Pensavo di essermene liberato. Che
stupido. Invece lei ritorna. Sempre.
Un giorno di sole dopo tanta nebbia cammino per il parco cittadino durante una pausa pranzo. Sapevo che sarebbe arrivata, ma non l’aspettavo proprio in quel momento mentre una leggera brezza mi rinfrescava la faccia dopo una mattinata pesante passata coi pazienti che presto non saranno più miei. Eppure lei è arrivata. Quasi in punta di piedi. Inizia sempre così.
L’ho sentita strisciare, lenta ma inesorabile, tre i piedi e le gambe. Sembrava il rumore delle foglie mosse dal vento sul prato, ma poi ho capito che era lei. Prima l’ho percepita nell’intestino e dopo qualche minuto è arrivata nello stomaco. Per una buona oretta ha fatto il bello e soprattutto il cattivo tempo nel mio tratto intestinale, prima di salire al petto. Nei polmoni, per la precisione. Mi ha tolto l’aria e subito dopo ha fatto un tuffo al cuore.
Ho sollevato la maglietta per controllare e l’ho vista serpeggiare sottopelle. Orribile. Ma reale. Viva. Una specie di Alien, nera e brutta, che s’insinua dentro e non mi lascia in pace finché non ottiene quello che vuole: indebolirmi, sbilanciarmi e infine annientarmi. Vorrei impedirglielo ma non posso fare niente. Non posso fermarla.
La bestia mi prende i muscoli delle spalle e del collo. Li contorce e li immobilizza. Li lascia inermi e doloranti. Ovunque passa lascia segni che non dimentico. Vedo la sua coda squamosa uscire dalla bocca. Mi costringe a sputare qualcosa di amaro che mi era rimasto nella saliva. Poi prosegue la sua missione e gli occhi si arrossano, s’irritano e lacrimano.
Solo quando mi dolgono le tempie, quando le sento spremute e infilzate dagli artigli delle sue zampe, mi accorgo che il peggio deve ancora arrivare. Tutto quello che è appena successo è solo un solletico. La sento infatti farsi largo nel foro occipitale, alla base dell’osso cranico. È lì che capisco di essere definitivamente fottuto.
La bestia trova nel cervello il suo habitat ideale, la sua cuccia calda dalla quale non la schioderò tanto facilmente. Lì, nell’antro della bestia, depone le sue uova che nel giro di pochi minuti si schiudono e si diffondono libere nella mia testa. I pensieri e le insicurezze corrono come bambini indisciplinati in un giardino scolastico. A cercare di fermarli c’è solo un giovane insegnante insicuro e frustrato che corre alla rinfusa da una parta all’altra senza ottenere ordine.
Intanto la giornata prosegue e io sono arrivato a casa. Ora le piccole insicurezze che la bestia ha liberato sono diventate adolescenti convinzioni che credono che il mondo faccia schifo e che loro non potranno mai farcela. Mi gettano fumo negli occhi e offrono solo soluzioni estreme. Il cibo non ha sapore e appena lo infilo in bocca viene fatto sparire dalla bestia famelica che si è appena risvegliata irrequieta dopo il sonnellino pomeridiano. Io invece sto cercando di prendere sonno, ma la bestia non ci sta e mi tiene le palpebre aperte. Mi racconta i suoi propositi per il futuro. Mi presenta i progetti strampalati, dove non c’è spazio per me. Mi copro le orecchie con le mani ma non serve a niente. La bestia urla da dentro. Va avanti così per tutta la notte. Giusto per essere sicura di avermi vomitato in faccia tutto quello che non volevo sentirmi dire. Alla fine io sono esausto, lei soddisfatta.
Con le borse sotto agli occhi, per tutta la mattina cerco di farle fare le valige, ma la bestia non ci pensa neanche e continua a tartassarmi le orecchie con le sue congetture. Per tentare di non ascoltarla finisco per distrarmi dal lavoro, isolarmi dagli altri e chiudermi in me stesso.
Allora corro più che posso così lei fa fatica a starmi dietro. Gioco con i miei figli, parlo con mia moglie, incontro i miei amici e lei non ha più voce per sovrastare le conversazioni. So che non riuscirò mai a fermarla del tutto, ma almeno così la rallento e le tolgo il fiato. La sento di meno e mi dà meno fastidio. La vedo rannicchiata all’angolo della mia mente e mi accorgo che non è così forte come sembrava. Forse ha solo bisogno di essere ascoltata e non taciuta o contraddetta. Non mi metterò certo a risvegliarla o a confortarla, ma almeno la lascio stare. Col tempo, chissà, magari diventeremo anche amici.
Un giorno di sole dopo tanta nebbia cammino per il parco cittadino durante una pausa pranzo. Sapevo che sarebbe arrivata, ma non l’aspettavo proprio in quel momento mentre una leggera brezza mi rinfrescava la faccia dopo una mattinata pesante passata coi pazienti che presto non saranno più miei. Eppure lei è arrivata. Quasi in punta di piedi. Inizia sempre così.
L’ho sentita strisciare, lenta ma inesorabile, tre i piedi e le gambe. Sembrava il rumore delle foglie mosse dal vento sul prato, ma poi ho capito che era lei. Prima l’ho percepita nell’intestino e dopo qualche minuto è arrivata nello stomaco. Per una buona oretta ha fatto il bello e soprattutto il cattivo tempo nel mio tratto intestinale, prima di salire al petto. Nei polmoni, per la precisione. Mi ha tolto l’aria e subito dopo ha fatto un tuffo al cuore.
Ho sollevato la maglietta per controllare e l’ho vista serpeggiare sottopelle. Orribile. Ma reale. Viva. Una specie di Alien, nera e brutta, che s’insinua dentro e non mi lascia in pace finché non ottiene quello che vuole: indebolirmi, sbilanciarmi e infine annientarmi. Vorrei impedirglielo ma non posso fare niente. Non posso fermarla.
La bestia mi prende i muscoli delle spalle e del collo. Li contorce e li immobilizza. Li lascia inermi e doloranti. Ovunque passa lascia segni che non dimentico. Vedo la sua coda squamosa uscire dalla bocca. Mi costringe a sputare qualcosa di amaro che mi era rimasto nella saliva. Poi prosegue la sua missione e gli occhi si arrossano, s’irritano e lacrimano.
Solo quando mi dolgono le tempie, quando le sento spremute e infilzate dagli artigli delle sue zampe, mi accorgo che il peggio deve ancora arrivare. Tutto quello che è appena successo è solo un solletico. La sento infatti farsi largo nel foro occipitale, alla base dell’osso cranico. È lì che capisco di essere definitivamente fottuto.
La bestia trova nel cervello il suo habitat ideale, la sua cuccia calda dalla quale non la schioderò tanto facilmente. Lì, nell’antro della bestia, depone le sue uova che nel giro di pochi minuti si schiudono e si diffondono libere nella mia testa. I pensieri e le insicurezze corrono come bambini indisciplinati in un giardino scolastico. A cercare di fermarli c’è solo un giovane insegnante insicuro e frustrato che corre alla rinfusa da una parta all’altra senza ottenere ordine.
Intanto la giornata prosegue e io sono arrivato a casa. Ora le piccole insicurezze che la bestia ha liberato sono diventate adolescenti convinzioni che credono che il mondo faccia schifo e che loro non potranno mai farcela. Mi gettano fumo negli occhi e offrono solo soluzioni estreme. Il cibo non ha sapore e appena lo infilo in bocca viene fatto sparire dalla bestia famelica che si è appena risvegliata irrequieta dopo il sonnellino pomeridiano. Io invece sto cercando di prendere sonno, ma la bestia non ci sta e mi tiene le palpebre aperte. Mi racconta i suoi propositi per il futuro. Mi presenta i progetti strampalati, dove non c’è spazio per me. Mi copro le orecchie con le mani ma non serve a niente. La bestia urla da dentro. Va avanti così per tutta la notte. Giusto per essere sicura di avermi vomitato in faccia tutto quello che non volevo sentirmi dire. Alla fine io sono esausto, lei soddisfatta.
Con le borse sotto agli occhi, per tutta la mattina cerco di farle fare le valige, ma la bestia non ci pensa neanche e continua a tartassarmi le orecchie con le sue congetture. Per tentare di non ascoltarla finisco per distrarmi dal lavoro, isolarmi dagli altri e chiudermi in me stesso.
Allora corro più che posso così lei fa fatica a starmi dietro. Gioco con i miei figli, parlo con mia moglie, incontro i miei amici e lei non ha più voce per sovrastare le conversazioni. So che non riuscirò mai a fermarla del tutto, ma almeno così la rallento e le tolgo il fiato. La sento di meno e mi dà meno fastidio. La vedo rannicchiata all’angolo della mia mente e mi accorgo che non è così forte come sembrava. Forse ha solo bisogno di essere ascoltata e non taciuta o contraddetta. Non mi metterò certo a risvegliarla o a confortarla, ma almeno la lascio stare. Col tempo, chissà, magari diventeremo anche amici.
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