mercoledì 12 aprile 2023

RACCONTI – Da grande

Sono un adulto, sono un adulto, sono un adulto, sono un adulto…
Mi capita spesso di ripetermi questa frase, come un mantra, per ricordarmi che ormai sono maggiorenne da parecchi anni. Per ricordarmi che devo prendere le mie responsabilità. Non solo le mie a dire il vero, ma anche quelle di altre due creature di cinque e sette anni. Molte volte guardo quelle due piccole pesti che mi tengono la mano come ancora di salvezza, che implicitamente mi chiedono certezze e che mi cercano nei momenti di difficoltà. No, non è vero: nell'ultimo caso cercano sempre la mamma. Osservo quei due piccoli scalmanati che scorrazzano per casa, mettendola spesso sottosopra e a volte quasi a ferro e fuoco. Anche questo fa scattare il mio mantra perché mi ricorda che la casa è per metà mia, così come il mutuo da pagare.
Sono un adulto, sono un adulto, sono un adulto, sono un adulto…
Da tempo non posso più ritirarmi sotto l'ala protettrice dei miei genitori. Devo fare le mie scelte. Devo seguire le mie strategie. Devo lavorare per portare a casa il pane, anche se in realtà non lavoro in un panificio e non devo passare al supermercato ogni giorno. Devo ingoiare rospi amari, piegarmi ai compromessi della vita e pagare le tasse.
Sono un adulto, sono un adulto, sono un adulto, sono un adulto…
A volte il mantra non basta e per convincermi che ormai sono grande devo anche comportarmi tale. Oggi infatti vado all'opera a vedere un musical. Il protagonista è un barbiere pieno di rabbia e rancore per aver subito un grosso torto e accecato dalla vendetta sgozza chiunque passi per il suo studio. Grazie a questi omicidi, la coprotagonista risolleva le sorti del suo ristorante trasformandolo in un covo di inconsapevoli cannibali. In due parole: Sweeney Todd. Una storia per niente adatta ai bambini, vero? A leggerla così, non sembrerebbe neanche adatta a qualcuno sano di mente. Io però la trovo geniale e molto profonda. Inoltre mi fa sembrare ancora di più un adulto.
Per andare all'opera serve anche il vestito giusto. Dopo aver cercato sul fondo del mio armadio trovo il necessario: completo con pantaloni, giacca, camicia e cravatta. Nello sgabuzzino ritrovo come un reperto archeologico il cappotto lungo delle grandi occasioni. Tossisco un paio di volte dopo averlo spolverato e me lo infilo. Incredibile, dopo molti anni è ancora come nuovo. Eh certo, perché è nuovo dato che l'avrò usato sì e no due o tre volte, delle quali una nella finzione scenica del teatro. Dalla scatola più nascosta della scarpiera estraggo le scarpe di pelle nere luccicanti. Appena le infilo ai piedi so già che mi verranno i calli, ma è un sacrificio necessario per essere uomini con la U maiuscola.
Ora sono pronto. Credo che andrà tutto bene. Dovrò solo trattenere il respiro per tre orette e cercare di non fare movimenti bruschi per non strappare i pantaloni a livello del cavallo e la giacca sul retro sulle spalle. Mi sento un pinguino ricoperto di cellophane che cammina per la prima volta su una lastra di ghiaccio.
Mi guardo riflesso sullo specchio dell'ascensore e i peli bianchi della barba sembrano ancor più bianchi, i dolori alle ginocchia e alla schiena si manifestano con una smorfia di sofferenza sulle labbra e la postura di tutto il corpo assume le sembianze del bastone della scopa che mi sembra di aver infilato nel sedere. Trattengo le lacrime se penso che di solito mi vesto con i jeans, maglietta, maglione e scarpe da ginnastica. Sarà che sono vestiti anonimi, fuori moda e sciatti, sarà che i miei figli sono più eleganti di me quando vanno a rotolare nel fango a scuola, ma almeno non devo soffrire e sto comodo.
Ributto l'occhio nello specchio e mi spavento. Cazzo, sembro proprio un adulto! Cosa devo fare adesso? D'impulso faccio l'unica cosa che mi sembra adeguata nonostante mia moglie mi dia un ceffone in testa: mi metto un dito nel naso e sorrido come un ebete… così, giusto per compensare e non sembrare troppo adulto.

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