Con uno zainetto in spalla a testa,
un paio di valigie sulla mano destra e una calcolatrice sulla sinistra io e la
mia famiglia ci prepariamo ad atterrare in Italia per una sola settimana di vacanze
invernali. Lo zaino contiene i giochi per i bambini e il tablet per intrattenerli,
le valigie sono mezze vuote per far poi spazio a cibo e regali nel viaggio di
ritorno e infine la calcolatrice è lo strumento essenziale per prevenire conflitti
e faide famigliari. Infatti, secondo una rigidissima legge non scritta, il tempo
da trascorrere per i nostri bambini dai nonni paterni e dai nonni materni deve essere
diviso equamente. Non sono ammessi errori: pena, musi lunghi alla Modigliani e ricatti
emotivi con sensi di colpa incorporati fino alla vacanza successiva. Con le dita
tremanti pigio i tasti della calcolatrice e prego di ottenere il risultato esatto.
Dunque, arriviamo venerdì alle ore 12.20 e ripartiremo il venerdì successivo alle
ore 07.00 del mattino, per un totale di 6 giorni, 18 ore, 40 minuti e 30 secondi.
Dovremo quindi soggiornare 3 giorni, 8 ore, 20 minuti e 15 secondi dai genitori
di mia moglie in provincia di Padova e altrettanti dai miei genitori in provincia
di Udine. Ovviamente vanno contate anche le 2 ore di viaggio, considerato territorio
neutro come l’aeroporto Charles De Gaulle per Tom Hanks nei panni di Mehran
Karimi Nasseri nel film The Terminal. Se tutto ciò vi sembra esagerato è solo perché
probabilmente non conoscete la forza devastante di una nonna che crede che le sia
stato ingiustamente tolto il tempo di spupazzarsi un paio di soffici nipotini
di quattro e sei anni. Io se fossi in voi non tenterei di scoprirlo.
Dopo i baci e gli abbracci di rito
all’aeroporto, il calcolo viene revisionato dai nonni più attentamente della
finanziaria di governo e infine approvato. A quel punto la nostra vacanza può
ufficialmente iniziare. Va da sé che, stando per così poco tempo in una casa ed
essendo pronti a partire anche nel cuore della notte per rispettare tassativamente
la divisione dei giorni, io e la mia famiglia ci sentiamo dei nomadi con la
valigia sempre in mano.
La prima tappa è dai suoceri. Al
contrario di molti stereotipi sono sempre stato amato, apprezzato e trattato da
nababbo. L’ospitalità è impeccabile, la cucina sublime e la cordialità
esemplare. Un difetto, però, c’è. Piccolo, ma visibile, soprattutto quando si è
seduti sulla tavoletta del water. È qualcosa che attiva la parte perfettina e precisina
del mio cervello e innesca comportamenti ossessivi-compulsivi: la carta igienica;
o meglio, il verso nel quale viene srotolata, da sotto… il verso errato. Mentre
medito se iniziare una campagna di conversione alla Torquemada ingaggiando diatribe
verbali che guasterebbero anche i rapporti coniugali oppure se limitarmi ad
agire di nascosto come supereroe della notte invertendo verso l’alto lo srotolamento
della carta igienica, i miei figli irrompono in bagno con la loro solita
delicatezza e rispetto della privacy. Avendolo visto così raramente, i bambini
mi chiedono cosa sia il bidet e prima di ricevere risposta ne rimangono
estasiati usandolo come parco giochi acquatico o nel migliore dei casi come
lavandino per le mani.
Non resta che fare un giro in
centro nella bella città murata, visitare librerie, negozi di vestiti ed
entrare nei caffè (splash!) e nei panifici per abbuffarsi di tramezzini e pizze
al taglio. Mentre i miei figli scorrazzano liberi e infrangono tutte le regole comportamentali
in luogo pubblico scritte dalle nonne italiane da più di un secolo, tipo sbraitare
sguaiati, correre e sudare senza la maglietta della salute addosso, mi guardo
attorno e mi accorgo di un foglietto appeso a uno scaffale: “I libri possono
essere consultati ma non usati come intrattenimento per i bambini”. Ripercorro con
la memoria la mattinata appena trascorsa e mi rendo conto che tutto è normato
da divieti sotto forma di cartelli, targhe e annunci che mi ricordano tanto le
telecamere invadenti di 1984. Soltanto che siamo nel 2023 e io sto cercando di insegnare
ai miei figli a leggere i libri e non i cartelli di divieto assurdi.
Dopo essere stati cacciati da
alcuni negozi a forza di sguardi maligni, scatta la sveglia del timer impostato
all’inizio del viaggio. Dobbiamo lasciare tutto quello che stiamo facendo,
tazzina di caffè in mano, cornetto alla marmellata e possibilmente anche il conto
da pagare agli amici, e partire verso casa dei miei genitori per ristabilire la
parità di ore spese da una parte e dall’altra. In un lampo siamo già in
macchina con le valigie pronte e i bambini già addormentati dopo la prima
curva. Prendiamo l’autostrada e quando arriviamo al casello di destinazione lo
spettro del passaggio dei pagamenti con carta di credito tanto comodi e comuni
a Stoccolma al contante tanto ingombrante e amato in Italia si manifesta in tutto
il suo disagio. Il casellante computerizzato mostra sullo schermo 2 euro e 90
centesimi. Dopo aver controllato in ogni tasca dei pantaloni, del giubbotto e in
ogni portamonete dell’automobile mi accorgo di avere solo 2 euro e 80 in spiccioli
e una banconota da 20 euro nel portafogli. Dietro di me si forma la fila sia di
vetture che di maledizioni nei miei confronti. Non ho scelta. Inserisco la
banconota nella macchinetta automatica che per l’occasione si trasforma
immediatamente in una slot machine per darmi il resto e a metà si blocca perché
si è accorta che la sto insultando. Maledetta intelligenza artificiale che in
Veneto e Friuli riconosce le bestemmie! Da dietro parte il concerto di clacson
mentre io recupero le monetine rimaste e chiedo scusa per la mia insolenza.
Il nostro nomadismo non continua
solo sulle strade italiane, ma anche sotto le lenzuola di notte. No, non sto parlando
del fascino latino di un moderno Casanova ma di una classica nottata da genitore:
la sera comincia nel letto con mia moglie finché il figlio più piccolo si
sveglia per stare con la mamma; io vado dal figlio più grande per non farlo
stare da solo in una stanza nuova; poi il piccolo si trasferisce nel letto
della nonna e il grande si sposta nel nostro letto appena si accorge che la
mamma è libera; a quel punto tento il rientro nel letto matrimoniale e riesco a
dormire fino al mattino… per ben 15 minuti perché sono già le 7 e i ritmi
circadiani dei bambini sono duri a morire e sono rimasti quelli delle giornate
scolastiche.
C’è però un motivo ben preciso che
mi spinge a svegliarmi lo stesso con un sorriso. Oggi è il penultimo giorno in
Italia ed è il momento della spesa lercia di tutti i prodotti che sono
difficili o addirittura impossibili da reperire all’estero. Appena metto la monetina
nel carrello parte la gara di Formula 1 tra le corsie. Senza pietà sorpasso
vecchietti in cerca degli sconti e casalinghe esperte di rapporto qualità/prezzo
e raccolgo i miei tesoretti. In pochi minuti il carrello è pieno di patatine Fonzies,
biscotti Grisbì, vari tipi di cialde Loacker, prodotti Mulino Bianco e Galatine
a pioggia. Taglio il traguardo della cassa e raccolgo l’applauso immaginario del
pubblico. Solo dopo aver pagato mi accorgo della montagna di roba che ho acquistato
e mi preparo mentalmente a lottare con la valigia e a fare i conti con i chili
che la Ryanair ti concede di bagaglio a mano. Contano anche i chili che ho messo
sulla pancia dopo tutte le mangiate? Ad ogni modo, un po’ di spazio lo devo
lasciare anche per il pane alla zucca fatto in casa che con il suo fragrante
odore e il suo dolce sapore sblocca ricordi dell’infanzia come la Madeleine di
Proust.
Mentre torno dal supermercato con
le borse piene di leccornie rifletto sugli ultimi giorni passati a casa. Da tre
anni ero assente dal mio paesello e molte cose sono cambiate: nuove rotonde al
posto dei vecchi incroci, centri commerciali deserti, criminalità triplicata,
fabbriche chiuse e burocrazia asfissiante (ah no, quella è sempre uguale). Mi accorgo
inoltre che il nomadismo ha contagiato anche i negozi: dove prima c’era una tabaccheria
ora c’è un nuovo bar, il quale ha lasciato il suo locale a un parrucchiere; infine
al posto del parrucchiere, della libreria e del fiorista ci sono vetrine vuote
con le serrande abbassate e il cartello affittassi. In poche parole il mio
piccolo paese sembra sempre di più Hill Valley del 1985 alternativo in Ritorno
al Futuro, parte seconda.
In tutti questi cambiamenti, però, una
sola certezza resta: l’amore delle nostre famiglie? Il calore dei vecchi amici?
Sì, anche, ma la vera costante è un’altra: Mastrota che vende materassi in
televisione.
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