lunedì 20 febbraio 2023

RACCONTI – La chat

In principio le intenzioni erano buone. In principio era un’iniziativa lodevole. In principio sembrava una buona idea. Come quando da ragazzino, alle prime esperienze con la vita, apri la porta a quei cordiali e simpatici signori in pantaloni e giacca grigia, camicia bianchissima e cravatta azzurra che tengono un libro spesso in mano e ti chiedono se hai un minuto per parlare di Gesù.
Così come quella volta apri ingenuamente la porta, ora altrettanto stupidamente accetti di far parte della chat dei genitori dell’asilo di tuo figlio. Che male c’è? Pensi, ma ti sbagli.
 
Ai primi messaggi sono tutti gentili e propositivi. Ci si scambia consigli su cibo e vestiti, informazioni utili sugli orari di apertura e chiusura della scuola, suggerimenti su libri e cartoni da far vedere ai piccoli. Che bello, pensi, ti senti parte di una comunità e di un gruppo che ha uno scopo comune: il benessere psicofisico dei propri figli.
In realtà ti rendi presto conto che assomiglia di più a una tribù, primitiva e istintiva, nella quale non si sa più chi siano i genitori e chi i bambini. Comincia infatti a materializzarsi lo scenario da “Il signore delle mosche” di William Golding, con fazioni, faide e insurrezioni. In breve tempo arrivano le prime lamentele: “I bambini guardano troppa televisione”. Va beh, pensi, è un classico e sei d’accordo anche tu. Non c’è niente di sbagliato a lamentarsi delle cose che non vanno bene all’asilo se lo scopo è quello di migliorare l’ambiente. Non è finita qui, però.
 
Il numero di messaggi aumenta costantemente. Se prima ricevevi quattro o cinque messaggi al giorno, ora te ne arrivano una dozzina e a volte anche di più. Va beh, pensi, sono cose interessanti. Voglio sapere anch’io cosa succede a mio figlio a scuola e che cosa ne pensano gli altri genitori. Siamo ancora una tribù unita. Poi s’insinua il dubbio che tu abbia sbagliato qualcosa.
“Perché guardano Paw Patrol? Non voglio che mio figlio guardi quel cartone!”
Perché tanto astio? Ti chiedi. Chi fa questa domanda, l’art director dei PJ masks o di Peppa Pig? Non capisci.
 
E intanto i messaggi ricevuti aumentano: cinquanta al giorno.
“Perché non portano mai i bambini a Skansen (un parco dall’altra parte della città, N.d.A.)?”
Elementare, genio di un Watson che non sei altro. Perché l’ingresso al parco costa, il viaggio richiede quindici minuti di metro e un cambio con l’autobus o il tram nella zona più caotica della città e soprattutto perché venti bambini di quattro anni, anche se sotto osservazione delle maestre esperte della scuola, finirebbero per essere sbranati dagli orsi o per farsi crescere dai lupi. Sai com’è quella cosa strana, ciccio? A fine giornata ci tieni a riabbracciare tuo figlio sano e salvo. Portateli da solo i figli a Skansen.
Vorresti scrivere tutto questo di getto, ma ti tieni il prurito alle mani e lasci correre.
 
Siamo a centoventi messaggi al giorno.
“Mio figlio torna a casa che ha fame perché ha mangiato poco.”
“Mio figlio torna a casa coi rigurgiti perché ha mangiato troppo.”
“Non ci spiegano abbastanza quello che fanno a scuola!!1!”
“Perché fanno bere troppo latte?”
“Perché fanno bere troppo poco latte?”
“Ma come si fa ad andare fuori con questo freddo?”
“Non vanno mai fuori!”
— Asilo ti amo. Mi sento confuso.
— Asilo ti amo. Devo stare un po’ da solo.
— Asilo ti amo. Esco or ora stanco dal lavoro e farò ritardo.
— Asilo ti amo. Non mi voglio sentire anche queste lagne da casalingh* disperat*.
— Asilo ti amooooooo…
 
Stressano il personale in tutti i modi possibili con richieste e lamentele assurde e poi…
“L’atteggiamento irritato delle maestre è inaccettabile!”
…si sfogano sulla chat dei genitori se ricevono risposte un po’ piccate. Il peggio, però, deve ancora arrivare.
 
Il giorno della riunione tra genitori e maestre all’asilo si avvicina a grandi falcate e sai che ti aspettano giornate di fuoco. Infatti i messaggi salgono a dieci al minuto. Un aumento consistente.
Al flusso continuo di fango c’è ogni tanto una pausa. Ogni tanto, infatti, la chat è utile, quando per esempio i genitori segnalano più velocemente dell’SL (la ditta che gestisce il servizio pubblico a Stoccolma, N.d.A.) la presenza di problemi tecnici con la metropolitana. Allora ha senso restare in questo gruppo, pensi.
 
Ma poi…
“Mio figlio fa piano, Taekwondo, ceramica, Parkour e parla cinque lingue, senza contare i sottodialetti della cultura Sami.”
“Mio figlia di tre anni sa già leggere e scrivere… nell’alfabeto latino, cirillico, arabo e geroglifico!”
“I miei gemelli hanno già pubblicato un articolo scientifico su una rivista internazionale di astrologia… hm, intendevo astronomia!”
Se la tirano. Fanno a gara. Come degli ubriaconi al bar cantando le osterie. Ti viene l’istinto di scriverne una nella chat:
— Osteria numero nove. Gli svedesi fan le prove. Fan le prove contro il muro per veder chi l’ha più duro…
Il bimbo più duro, s’intende.
Per fortuna ti trattieni e la canticchi solo nella tua mente. Lasci a loro questa stupida gara a chi ce l’ha più lungo… il curriculum del figlio, s’intende.
 
Senza che te ne accorgi ora ci sono trenta messaggi al minuto.
“Allora, abbiamo una strategia per la riunione di domani con le maestre?”
Settanta messaggi al minuto.
“Io ci tengo a chiarire che il loro approccio pedagogico non è adeguato alle esigenze della mia progenie.”
Novantacinque messaggi al minuto.
Il cellulare si sta fondendo. Non ce la fai più e all’improvviso qualcosa ti salva. L’ippocampo sblocca un ricordo che stimola un sorriso genuino. Per una volta tanto il tuo cervello ti tende una mano. Senti infatti una voce dentro di te… ma non è la tua. È quella di Giampiero Galeazzi alle Olimpiadi di Sidney del 2000.
— La chat deve guardarsi all’esterno dai messaggi della moglie e dal gruppo di amici… ma siamo a 116 messaggi al minuto… e la Svezia che ci fa una gran paura… la chat aumenta il numero dei messaggi: 118, andiamo… 120 messaggi al minuto… andiamo… si guarda a destra, si guarda a sinistra e vince…
Il volume si abbassa un po’ alla volta e rimane in sottofondo.
— vince… la chat dei genitori dell’asilo svedese vince…
Impostazioni in alto a destra.
— e come si dice: è per la leggenda…
Info gruppo.
— questa chat è da campioni…
Disattiva notifiche.
— da imprese storiche…
Disattiva notifiche per…
— che vittoria signore e signori…
Sempre.
— …
Ok.
La chat si zittisce e tu puoi finalmente riprendere a respirare.

mercoledì 15 febbraio 2023

IL LAVORATORE – La sottile linea azzurra

«Guarda papà, il quadro si muove… è cambiato!»
Questa è la vocina emozionata di mio figlio di sei anni. Sembra strano a sentirlo. Sembra una follia che il quadro si modifichi sotto i nostri occhi, ma è vero. Succede se sei nel bel mezzo di un viaggio. Non un viaggio a base di LSD, ma un viaggio in metro immerso nell’arte della Tunnelbana di Stoccolma.
«Perché la linea azzurra della metro è azzurra?» Mio figlio mi incalza con le sue solite domande impossibili.
«Si chiama linea blu.» Non sapendo cosa dire, cerco di dribblare la domanda.
«Non è blu, è azzurra… perché la linea azzurra della metro è azzurra?» Insiste. Io sorrido, ci penso su e ho un’idea.
«Perché è la linea dell’Italia, paese dell’arte!» Lui mi guarda perplesso, così mi spiego meglio. «Hai presente il colore della maglia delle squadre italiane nello sport? Sono azzurre, giusto? Ecco… e l’Italia è anche ricca d’arte, proprio come la linea blu.»
«La linea azzurra, papà!» Lui mi corregge determinato. Io sorrido di nuovo.
«Pensa anche che la linea bl… azzurra della metro inizia da Kungsträdgården. I suoi caratteristici colori verde, bianco e rosso, le riproduzioni di statue antiche e i resti romani esposti la rendono la fermata “italiana”.» Lui annuisce poco convinto... forse perché ha percepito il virgolettato. Io però continuo. «Ma l’arte della linea azzurra è solo all’inizio: pensa alla rosea stazione Rådhuset con le sue enormi colonne all’ingresso delle scale mobili; la fermata marinara di Fridhemsplan, con navi, relitti e rose dei venti; Stadshagen con pannelli che raffigurano diverse gesta sportive con la particolarità che la scena cambia in base all’angolazione dalla quale la si guarda… il quadro che si muove di prima.» Mio figlio ricorda entusiasta. «C’è anche la fermata tutta grigia con spicchi di cielo azzurro a ricordarci che c’è speranza anche nei periodi più bui. Quella è Solna strand. Un tema che ricorre anche a Tensta dove ci sono affreschi con colori vivaci del sole, di abbracci e di colombe per ricordarci valori importanti come quelli di amore, uguaglianza, fratellanza e pace. Non dimenticarli mai, mi raccomando!»
«Sì, papà. Però ora dovremmo…»
«Aspetta, figliolo, non ho finito con l’arte della linea azzurra. Se vai a Rissne, per esempio, trovi illustrazioni e mappe d’espansione territoriale di diversi imperi del mondo antico: dagli egizi all’impero persiano e a quello ottomano, passando per la storia svedese. Ah, c’è ovviamente anche l’impero romano… come ti ho detto questa può essere considerata la linea “italiana” della metro. Poi se cambi ramo e ti fermi a Solna centrum puoi vedere affreschi sulla natura e sugli effetti negativi dell’uomo su di essa: per esempio, foreste disboscate e industrie che inquinano i cieli e le acque. Ti stiamo lasciando proprio un brutto mondo, piccolino. Mi spiace, ma non è che i miei predecessori ce ne abbiano lasciato uno tanto migliore, eh…»
«D’accordo, papà, ma è ora di…»
«Hallonbergen! A proposito di bambini e futuro. Ti ho parlato di questa fermata? Potresti averla creata tu con le matite colorate e i pastelli in mano. Qui disegni fanciulleschi di ogni tipo prendono forma su sfondo bianco come se le pareti fossero un enorme foglio di carta.» Mio figlio vorrebbe dirmi qualcosa ma non lo lascio parlare. «A me piace molto anche Näckrosen: la chiamo la stazione dei sassetti. Come in uno stagno ce ne sono ovunque e vanno a formare tartarughe, istrici e figure umane. Infine, troviamo Akalla… figlio di Akollo, fece una kalla di kelle di kollo…» Io rido sotto i baffi come un cretino, mio figlio non capisce. Non posso dargli torto. Spesso non mi capisco neanche io. Mi schiarisco la voce, mi ricompongo e spezzo l’imbarazzo. «Questa stazione è tutta gialla con qualche piastrella decorata a temi sociali quali l’emancipazione femminile e le aspettative e pressioni esasperate dei nostri ruoli nella società moderna. Ne riparliamo quando sarai più grande.»
«Tutto molto bello, papà, però…»
«Ah, quasi dimenticavo: si possono fare i tour guidati sull’arte, non solo della linea azzurra, ma di tutte le linee della Tunnelbana. Su internet si trovano informazioni e orari (konst.sl.se). Bene, ora puoi dirmi tutto, patatino!»
«Papà… questa era la nostra fermata!»
Non faccio in tempo ad alzarmi… dörrarna stängs – Le porte si chiudono – e noi restiamo dentro. Dovremo aspettare la prossima fermata e tornare indietro. Arriveremo tardi per cena.
 
---
Ecco il link all’articolo su Il lavoratore:
https://italienaren.org/la-sottile-linea-azzurra/

mercoledì 8 febbraio 2023

IL LAVORATORE – Settimane e buoi dei paesi tuoi

Io sono un bue.
A destra, a sinistra, avanti e indietro ne vedo tanti altri, almeno duecentoventidue.
Lavoro e sgobbo a testa bassa come un matto dalla mattina alla sera. Non so che ora o che giorno sia. Non mi trovo in un feudo mitteleuropeo dell’Alto Medioevo ma in Svezia nell’anno domini 2023. Eppure io continuo a tirare avanti il carro senza sosta. A volte è il mio, spesso quello degli altri. Avanti e indietro aro il mio campo e faccio il mio lavoro. Non mi fermo mai. Tanto fuori è sempre buio e freddo. Sono stanco, sono stufo e mi fanno male le spalle ma io non smetto di tracciare solchi sul terreno gelato e intanto sogno il caldo e l’ozio estivo sui grandi prati verdi svedesi.
 
Da gennaio a fine marzo ogni anno in Svezia è così che funzionano le oxveckorna (oxe=bue, veckorna=settimane), nelle quali uomini e donne si trasformano in buoi. O almeno così ho sempre immaginato che fosse per me, i miei colleghi e i miei amici. Dopo il riposo dei giorni di mezzo (personale e tolkeniana traduzione dei mellandagarna, i giorni tra Santo Stefano e San Silvestro), gli eccessi alimentari natalizi e le spese folli per i regali è il momento di lavorare, risparmiare e tornare alla quotidianità. Una routine fatta di una serie interminabile di giorni lavorati senza particolari feste o giorni rossi (eccetto per chi si prende sportlov con i figli quando la scuola è chiusa per una settimana in febbraio). Un trantran ininterrotto fatto di diete, strette norme alimentari e regolare esercizio fisico per cercare di rientrare in forma per la prova costume. Bisogna però fare i conti con le mandrie di buoi che si ammassano in gennaio in palestra e che non lasciano posti liberi. Mandrie che poi si rifugiano nelle stalle già a metà febbraio dopo le prime faticose pascolate, dimenticando i buoni propositi di Capodanno.
 
Dopo Pasqua arriva la primavera e per fortuna da lì in poi sarà tutto in discesa fino alle vacanze estive. Infatti, un paese secolarizzato come la Svezia, dove la percentuale di atei è molto elevata, si trasforma magicamente in fervente cristiano e festeggia qualsiasi ricorrenza religiosa le possa regalare giorni di ferie per godersi le giornate più miti. E allora via con giorno rosso il Venerdì Santo e via col ponte lungo da giovedì a domenica durante l’Ascensione… e pensare che questi giorni non sono festivi neanche in Italia. Poi non si può ovviamente dimenticare i classici cavalli di battaglia del primo maggio e del 6 giugno, festa nazionale svedese. In breve tempo, dunque, la primavera diventa un formaggio gruviera, tanto bucherellato quanto amato e tutti questi giorni festivi spezzettano le settimane lavorative facendo prender fiato ai buoi finché si arriva al tanto atteso Midsommar, la festa di mezz’estate di giugno. Infine a luglio si spezzano anche le catene dei buoi e liberi tutti… fino ad agosto, quando iniziano le nuove oxveckorna autunnali che si protraggono fino a Natale e completano il ciclo.
 
Ora però basta sognare, siamo solo in febbraio. Una frustatina mentale mi colpisce sul sedere e io torno a lavorare a testa bassa come un mulo… hm, un momento, ma non ero un bue?
 
---
Ecco il link all’articolo su Il lavoratore:
https://italienaren.org/settimane-e-buoi-dei-paesi-tuoi/

mercoledì 1 febbraio 2023

RACCONTI – In treno

Sei in piedi e aspetti.
Senti il rumore in lontananza. Vedi una luce in fondo al tunnel.
Arriva la prima folata che ti accarezza i capelli. Poi il vento aumenta e tutta l’aria spostata dalla massa in avvicinamento ti travolge un po’ alla volta. Senti che il treno sferraglia e, uno alla volta, i vagoni ti passano davanti, prima velocemente, poi sempre più lentamente, fino a fermarsi.
Le porte si aprono. L’altoparlante annuncia la fermata e la destinazione. Sali. Le porte si richiudono. Inizia così il tuo viaggio.
A volte il viaggio è lungo, a volte è breve. Nei vagoni fa caldo, sei comodo e non vorresti scendere ma arriva la tua fermata e devi scendere per andare a lavorare. Si gela, hai mal di pancia, ti scoppia la testa e quello che vorresti fare e scendere per rifiatare ma vuoi anche tornartene a casa il prima possibile per riposare. Così resti seduto fino all’ultima stazione.
A volte il vagone è vuoto, a volte è pieno. C’è poca gente di notte, ti senti indifeso e in pericolo e vorresti che ci fossero altre persone per farti stare più tranquillo. La mattina alle otto è invece pienissimo con persone che spintonano, puzzano o ti alitano in faccia e l’unica cosa che speri è che si svuoti un po’ alla prossima fermata così da poterti sedere comodamente.
A volte ci trovi facce familiari come quelle di amici, parenti, colleghi e ti senti a casa. A volte ci trovi solo sconosciuti che parlano lingue straniere che ti fanno sentire un estraneo. A volte trovi gente che conosci che non avresti voluto incontrare perché te ne volevi stare tranquillamente seduto a leggere un libro.
A volte sei in piedi sulla banchina, ma il treno non passa più. Aspetti per ore, poi ti distrai un attimo ed eccolo lì che ti accoglie a porte aperte. A volte sei al binario giusto, a volte a quello sbagliato. A volte corri per prendere la metro al volo, ma le porte ti si chiudono in faccia e tutto potrebbe cambiare da un momento all’altro. (Non cadere nel cliché di sliding doors, non dire sliding doors, non citare sliding doors…) Un po’ come nel film sliding doors.
A volte pianifichi tutto il percorso nei minimi dettagli, attendi il vagone giusto, fai i cambi precisi al secondo e alla fine arrivi a destinazione secondo il programma. Spesso invece sbagli direzione, linea, fermata, città. A quel punto ti chiedi se non fosse stato meglio non pensarci troppo e prendere il primo treno che passava e goderti il panorama dal finestrino. Sbagli tutto dunque, ma puoi sempre recuperare. Puoi sempre scendere e tornare indietro finché arrivi dove volevi… o a una fermata che ti piace, anche se non era quella programmata. Alla fine anche la direzione sbagliata ti può portare verso una nuova meta.
A volte scendi in centro, a volte in periferia. A volte non scendi perché rimani bloccato dalla massa di gente davanti a te, dalle relazioni, dal lavoro, dalle ideologie, dalle religioni oppure dalla sfortuna perché la porta è rotta e non hai la forza di cercarne un’altra. A volte non ti accorgi neanche che è arrivato il momento di scendere.
A dire il vero, però, alla fine il capolinea arriva per tutti, sia che sia la fermata che aspettavi sia che tu sia da tutt’altra parte. Così scendi. Il treno torna al deposito. Le luci si spengono e il macchinista riposa per il giorno successivo.