La lampada illumina la scrivania dove sono seduto. Il resto della casa è
buio. Mi siedo con cautela e osservo un oggetto che ho appena trovato sullo
scaffale della libreria nel salotto di casa mia e che ora ho appoggiato sul
tavolino. In casa c’è un silenzio inquietante. Tutta la mia attenzione è
concentrata sulla cartelletta rossa che giace sulla scrivania vuota. La polvere
sollevata quando ho appoggiato la cartelletta volteggia in aria alla luce della
lampada e sparisce inghiottita dall’ombra. Il silenzio e il buio del resto
della casa sembrano spingermi verso il tavolo e quella misteriosa cartelletta.
Non ricordo di averla mai vista in vita mia. Non la riconosco per niente. Non
sono stato io ad appoggiarla sul tavolo. Chi l’avrà messa? C’è qualcuno in casa
mia? Per un attimo mi sento mancare e ho bisogno di sedermi per prendere fiato.
Osservo la cartelletta e noto che sull’etichetta c’è scritto il mio nome. Ho
paura. I pensieri nella mia testa vanno a mille, mi tremano le mani, sudo
freddo e il mio cuore batte all’impazzata, ma non ho paura. Io non ho mai
paura, nonostante mi giri la testa e abbia la pelle d’oca. Con lo stomaco in
subbuglio non riesco a concentrarmi. Prendo allora il telecomando sulla
scrivania vicino alla cartelletta misteriosa e spengo la televisione che mi
stava infastidendo con il suo incessante borbottio di sottofondo. La
cartelletta è ancora lì che mi aspetta, perfettamente limpida come se fosse
nuova. Deglutisco e mi faccio coraggio. Mi sfrego le dita delle mani e ora sono
pronto ad aprirla. Tolgo l’elastico che la tiene chiusa e ora posso sollevare la
copertina. Rimango un attimo in silenzio a osservare la cartelletta blu aperta.
All’interno ci sono dei fogli un po’ ingialliti dal tempo ma chiaramente
leggibili. Ho la gola secca, così bevo dell’acqua dal bicchiere appoggiato lì
vicino. In unico sorso finisco il contenuto. Ora sono pronto. Con un gesto
veloce ed efficacie apro la cartelletta. Devo agire con accortezza perché i
fogli sembrano delicati. Non so bene come fare, ma alla fine mi decido: scartabello
freneticamente tra i fogli alla ricerca delle risposte che cercavo da tempo.
Mentre sfoglio i fogli finisco l’ultimo sorso di acqua del bicchiere. Nei fogli
ci sono dei caratteri e dei segni indecifrabili. Ho bisogno degli occhiali. Mi
alzo e corro a prenderli in camera da letto. Li trovo subito appoggiati sul
comodino. In un secondo sono già uscito dalla cucina e sono di nuovo seduto
alla scrivania. Quella breve corsa mi ha messo sete, così bevo ancora dal
bicchiere mezzo pieno d’acqua che avevo lasciato prima sulla scrivania. Mi
tolgo gli occhiali e pulisco le lenti per vederci meglio. Faccio un respiro
profondo e mi risiedo al tavolo. Riprendo in mano la cartelletta e guardo
ancora i fogli all’interno con stupore e un po’ di paura. Nonostante mi sforzi,
non riesco proprio a capire che cosa significhino tutte quelle scritte e
simboli. Eppure mi sembra di leggere il mio nome in ogni foglio presente. Devo
accendere la lampada del comodino per provare a vederci meglio. Osservando la
cartelletta con più luce comincio a vederci più chiaro sulla questione. Forse
comincio a capire quello che sta succedendo. Per un istante mi sento
completamente perso. Sono smarrito nei miei pensieri, nei miei rimorsi e
rimpianti del passato e nelle mie preoccupazioni per quello che succederà una
volta che avrò risolto il mistero di questi fogli bianchi ma pieni di segni
incomprensibili. Se qualcuno mi scattasse una fotografia in questo preciso
momento noterebbe lo stupore misto a terrore disegnato sulla linea irregolare
delle mie labbra. Scorgerebbe il dubbio nei miei occhi scuri e apparentemente
impenetrabili. Comprenderebbe il mio stato d’animo profondamente agitato dalla
trascuratezza della mia capigliatura. Forse ho capito cosa contiene quella
maledetta cartelletta. È solo che non voglio ammetterlo. Ho bisogno di sentirmelo
dire da qualcun altro. Prendo in fretta il telefono cellulare e compongo un
numero. Il telefono squilla un paio di volte e subito dopo risponde la voce
calda di mia moglie che mi saluta. Io non perdo tempo e vado subito al punto,
spiegandole la situazione drammatica. Lei capisce al volo, grazie al suo
insuperabile intuito e alla sua empatia, e mi rassicura. Poi mi accarezza i
capelli e mi dà un bacio amorevole che m’infonde pace e tranquillità
all’istante. Le chiedo ancora una volta se quello che mi ha appena detto
corrisponde alla verità. La guardo negli occhi quando le faccio questa
importantissima domanda. So che non può mentire davanti ai miei grandi occhi
azzurri. Non l’ha mai fatto. Lei conferma senza nessuna traccia di indecisione
o di dubbio. Non posso far altro che crederle. Rincuorato dalla voce di mia
moglie, mi sedetti alla scrivania e presi la cartelletta con mani forti e
decise. È vero, in quel momento non potevo più sbagliarmi. Guardando tutto
dalla prospettiva indicatami da mia moglie, non potevo confondermi. All’istante
tutto ebbe più senso, tutto sembrò al suo posto. I segni e le scritte che prima
sembravano incomprensibili, ebbero tutte il loro significato bene preciso.
Tutte le cifre che prima erano passate davanti agli occhi dell’uomo senza dargli
nessun segnale, acquisirono un valore incontrovertibile: tutto era normale.
L’uomo provato da tutta quella tensione si guardò attorno e tutto riprese forma
e colore nella stanza dove si trovava, a partire dalle tende della cucina, ai
foglietti e i magneti appesi al frigorifero e i piatti sporchi posati sul
lavello. Tutto era nella norma. Le sue analisi del sangue di qualche giorno fa
presentavano valori ottimi, senza nessun problema. Girando quella maledetta
cartelletta verde dal lato giusto l’uomo si rese subito conto dell’incredibile
errore che stava per fare. Per fortuna, da quel momento in poi, la sua vita non
era più in pericolo. L’uomo poté così tirare finalmente un sospiro di sollievo
e finì di bere l’acqua dal bicchiere posato sulla scrivania.
giovedì 27 febbraio 2020
mercoledì 12 febbraio 2020
HORROR ALL’ITALIANA – Voodoo Ken
È notte. Fuori fa freddo. Fulmini
squarciano il cielo. I lampi illuminano la città e i tuoni spaccano i timpani.
La pioggia cade fitta e bagna le coscienze della gente. A parte il temporale
tutto tace.
In un campo nomadi della periferia
della città una donna siede all’interno di una tenda addobbata da drappi, pizzi
e merletti dai colori caldi. Amanda è bellissima e molto appariscente: alta,
bionda, formosa e con tutta la plastica corporea ben distribuita. È la perfetta
bambolina. Osserva i tarocchi sparpagliati sulla tavola, ammira i dipinti
raffiguranti gli astri appesi alle pareti e rimane affascinata dal globo
appoggiato su una mensola. In mano tiene un pupazzo particolare: la statuetta plastificata
di Ken Carson, compagno di Barbie. La donna stringe forte il suo nuovo
giocattolo, perché sa di avere un grande potere in mano.
La medesima sera, nella stessa città,
in un locale esclusivo del centro, un uomo è al bancone del bar. Arturo è
affascinante e molto sicuro di sé: occhi scuri e misteriosi, capigliatura
perfetta, addominali scolpiti e pelle ambrata da Solarium. È il perfetto macho.
Ordina con determinazione due drink, uno per lui e uno per la sua nuova
conquista. Sorride ignaro.
Intanto Amanda, nella tenda del campo
nomadi, armeggia con il giocattolo Ken e lo pone in una posa a teiera: braccio
destro piegato e mano appoggiata sull'anca, braccio sinistro lungo il fianco,
corpo sinuoso. Incredibilmente, a qualche chilometro di distanza, il macho
Arturo si mette nella stessa identica posizione, tra l’imbarazzo della sua
compagna e degli amici. Amanda solletica Ken sotto le ascelle. Arturo esplode
inaspettatamente in una risatina appariscente e incontrollata causata da una
battuta di un amico. Subito si mette una mano davanti alla bocca per cercare di
bloccare lo scoppio gaio e si ricompone sedendosi al suo tavolo. Nel frattempo,
Amanda prende le gambe di Ken e le accavalla molto strette le une alle altre.
Inconsapevolmente, Arturo al bar fa lo stesso e dopo essersene accorto, cambia
immediatamente posizione tenendo le gambe ben larghe. Il macho si guarda
attorno in imbarazzo perché non sa proprio che cosa stia succedendo. In quel
preciso istante, però, si ricorda che la sua ex fidanzata, Amanda, aveva
minacciato di rifilargli un rito Voodoo per tutte le meschinità e i tradimenti
che aveva subito. Arturo va per un attimo nel panico. È vittima di una pazza
squilibrata che per vendetta lo sta rendendo un effeminato. Deve fare qualcosa.
Deve trovare il modo di bloccarla. Ma come? Amanda, invece, non si ferma
davanti a niente e continua imperterrita la sua missione: ora schiaccia senza
pietà gli occhi del bambolotto Ken. Arturo scoppia in un pianto disperato. Il
panico della situazione fa prevalere la parte emotiva e sensibile del suo
carattere che probabilmente lui stesso non pensava neanche di avere. Arturo è
costretto a lasciare il tavolo e a rifugiarsi in bagno, accampando la scusa di
avere una pagliuzza nell’occhio che gli dà fastidio. Si sciacqua la faccia un
paio di volte e cerca di calmarsi. Deve trovare Amanda e fermare il rito Voodoo
contro di lui. Non può permettersi di ridursi in questo stato efebico. Amanda,
però, ha già pronta la prossima mossa: infila uno spillo nella gola del
fantoccio che tiene saldamente in mano. Arturo ritorna al tavolo con la sua
nuova donna e gli amici ed è pronto a inventarsi una scusa per andarsene.
Appena parla, però, si accorge che la voce gli esce con un tono strano: molto acuto,
quasi stridulo. Si blocca subito, sbalordito e inerme davanti ai cambiamenti
che stanno avvenendo nel suo corpo. Ma che gli sta succedendo? Arturo beve un
sorso di cocktail e si schiarisce la voce. Saluta tutti e spiega, con gesti
eccessivamente marcati e molto aggraziati, che deve tornare immediatamente a
casa per prendersi cura delle sue povere piante che stanno soffrendo da troppe
ore senza acqua. Ormai non sa neanche lui quello che sta dicendo. Cerca di
controllare i movimenti e la spigliatezza della parlata, ma è tutto inutile.
C’è solo una cosa da fare: trovare e disarmare Amanda. Un rito Voodoo può
essere stato messo in atto solo al campo nomadi fuori città. È lì che dovrà
andare, ne è sicuro. Lascia la compagnia, prende la macchina e va a tutta
velocità verso il suo obiettivo. Alla radio stanno dando la canzone Macho Man dei Village People e lui prova un’irrefrenabile voglia di ballare che
lo fa quasi sbandare fuori strada. Amanda sorride beffarda e comincia l’atto
finale del suo spettacolo maligno. Gira di schiena il pupazzo giocattolo e
prende lo spillo. Arturo macina chilometri su chilometri e si avvicina. Amanda
si prepara a colpire, pregustando il colpo. Sta per compiere il gesto ma sul
più bello una tenda si scosta, Amanda si blocca e qualcuno entra: è una donna
anziana, di carnagione scura, addobbata da molte collane, amuleti e
braccialetti. La donna si dice pronta per il rito Voodoo richiesto da Amanda.
La chiromante spiega che la bambola Voodoo Ken non è ancora stata “attivata”.
Disorientata da quest’affermazione, Amanda lascia cadere il giocattolo. Solo
ora capisce che quello che ha tenuto in mano fino a ora era solo un pezzo di
plastica e quindi si rende conto di non aver fatto proprio niente ad Arturo. La
chiromante racconta i pericoli della magia nera e vuole ancora accertasi che
sia quello che la sua cliente vuole veramente. Amanda è confusa e piena di
dubbi. All’improvviso si pente e se ne va. Arturo, invece, si è perso. Non
riesce a trovare il campo nomadi. È abbattuto perché è ancora erroneamente
convinto di essere vittima di un rito voodoo, ma alla fine si arrende lo stesso.
Ferma la macchina e va a bere un bicchiere nel primo bar che trova. Inconsciamente,
il suo girovagare per la città l’ha portato nel quartiere gay e la notte è
ancora giovane.
Iscriviti a:
Post (Atom)