Non lo fare, penso. Distolgo lo sguardo cercando di pensare
ad altro, per distrarmi dal dolore che mi provoca solo osservando la scena. Lei
lo fa lo stesso. La mia curiosità è stata troppo forte e ho comunque guardato.
La mia faccia cerca di non mostrare orrore ma traspare comunque un senso di disagio nei miei occhi. Per fortuna lei non se n’è accorta perché è troppo concentrata sul suo intento.
Dopo essersi infilata una matita prima nell’occhio destro e poi in quello sinistro, ha finito. Mi sbaglio. Dalla borsa estrae una pinzetta che sembra più una tenaglia da carpentiere per la grandezza delle ganasce. La ragazza non si fa remore e grazie allo strumento metallico toglie con forza tutto ciò che c’è in eccesso dalla sua superficie corporea. Io metto le mani davanti alla faccia ma scruto con un misto di fascino e di terrore le sue mosse tra lo spazio creato dalle mie dita.
Non può andare oltre, mi dico, confidando nella sua volontà di non farsi ulteriormente del male. Invece ora la ragazza si frusta la faccia, prima le guance e la fronte con un pennello più ampio e fortunatamente più morbido, dopo le labbra con una bacchetta rigida che le martoria la bocca.
Perché lo fa? Mi chiedo. Basta, invoco pietà. Le non concede la grazia, né a me né a sé stessa, e passa all’atto finale, il più terribile di tutti. Con la mano destra afferra saldamente il peggior strumento di tortura che l’essere umano abbia mai inventato. Un attrezzo metallico con un’estremità simile all’impugnatura delle forbici e con l’altra che termina in due ganasce semicircolari che si sovrappongono. È il temibilissimo piegaciglia. Sembra a tutti gli effetti uno strumento medievale e se fosse davvero esistito all’epoca, Dante Alighieri lo avrebbe sicuramente collocato nelle mani di qualche dannato dei gironi infernali. È un attrezzo che non augurerei nemmeno al mio peggior nemico, ma lei, la ragazza che sto ormai fissando da qualche minuto, lo usa con una semplicità e nonchalance da mettere i brividi. Maneggia l’arnese con destrezza ed esperienza invidiabili e in un batter d’occhio le ciglia sono piegate alla perfezione.
Nonostante possa sembrare la trama di un film dell’orrore, in realtà è solo la descrizione di una ragazza che si sta truccando. Io sono comunque impressionato. Non sono sicuro di poter andare avanti a guardare. Per fortuna è arrivata la mia fermata. Eh, già, perché tutto il darsi da fare della ragazza sarebbe normalissimo se non fossimo seduti su un vagone della metropolitana in movimento.
A Stoccolma però è una procedura standard. Succede quotidianamente di imbattersi in queste sinuose amazzoni con le loro armi e strumenti di tortura a portata di mano, sia che la metro sia affollata sia che sia vuota. Con uno specchietto in bilico sulla mano sinistra oppure sfruttando il riflesso sui vetri delle finestre o sugli occhiali da sole del dirimpettaio e con il rossetto sulla mano destra si fanno belle durante una corsa in metro. Non si curano però del rischio che una frenata improvvisa del conducente o una spinta involontaria di un altro passeggero possa provocar loro una gita all’ospedale con una matita viola conficcata nell’occhio. Quello sì che sarebbe un vero film horror oppure un nuovo interessantissimo caso neurologico alla Phineas Gage[1].
---
Ecco il link all’articolo su Italienaren - Il lavoratore:
https://italienaren.org/torture/
[1] https://it.wikipedia.org/wiki/Phineas_Gage
La mia faccia cerca di non mostrare orrore ma traspare comunque un senso di disagio nei miei occhi. Per fortuna lei non se n’è accorta perché è troppo concentrata sul suo intento.
Dopo essersi infilata una matita prima nell’occhio destro e poi in quello sinistro, ha finito. Mi sbaglio. Dalla borsa estrae una pinzetta che sembra più una tenaglia da carpentiere per la grandezza delle ganasce. La ragazza non si fa remore e grazie allo strumento metallico toglie con forza tutto ciò che c’è in eccesso dalla sua superficie corporea. Io metto le mani davanti alla faccia ma scruto con un misto di fascino e di terrore le sue mosse tra lo spazio creato dalle mie dita.
Non può andare oltre, mi dico, confidando nella sua volontà di non farsi ulteriormente del male. Invece ora la ragazza si frusta la faccia, prima le guance e la fronte con un pennello più ampio e fortunatamente più morbido, dopo le labbra con una bacchetta rigida che le martoria la bocca.
Perché lo fa? Mi chiedo. Basta, invoco pietà. Le non concede la grazia, né a me né a sé stessa, e passa all’atto finale, il più terribile di tutti. Con la mano destra afferra saldamente il peggior strumento di tortura che l’essere umano abbia mai inventato. Un attrezzo metallico con un’estremità simile all’impugnatura delle forbici e con l’altra che termina in due ganasce semicircolari che si sovrappongono. È il temibilissimo piegaciglia. Sembra a tutti gli effetti uno strumento medievale e se fosse davvero esistito all’epoca, Dante Alighieri lo avrebbe sicuramente collocato nelle mani di qualche dannato dei gironi infernali. È un attrezzo che non augurerei nemmeno al mio peggior nemico, ma lei, la ragazza che sto ormai fissando da qualche minuto, lo usa con una semplicità e nonchalance da mettere i brividi. Maneggia l’arnese con destrezza ed esperienza invidiabili e in un batter d’occhio le ciglia sono piegate alla perfezione.
Nonostante possa sembrare la trama di un film dell’orrore, in realtà è solo la descrizione di una ragazza che si sta truccando. Io sono comunque impressionato. Non sono sicuro di poter andare avanti a guardare. Per fortuna è arrivata la mia fermata. Eh, già, perché tutto il darsi da fare della ragazza sarebbe normalissimo se non fossimo seduti su un vagone della metropolitana in movimento.
A Stoccolma però è una procedura standard. Succede quotidianamente di imbattersi in queste sinuose amazzoni con le loro armi e strumenti di tortura a portata di mano, sia che la metro sia affollata sia che sia vuota. Con uno specchietto in bilico sulla mano sinistra oppure sfruttando il riflesso sui vetri delle finestre o sugli occhiali da sole del dirimpettaio e con il rossetto sulla mano destra si fanno belle durante una corsa in metro. Non si curano però del rischio che una frenata improvvisa del conducente o una spinta involontaria di un altro passeggero possa provocar loro una gita all’ospedale con una matita viola conficcata nell’occhio. Quello sì che sarebbe un vero film horror oppure un nuovo interessantissimo caso neurologico alla Phineas Gage[1].
Ecco il link all’articolo su Italienaren - Il lavoratore:
https://italienaren.org/torture/
[1] https://it.wikipedia.org/wiki/Phineas_Gage