giovedì 22 maggio 2025

ITALIENAREN – ESC

Le strade della città sono deserte. I vagoni della metropolitana vuoti. I clienti dei bar e ristoranti pagano in fretta e furia il conto prima delle nove di sera e scappano a casa. Qualche ritardatario rincasa sudato preso da una contagiosa frenesia. Tutti sono incollati al televisore. A casa propria o a casa di amici, il più delle volte in compagnia, ma se necessario anche da soli. Chi invece ha avuto la sfortuna di essere di turno a lavoro segue dallo schermo del cellulare con mezzo cervello focalizzato sulle canzoni e mezzo su altre attività. Situazione non molto diversa da quella degli altri che guardano da casa in effetti.
Non è un’apocalisse di zombie tecnologici. Non è neanche una partita di calcio della nazionale. Si tratta però pur sempre di una finale, quella dell’ESC: Eurovision Sociopolitical Contest che ogni anno a maggio s’infila – o molto più spesso si sfila – l’abito da sera con paillettes e spacchi vertiginosi e si traveste da competizione canora internazionale.
In Svezia la febbre da Eurovision è altissima. Tutti aspettano con ansia l’evento prima che inizi, esplodono in un tifo da stadio durante e commentano da esperti musicali dopo il finale. Chi non ne parla viene emarginato socialmente dalle conversazioni al lavoro della settimana successiva.
Le aspettative svedesi sono anche alle stelle: per lo spettacolo, per l’intrattenimento e soprattutto per il risultato finale. La Svezia infatti è stata campione per sette volte, prima a parimerito con l’Irlanda, ma diventa dominatrice assoluta se si considerano solo gli ultimi quindici anni, con ben tre vittorie schiaccianti.
Prima di trasferirmi in Scandinavia io non ero neanche a conoscenza di questa competizione canora mentre qui è una vera e propria fissazione come quella del divieto del cappuccino dopo pranzo per noi italiani. Assurda ma che desta curiosità. Quando ho cominciato a guardare lo show non ne comprendevo molto la sua importanza e l’interesse così morboso dei miei nuovi amici svedesi. Dopo qualche anno, quando ho afferrato il metro di giudizio e i criteri di selezione dei vincitori, ho finalmente capito e anche io mi sono convertito.
I parametri per votare sono molteplici e non hanno né limiti né ritegno. Passano dalla simpatia ingiustificata per una certa nazione (mi piace il Belgio per le sue birre) all’antipatia altrettanto aleatoria per un'altra (i francesi mi stanno sulle scatole). Vanno da nazionalismi sfegatati – non si può votare per il proprio paese se ci risiedi ma puoi farlo se vivi all’estero – a voto di scambio tra nazioni confinanti (vedi paesi nordici o il patto bilaterale Italia-San Marino). A volte si sconfina anche nel becero voto di sottopancia, quando cioè si finisce a giudicare l’aspetto fisico e non la voce del/la cantante in gara (viva le bellocce siliconate e i bellocci fisicati). Si può scegliere per buonismo o perché al contrario il brano o l’autore fa scandalo (Finlandia in primis). Spesso però a farla da padrone sono i motivi sociopolitici come il sì all’Ucraina, il no al Regno Unito a seguito della Brexit e la giusta esclusione dalla competizione per una nazione che si è macchiata di atroci atti bellici come nel caso di Isra… hm, intendevo come nel caso della Russia. Infine, stavo quasi per dimenticarlo per la sua marginalità nel processo decisionale, si può votare anche la qualità del brano proposto. A rovinare tutto il carrozzone, infatti, ci pensa la giuria tecnica che ribalta il voto populista, che tanto va di moda ultimamente.
Da molti anni mi sono allineato dunque anche io al pensiero collettivo svedese perché l’Eurovision è folklore, è cultura, è ironia, è il trionfo del trash made in Europe. Qualcosa che il resto del mondo non ci potrà mai togliere e tantomeno eguagliare. L’Eurovision non passa inosservato perché suscita bellezza o ribrezzo, simpatia o antipatia, odio o amore. A volte i due estremi anche nello stesso momento. L’Eurovision è questo e tanto altro, racchiuso in quattro ore di programmazione… e magari alla fine vince il paese che è giunto alla competizione per un errore di battitura: l’Australia.

venerdì 28 marzo 2025

ITALIENAREN – Montagna

Sciare è meraviglioso. Non è però uno sport per tutti. Non mi riferisco soltanto all’aspetto economico con costi elevati per accaparrarsi l’equipaggiamento adeguato, i vestiti giusti, il viaggio nella località sciistica e l’acquisto dello skipass. Mi riferisco anche alla sofferenza collegata agli sci. È una pena che chi si dedica a questo sport deve decidere se tollerare o meno. Trasportare tutto il necessario e la fase preparatoria prima di lanciarsi finalmente sulla pista innevata sono operazioni non da poco, che richiedono pazienza e una certa dose di dolore fisico.
Ho da poco sperimentato tutto ciò sulla mia pelle dopo un fine settimana lungo passato in montagna con la mia famiglia. A dire il vero, in Svezia, la parola montagna dovrebbe essere scritta tra virgolette. Al mio arrivo alla base dell’impianto di risalita, infatti, alzo gli occhi per seguire con lo sguardo il percorso della pista e invece di trovarmi un muro di montagna trovo la cima perfettamente visibile a occhio nudo. Le Fjällar svedesi non sono molto alte, spesso si aggirano attorno ai 300 o 500 metri sopra il livello del mare. Solo molto a nord, dopo molte ore di viaggio si raggiungono i 1000-1400 metri. Le Fjällar sono dunque delle collinette che di primo acchito mi provocano sempre una lacrima di nostalgia perché mi fanno ripensare ai colli dietro casa mia in Italia dove si coltiva l’uva e perché mi sbattono in faccia il duro confronto con le Dolomiti.
Mi asciugo la lacrimuccia e inforco gli sci. Basta con le solite lamentele da italiano medio. È ora di darsi da fare. Salgo in cima e faccio la prima discesa. La neve è fresca. La pista è ben curata. La discesa è stimolante. Sorrido soddisfatto ma mi passa subito, appena mi rendo conto di essere già a valle, dopo solo un paio di minuti. Mestamente scivolo verso la seggiovia e mi metto in fila. La coda è lunga e lenta perché molti sciano in questo periodo dell’anno e perché i visitatori sono nordici e vogliono stare larghi lasciando malvolentieri il posto ai vicini. Hanno però il pregio di farmi sentire a casa perché è un po’ quello che succede in autobus o in metropolitana a Stoccolma. Ci metto dunque tra i dieci e i quindici minuti per risalire. I muscoli hanno fatto in tempo a raffreddarsi, ma mi consolo ammirando il panorama rilassante della campagna svedese e lodando le tante pale eoliche disseminate nel territorio. Dopo aver fatto una pista rossa per rompere il ghiaccio – metaforicamente, s’intende – ora mi sento pronto per le piste più impegnative. La difficoltà è di poco maggiore. Ogni volta che qualcuno definisce queste piste “nere”, un altoatesino muore, penso divertito – non per la morte dell’altoatesino, s’intende, anche quella era una metafora.
Nulla però mi toglie la voglia di continuare a sciare e godermi la bella giornata di sole. Col passare delle ore le code agli impianti diminuiscono e posso salire e scendere a ripetizione in modo soddisfacente. La giornata passa in fretta. Mi diverto e ammiro l’abilità svedese nel valorizzare qualsiasi piano inclinato per trasformarlo in una pista da sci apprezzabile. Mi ricorda molto quelle poche rovine romane fuori dai confini italiani trattate giustamente come un patrimonio storico e culturale da preservare con cura.
Nonostante sia felice e grato di poter sciare, – ho sognato a occhi aperti di poterlo fare prima di arrivare qui e so che stanotte lo sognerò a occhi chiusi – rimango dell’idea che sciare sia una sofferenza, ma anche tanto altro. È uno sfogo fisico, è contemplazione della natura, è un attimo di meditazione soli con sé stessi, è libertà al vento che ti sferza la faccia, è velocità che ti fa sfrecciare sulla neve fresca. Infine, sciare è anche sollievo, soprattutto quando al termine della giornata arrivi a casa e ti sfili gli scarponi dai piedi indolenziti. 

venerdì 10 gennaio 2025

ITALIENAREN – Ghiaccio

La squadra di pattinaggio artistico nazionale volteggia sul ghiaccio con precisione e coordinazione invidiabili. Ammiro estasiato i loro movimenti eleganti che seguono l’esercizio provato e riprovato mille volte in allenamento. La loro professionalità e precisione è incredibile. Gli artisti eseguono davanti ai miei occhi piroette perfette, tripli axel fenomenali, avvitamenti da capogiro. Tutto meraviglioso. A bocca aperta assisto a uno spettacolo strepitoso. Non posso far altro che sorridere inebetito e applaudire con entusiasmo.
L’infermiera però mi ferma e mi ricorda di non agitarmi troppo. Mi rassicura che l’ortopedico mi visiterà a breve. Devo riposare nella mia condizione malconcia. Mi sa che la morfina che mi hanno dato contro il dolore sta facendo brutti scherzi al cervello perché quello che vedevo andare avanti e indietro non era uno spettacolo di pattinaggio artistico ma il personale dell’ospedale, indaffarato a curare ogni paziente che è caduto e si è rotto qualche osso nell’ultima settimana. La maggioranza dei degenti sono anziani, ma anche qualche giovane e il reparto è pieno. Le statistiche d’altronde parlano chiaro: ci sono state 2,2 cadute dovute a ghiaccio e neve per 1000 abitanti dall’inizio dell’inverno e i costi per la sanità sono già saliti a 116 milioni di corone solo per la regione di Stoccolma[1].
Considerando che la stagione è solo iniziata e se fuori dalla finestra guardo il palaghiaccio che si è esteso a tutta la città, è meglio cercare di tutelarsi. I ramponcini da attaccare al tacco delle scarpe, acquistabili in farmacia, sembrano essere la migliore opzione, se non si ha paura di passare per dei matusa o dei maniaci del controllo. In alternativa si può sempre adottare l’andatura a pinguino impaurito che tiene l’uovo sotto ai piedi quando si cammina. Si può fare slalom tra le lastre di ghiaccio grandi come campi da calcio e le pozze d’acqua così torbide e gelida da permettere al mostro di Loch Ness di nascondersi. È bene studiarsi bene il percorso da seguire preferendo il ben più spazzato asfalto della strada alle scivolose mattonelle dei marciapiedi. Essere investiti da un’auto appare come un rischio meno grave di quello di cadere rovinosamente col sedere a terra. Conviene sempre prendere la strada più lunga ma più sicura anche se comporta la circumnavigazione del quartiere per evitare le scalinate trasformate in scivolo e il parco in pista da pattinaggio. Non c’è da aver paura se ci si perde perché basta seguire i sassetti sparsi con parsimonia qua e là e fare finta di essere Pollicino. È importante però fare attenzione alla neve fresca infingarda che spesso nasconde lastroni di ghiaccio lucidi come la pelata di Mastro Lindo ma che non lasciano il suo sorriso in faccia. In ogni caso non bisogna mai avere fretta.
Per fortuna la mia caduta sulle scale della scuola di qualche giorno fa non mi è costata una visita all’ospedale e l’allucinazione da morfina è solo un’invenzione, ma la prendo come un monito a fare più attenzione in futuro, nella speranza di non aver scritto la promessa sul ghiaccio.


[1] https://www.mynewsdesk.com/se/liberalerna-region-stockholm/pressreleases/baettre-snoeroejning-och-avgiftsfria-broddar-foer-att-minska-antalet-halkolyckor-dags-att-prioritera-tryggheten-paa-stockholms-gator-3363135?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=Alert&utm_content=pressrelease#:~:text=Enligt%20statistik%20fr%C3%A5n%20regionens%20h%C3%A4lso,is%20under%20vinterm%C3%A5naderna%20f%C3%B6rra%20%C3%A5ret.