. La maggioranza dei degenti sono anziani, ma anche qualche giovane e il reparto è pieno. Le statistiche d’altronde parlano chiaro: ci sono state 2,2 cadute dovute a ghiaccio e neve per 1000 abitanti dall’inizio dell’inverno e i costi per la sanità sono già saliti a 116 milioni di corone solo per la regione di Stoccolma[1].
Considerando che la stagione è solo iniziata e se fuori dalla finestra guardo il palaghiaccio che si è esteso a tutta la città, è meglio cercare di tutelarsi. I ramponcini da attaccare al tacco delle scarpe, acquistabili in farmacia, sembrano essere la migliore opzione, se non si ha paura di passare per dei matusa o dei maniaci del controllo. In alternativa si può sempre adottare l’andatura a pinguino impaurito che tiene l’uovo sotto ai piedi quando si cammina. Si può fare slalom tra le lastre di ghiaccio grandi come campi da calcio e le pozze d’acqua così torbide e gelida da permettere al mostro di Loch Ness di nascondersi. È bene studiarsi bene il percorso da seguire preferendo il ben più spazzato asfalto della strada alle scivolose mattonelle dei marciapiedi. Essere investiti da un’auto appare come un rischio meno grave di quello di cadere rovinosamente col sedere a terra. Conviene sempre prendere la strada più lunga ma più sicura anche se comporta la circumnavigazione del quartiere per evitare le scalinate trasformate in scivolo e il parco in pista da pattinaggio. Non c’è da aver paura se ci si perde perché basta seguire i sassetti sparsi con parsimonia qua e là e fare finta di essere Pollicino. È importante però fare attenzione alla neve fresca infingarda che spesso nasconde lastroni di ghiaccio lucidi come la pelata di Mastro Lindo ma che non lasciano il suo sorriso in faccia. In ogni caso non bisogna mai avere fretta.
Per fortuna la mia caduta sulle scale della scuola di qualche giorno fa non mi è costata una visita all’ospedale e l’allucinazione da morfina è solo un’invenzione, ma la prendo come un monito a fare più attenzione in futuro, nella speranza di non aver scritto la promessa sul ghiaccio.


[1] https://www.mynewsdesk.com/se/liberalerna-region-stockholm/pressreleases/baettre-snoeroejning-och-avgiftsfria-broddar-foer-att-minska-antalet-halkolyckor-dags-att-prioritera-tryggheten-paa-stockholms-gator-3363135?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=Alert&utm_content=pressrelease#:~:text=Enligt%20statistik%20fr%C3%A5n%20regionens%20h%C3%A4lso,is%20under%20vinterm%C3%A5naderna%20f%C3%B6rra%20%C3%A5ret.

mercoledì 11 dicembre 2024

ITALIENAREN – Sunbusters

L’allarme suona squarciandomi le orecchie. Mi sveglio di colpo nel buio della notte mattutina. Sull’orologio leggo “zerootto.zerozero”. È ora di andare. Sveglio tutti gli altri e senza colazione scivoliamo in fretta al piano terra grazie alla pertica e al buco nel pavimento. Ci infiliamo le overall grigie, indossiamo il nostro equipaggiamento e usciamo in città.
 
SIGLA
If there’s something strange
In the neighborhood
Who you gonna call?
Sunbusters!
 
If there’s something weird
And it looks damn good
Who you gonna call?
Sunbusters!
 
Un sole bianco con viso sorpreso e braccia allargate, sbarrato da un segnale di divieto rosso compare in sovraimpressione per un paio di secondi.
MUSICA IN DISSOLVENZA
 
Sì, baby, per i prossimi tre mesi noi diventiamo i Sunbusters, gli Acchiappasole – non nel significato romanesco di fregature, eh – al servizio della salute mentale di tutti, soprattutto della nostra.
Armati di rivelatore P.K.E. Meter ci aggiriamo per le strade cittadine alla ricerca di attività paranormali che possano risvegliare i nostri ritmi circadiani. Girovaghiamo disperati da ormai sei giorni, due ore e quindici minuti con la schiena gobba e le occhiaie scavate. Scaliamo una collinetta e l’ago del rivelatore impazzisce. Ci siamo. Ci siamo. Un ammasso di nuvoloni grigi si sposta a nord sospinto dal vento gelido di dicembre. Le prime radiazioni elettromagnetiche dell’ultima settimana ci appaiono in tutto il loro splendore.
«Lasciate fare ai professionisti!» Urliamo mentre ci facciamo largo tra i civili accorsi in gran numero per assistere all’evento. Una rapida indagine psichiatrica condotta dal medico di campo ha già escluso che si tratti di un’allucinazione collettiva. Possiamo procedere. Abbagliati dalla celestiale visione e mossi sempre più in alto dall’energia psicocinetica, chiudiamo un attimo gli occhi, inspiriamo in profondità e allarghiamo il sorriso tra le labbra.
Non per molto però. Il vento è già cambiato e le nubi si riaddensano. È tempo di agire. Dall’acceleratore protonico non autorizzato che portiamo sulle spalle estraiamo il fucile con una mossa in sincrono. Premiamo il tasto d’accensione, indirizziamo il flusso verso l’alto, poco più in alto dell’orizzonte – mai allo zenit, purtroppo – e irradiamo l’obbiettivo.
«Ora, Alex!» Ordino al mio collega. Lui lancia la trappola per terra e quando la potenza dei nostri fucili protonici sta per esaurire schiaccia il tasto d’apertura con il piede. I raggi solari vengono assorbiti e la trappola si richiude tra leggere scosse elettriche, lucette verdi lampeggianti e fumi di calore. Ce l’abbiamo fatta. Il vapore a erranza di quinta classe è stato catturato. Ora non ci resta che depositarlo, assieme agli altri pochi raggi raccolti durante l’ultimo mese, nel dispositivo di stoccaggio psicocerebrale che lo trasformerà in vitamina D. Se andiamo avanti così ci dovremmo salvare, ma c’è tanto da lavorare.
«Abitanti di Stoccolma e di qualsiasi territorio sopra il 55° parallelo nord della Terra, ascoltatemi bene.» Con aria risoluta guardo dritto verso la telecamera che mi sta inquadrando. «Non rilassatevi e non smettete di muovervi. Continuate a cercare quella tiepida pallina gialla tra i palazzi durante la pausa pranzo, nei prati dei parchi cittadini nel fine settimana e affacciati dai balconi o dalle finestre durante le pause caffè. Se vedete qualcosa di strano nel vicinato, se qualcosa vi colpisce e vi fa star bene, alzate allora gli occhi al cielo, sorridete, porgete entrambi i palmi aperti delle mani verso la fonte di energia e non esitate a chiamarci.» Punto l’indice verso lo schermo. «I Sunbusters saranno lì con voi per acciuffare il sole!»
 
MUSICA IN CRESCENDO E TITOLI DI CODA
 
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Ecco il link all’articolo su Italienaren - Il lavoratore:
https://italienaren.org/sunbusters/

mercoledì 27 novembre 2024

ITALIENAREN – Macchinari malefici

Sto guardando un video su YouTube di un tipo in pantaloncini corti e maglietta sportiva che in palestra sembra stia facendo sesso con un vogatore. È affannato, impreca e quasi s’ingarbuglia con il cavo. Dopo un minuto un ragazzo muscoloso gli passa vicino e, mosso da compassione ma con un mezzo sorriso trattenuto tra le labbra, gli mostra l'uso corretto del macchinario. Il tipo si guarda attorno e ringrazia in notevole imbarazzo. Io rido. Mi sento uno stronzo ma rido lo stesso. Potrei essere io quel tipo del video, ma continuo a ridere lo stesso. La Schadenfreude – la gioia maligna – alle volte è davvero spassosa.
Eppure mi diverte guardare il video perché è un modo per esorcizzare la paura. Mi ci è voluto tempo e coraggio per superare le mie ansie e per essere dove sono adesso: su un tapis roulant in una palestra affollata, durante l’ora di punta.
Mi metto a petto in fuori e tengo le spalle larghe. Non solo perché sono orgoglioso di me stesso e dei miei progressi ma anche perché ho appena notato una bella ragazza che corre al mio fianco. Sorrido sgargiante. Lei ovviamente non mi calcola, immersa in sé stessa e nella musica che sta ascoltando con le cuffiette. Non perdo però l’entusiasmo e ricordo il mio percorso in palestra che definirei terapeutico.
La palestra mi ha salvato dalla depressione. In un periodo difficile al lavoro, avevo abbandonato la pallacanestro giocata e mi ero ritrovato a essere fisicamente inattivo per più di un semestre. Rifiutavo di andare in palestra perché ritenevo fosse solo per fighetti e io invece ero un duro. Mi ero allora buttato sulla corsa all’aria aperta ma avevo fallito in fretta. La temperatura svedese che non sale sopra i 5 gradi da ottobre a marzo e la mia inappetenza verso la noiosa corsa in solitaria avevano aiutato come il due di bastoni con briscola in denari. Spinto dalla quantità di palestre presenti in ogni angolo a Stoccolma e dai prezzi abbordabili, decisi finalmente di cambiare idea e di acquistare una tessera annuale. La promessa di mia moglie di accompagnarmi agli allenamenti con il guinzaglio e il biscotto come ricompensa resero il primo passo più facile.
Nonostante temessi di essere osservato e giudicato quando mi sarei ritrovato asincrono con il resto dei partecipanti, gli esercizi di gruppo mi sembrarono il modo migliore di cominciare. Classi di sollevamento peso finite il giorno dopo a casa con difficoltà ad alzare anche un bicchiere d’acido lattico. Classi di spinning finite ad annaspare aria come se mi avessero tolto le narici e la bocca. Classi di aerobica finite a spostarmi a sinistra della stanza mentre il resto del gruppo salta a destra.
Col tempo la condizione migliorava e assieme a essa anche la fiducia in me stesso. Stavo meglio. Tornavo a essere il vecchio me stesso sportivo. In effetti la palestra non era solo per i fighetti, ma anche per i duri, come loro, quelli che i muscoli ben distribuiti in tutto il corpo ce li hanno davvero.
Restava un tabù da sfatare. Andare in palestra senza prenotare una classe di gruppo. «E se ridono di me perché uso il leg curl per allenare i bicipiti?» «E se non so da dove cominciare e alla fine me ne vado in imbarazzo?» «E se sbaglio l’esercizio e mi procuro un danno muscolare?» «E se per lo sforzo mi scappa una scoreggina?» Non era facile convivere con questi pensieri. Neanche con la puzza a dire il vero. Parlando però con dei Personal Trainer – PT, per gli amici –, studiando programmi di allenamento su internet come fossero un copione teatrale da ripetere senza errori e facendo affidamento alle App della palestra per seguire religiosamente quello che mi dicevano di fare, col tempo mi avventurai nei meandri della palestra. Prima durante gli orari meno frequentati a costo di allenarsi di notte. Poi in un angolo della sala separata facendo una pausa forzata ogni volta che qualcuno passava vicino. Infine in centro alla sala principale, con i faretti puntati, con una canottiera attillata addosso e la fascetta bianca sulla fronte, muovendomi scatenato e cantando a squarciagola Maniac di Michael Sembello – colonna sonora di Flashdance… ok, ok, ok. Con l’ultima ho un tantino esagerato, ma ora ho davvero la libertà di scegliere se prenotare una classe di gruppo, se seguire un programma personalizzato con o senza la App. Questo per me ha fatto la differenza tra ritornare fisicamente e mentalmente in carreggiata e lo smettere di fare attività fisica per paura di finire su un video di sfottò. Cerco di ricordarmelo sempre quando non ho voglia di uscire di casa per andare in palestra.
In un attimo il mio percorso terapeutico mi scorre davanti agli occhi, mentre spengo il video del tipo che faceva l’amore con il vogatore. Sto ancora ridacchiando. Non posso farne a meno. Perdo però l'equilibrio, inciampo sul bordo del tapis roulant come fosse una buccia di banana e cado di faccia sul nastro trasportatore. Solo ora la ragazza carina che mi sta di fianco mi nota – eccome se mi nota – e potrei giurare che un tipo dietro di me ha appena ripreso tutta la scenetta con la fotocamera del cellulare. Le immagini della mia rovinosa caduta viaggiano ora veloci sulla fibra ottica verso un server di YouTube. Chi la fa, l’aspetti.
 
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mercoledì 20 novembre 2024

ITALIENAREN – Movember

Sul palmo della mano sinistra riposa una montagnola bianca e soffice. Nella presa salda della mano destra tengo uno strumento affilato. Mi guardo allo specchio e mi spalmo con foga la schiuma sulla superficie della faccia dalle basette e dalle narici in giù. È un’operazione che non eseguo molto spesso e mi sento un po’ impacciato. Tagliare la barba non è il mio forte. Mi concedo questo momento solo per situazioni eccezionali come un matrimonio (solo per il mio) e per entrare in un personaggio teatrale durante gli spettacoli. Passati gli eventi, abbandono subito la pratica per pigrizia e ritorno allo stato brado. Ho da poco però scoperto un’altra iniziativa molto importante che ha richiamato la mia attenzione: Movember[1], un neologismo sincratico – anche detto parola macedonia – che unisce le parole Moustache e November. È un evento annuale a scopo benefico che si svolge nel mese di novembre nel quale gli uomini che vi aderiscono (chiamati Mo bro) si fanno crescere i baffi per sensibilizzare l’opinione pubblica sul carcinoma della prostata.
Un’occasione lodevole da cogliere al volo ora che, con la schiuma spalmata, sembro Babbo Natale o un pagliaccio preso a torta di panna in faccia. Partendo da una barba alla Leonardo di Caprio in The Revenant la scelta è ampia e mi permette diversi tipi di baffi. Comincio a togliere le basette e i peli ispidi dalle guance fino a lasciare un pizzetto alla Edward Norton. Accosto la lama del rasoio al lato delle labbra ma poi mi fermo. Tentenno. Ci sono molti stili di baffo. Difficile scegliere. Cerco su internet per trovare ispirazione e vado.
Taglio la barba sotto e sopra il mento e lascio due linguette, una sotto il lato destro e una sotto il lato sinistro della bocca. Ecco un baffo a ferro di cavallo alla Hulk Hogan, James Hetfield dei Metallica o di un biker con l’Harley Davidson. Fletto i muscoli e sfodero indice, mignolo e pollice a forma di corna. Mi sento molto cool, ma questo vestito peloso non mi si addice. Sad But True.
Rado ancora e mi trasformo in un tricheco con un bel paio di baffi folti che escono da entrambi i lati della faccia e coprono tutta la bocca. Mi do un’aria da letterato alla Mark Twain o da filosofo alla Nietzsche. No, cercare di essere un Superuomo e un Nichilista è un peso troppo grande.
Accorcio un po’ ed eccomi scaraventato alla fine del IXX, inizio XX secolo, nell’Impero austro-ungarico. Davanti a me non vedo più la mia faccia, ma quella di Francesco Ferdinando. Hm, meglio evitare di finire come lui e scaturire l’inizio della Terza Guerra Mondiale.
Aggiusto un po’, arriccio all’infuori e all’insù con un’abilità che stupisce anche me stesso. Ormai ci ho preso mano e ho appeno rifinito dei baffi a manubrio. Vittorio Emanuele II, Buffalo Bill e lo stereotipo dell’uomo messicano sarebbero orgogliosi di me. Mi rendo conto però che non raggiungerò mai Salvador Dalì quindi meglio andare oltre.
Aggiungo un po’ di schiuma e passo con la lama di qua e di là: stupendi, mitici, eccezionali. Mi viene voglia di cantare e trasformo il rasoio in un microfono. Con questi mustacchi a V rovesciata che coprono di poco il labbro superiore mi sono proprio liberato e ora sono un campione. Sono Freddie Mercury. Nah, meglio abbassare i toni. Questi baffi chevron non mi fanno assomigliare tanto né a lui né tantomeno a Tom Selleck in Magnum P.I. Peccato. Sbuffo e proseguo la mia ricerca: Lo spettacolo deve continuare.
Riduco ancora di più verso le narici e, voilà, ecco un baffo a spazzolino come Charlie Chaplin e Ollio. Sorrido, ma poi mi passa. Nessuno penserà a loro due ma a un altro personaggio di moda in Germania negli anni ’40 del secolo scorso e purtroppo di nuovo in voga ora, negli anni ‘20 di questo secolo.
Non mi resta che lasciare un filetto di peli attaccato al labbro, ben curato e molto elegante dallo stampo classico. Non riuscirò a essere a Zorro, Gomez Addams o Clarke Gable, non solo perché mi manca lo smoking giusto o il mantello, ma soprattutto perché ormai ho tolto la parte di baffo verso l’estremità delle labbra per completare lo stile a fiammifero. Che tristezza.
Tutte queste associazioni di nomi, personaggi affascinanti e mostri sacri della storia mi hanno dato alla testa. Così, mi scappa la mano e tolgo ancora un altro pezzo di baffo. Nel processo mi procuro un taglietto che tampono subito con pezzi di carta igienica. La frittata è fatta. Ora devo togliere tutto e rimanere sbarbato. Ci riproverò il prossimo anno ad aderire a Movember. Nel frattempo faccio una donazione dal sito: offerta baffuta, sempre piaciuta.
 
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Ecco il link all’articolo su Italienaren - Il lavoratore:
https://italienaren.org/movember/
[1] https://se.movember.com/