giovedì 27 febbraio 2020

RACCONTI – Divieto d’errore

La lampada illumina la scrivania dove sono seduto. Il resto della casa è buio. Mi siedo con cautela e osservo un oggetto che ho appena trovato sullo scaffale della libreria nel salotto di casa mia e che ora ho appoggiato sul tavolino. In casa c’è un silenzio inquietante. Tutta la mia attenzione è concentrata sulla cartelletta rossa che giace sulla scrivania vuota. La polvere sollevata quando ho appoggiato la cartelletta volteggia in aria alla luce della lampada e sparisce inghiottita dall’ombra. Il silenzio e il buio del resto della casa sembrano spingermi verso il tavolo e quella misteriosa cartelletta. Non ricordo di averla mai vista in vita mia. Non la riconosco per niente. Non sono stato io ad appoggiarla sul tavolo. Chi l’avrà messa? C’è qualcuno in casa mia? Per un attimo mi sento mancare e ho bisogno di sedermi per prendere fiato. Osservo la cartelletta e noto che sull’etichetta c’è scritto il mio nome. Ho paura. I pensieri nella mia testa vanno a mille, mi tremano le mani, sudo freddo e il mio cuore batte all’impazzata, ma non ho paura. Io non ho mai paura, nonostante mi giri la testa e abbia la pelle d’oca. Con lo stomaco in subbuglio non riesco a concentrarmi. Prendo allora il telecomando sulla scrivania vicino alla cartelletta misteriosa e spengo la televisione che mi stava infastidendo con il suo incessante borbottio di sottofondo. La cartelletta è ancora lì che mi aspetta, perfettamente limpida come se fosse nuova. Deglutisco e mi faccio coraggio. Mi sfrego le dita delle mani e ora sono pronto ad aprirla. Tolgo l’elastico che la tiene chiusa e ora posso sollevare la copertina. Rimango un attimo in silenzio a osservare la cartelletta blu aperta. All’interno ci sono dei fogli un po’ ingialliti dal tempo ma chiaramente leggibili. Ho la gola secca, così bevo dell’acqua dal bicchiere appoggiato lì vicino. In unico sorso finisco il contenuto. Ora sono pronto. Con un gesto veloce ed efficacie apro la cartelletta. Devo agire con accortezza perché i fogli sembrano delicati. Non so bene come fare, ma alla fine mi decido: scartabello freneticamente tra i fogli alla ricerca delle risposte che cercavo da tempo. Mentre sfoglio i fogli finisco l’ultimo sorso di acqua del bicchiere. Nei fogli ci sono dei caratteri e dei segni indecifrabili. Ho bisogno degli occhiali. Mi alzo e corro a prenderli in camera da letto. Li trovo subito appoggiati sul comodino. In un secondo sono già uscito dalla cucina e sono di nuovo seduto alla scrivania. Quella breve corsa mi ha messo sete, così bevo ancora dal bicchiere mezzo pieno d’acqua che avevo lasciato prima sulla scrivania. Mi tolgo gli occhiali e pulisco le lenti per vederci meglio. Faccio un respiro profondo e mi risiedo al tavolo. Riprendo in mano la cartelletta e guardo ancora i fogli all’interno con stupore e un po’ di paura. Nonostante mi sforzi, non riesco proprio a capire che cosa significhino tutte quelle scritte e simboli. Eppure mi sembra di leggere il mio nome in ogni foglio presente. Devo accendere la lampada del comodino per provare a vederci meglio. Osservando la cartelletta con più luce comincio a vederci più chiaro sulla questione. Forse comincio a capire quello che sta succedendo. Per un istante mi sento completamente perso. Sono smarrito nei miei pensieri, nei miei rimorsi e rimpianti del passato e nelle mie preoccupazioni per quello che succederà una volta che avrò risolto il mistero di questi fogli bianchi ma pieni di segni incomprensibili. Se qualcuno mi scattasse una fotografia in questo preciso momento noterebbe lo stupore misto a terrore disegnato sulla linea irregolare delle mie labbra. Scorgerebbe il dubbio nei miei occhi scuri e apparentemente impenetrabili. Comprenderebbe il mio stato d’animo profondamente agitato dalla trascuratezza della mia capigliatura. Forse ho capito cosa contiene quella maledetta cartelletta. È solo che non voglio ammetterlo. Ho bisogno di sentirmelo dire da qualcun altro. Prendo in fretta il telefono cellulare e compongo un numero. Il telefono squilla un paio di volte e subito dopo risponde la voce calda di mia moglie che mi saluta. Io non perdo tempo e vado subito al punto, spiegandole la situazione drammatica. Lei capisce al volo, grazie al suo insuperabile intuito e alla sua empatia, e mi rassicura. Poi mi accarezza i capelli e mi dà un bacio amorevole che m’infonde pace e tranquillità all’istante. Le chiedo ancora una volta se quello che mi ha appena detto corrisponde alla verità. La guardo negli occhi quando le faccio questa importantissima domanda. So che non può mentire davanti ai miei grandi occhi azzurri. Non l’ha mai fatto. Lei conferma senza nessuna traccia di indecisione o di dubbio. Non posso far altro che crederle. Rincuorato dalla voce di mia moglie, mi sedetti alla scrivania e presi la cartelletta con mani forti e decise. È vero, in quel momento non potevo più sbagliarmi. Guardando tutto dalla prospettiva indicatami da mia moglie, non potevo confondermi. All’istante tutto ebbe più senso, tutto sembrò al suo posto. I segni e le scritte che prima sembravano incomprensibili, ebbero tutte il loro significato bene preciso. Tutte le cifre che prima erano passate davanti agli occhi dell’uomo senza dargli nessun segnale, acquisirono un valore incontrovertibile: tutto era normale. L’uomo provato da tutta quella tensione si guardò attorno e tutto riprese forma e colore nella stanza dove si trovava, a partire dalle tende della cucina, ai foglietti e i magneti appesi al frigorifero e i piatti sporchi posati sul lavello. Tutto era nella norma. Le sue analisi del sangue di qualche giorno fa presentavano valori ottimi, senza nessun problema. Girando quella maledetta cartelletta verde dal lato giusto l’uomo si rese subito conto dell’incredibile errore che stava per fare. Per fortuna, da quel momento in poi, la sua vita non era più in pericolo. L’uomo poté così tirare finalmente un sospiro di sollievo e finì di bere l’acqua dal bicchiere posato sulla scrivania.

mercoledì 12 febbraio 2020

HORROR ALL’ITALIANA – Voodoo Ken


È notte. Fuori fa freddo. Fulmini squarciano il cielo. I lampi illuminano la città e i tuoni spaccano i timpani. La pioggia cade fitta e bagna le coscienze della gente. A parte il temporale tutto tace.
In un campo nomadi della periferia della città una donna siede all’interno di una tenda addobbata da drappi, pizzi e merletti dai colori caldi. Amanda è bellissima e molto appariscente: alta, bionda, formosa e con tutta la plastica corporea ben distribuita. È la perfetta bambolina. Osserva i tarocchi sparpagliati sulla tavola, ammira i dipinti raffiguranti gli astri appesi alle pareti e rimane affascinata dal globo appoggiato su una mensola. In mano tiene un pupazzo particolare: la statuetta plastificata di Ken Carson, compagno di Barbie. La donna stringe forte il suo nuovo giocattolo, perché sa di avere un grande potere in mano.
La medesima sera, nella stessa città, in un locale esclusivo del centro, un uomo è al bancone del bar. Arturo è affascinante e molto sicuro di sé: occhi scuri e misteriosi, capigliatura perfetta, addominali scolpiti e pelle ambrata da Solarium. È il perfetto macho. Ordina con determinazione due drink, uno per lui e uno per la sua nuova conquista. Sorride ignaro.
Intanto Amanda, nella tenda del campo nomadi, armeggia con il giocattolo Ken e lo pone in una posa a teiera: braccio destro piegato e mano appoggiata sull'anca, braccio sinistro lungo il fianco, corpo sinuoso. Incredibilmente, a qualche chilometro di distanza, il macho Arturo si mette nella stessa identica posizione, tra l’imbarazzo della sua compagna e degli amici. Amanda solletica Ken sotto le ascelle. Arturo esplode inaspettatamente in una risatina appariscente e incontrollata causata da una battuta di un amico. Subito si mette una mano davanti alla bocca per cercare di bloccare lo scoppio gaio e si ricompone sedendosi al suo tavolo. Nel frattempo, Amanda prende le gambe di Ken e le accavalla molto strette le une alle altre. Inconsapevolmente, Arturo al bar fa lo stesso e dopo essersene accorto, cambia immediatamente posizione tenendo le gambe ben larghe. Il macho si guarda attorno in imbarazzo perché non sa proprio che cosa stia succedendo. In quel preciso istante, però, si ricorda che la sua ex fidanzata, Amanda, aveva minacciato di rifilargli un rito Voodoo per tutte le meschinità e i tradimenti che aveva subito. Arturo va per un attimo nel panico. È vittima di una pazza squilibrata che per vendetta lo sta rendendo un effeminato. Deve fare qualcosa. Deve trovare il modo di bloccarla. Ma come? Amanda, invece, non si ferma davanti a niente e continua imperterrita la sua missione: ora schiaccia senza pietà gli occhi del bambolotto Ken. Arturo scoppia in un pianto disperato. Il panico della situazione fa prevalere la parte emotiva e sensibile del suo carattere che probabilmente lui stesso non pensava neanche di avere. Arturo è costretto a lasciare il tavolo e a rifugiarsi in bagno, accampando la scusa di avere una pagliuzza nell’occhio che gli dà fastidio. Si sciacqua la faccia un paio di volte e cerca di calmarsi. Deve trovare Amanda e fermare il rito Voodoo contro di lui. Non può permettersi di ridursi in questo stato efebico. Amanda, però, ha già pronta la prossima mossa: infila uno spillo nella gola del fantoccio che tiene saldamente in mano. Arturo ritorna al tavolo con la sua nuova donna e gli amici ed è pronto a inventarsi una scusa per andarsene. Appena parla, però, si accorge che la voce gli esce con un tono strano: molto acuto, quasi stridulo. Si blocca subito, sbalordito e inerme davanti ai cambiamenti che stanno avvenendo nel suo corpo. Ma che gli sta succedendo? Arturo beve un sorso di cocktail e si schiarisce la voce. Saluta tutti e spiega, con gesti eccessivamente marcati e molto aggraziati, che deve tornare immediatamente a casa per prendersi cura delle sue povere piante che stanno soffrendo da troppe ore senza acqua. Ormai non sa neanche lui quello che sta dicendo. Cerca di controllare i movimenti e la spigliatezza della parlata, ma è tutto inutile. C’è solo una cosa da fare: trovare e disarmare Amanda. Un rito Voodoo può essere stato messo in atto solo al campo nomadi fuori città. È lì che dovrà andare, ne è sicuro. Lascia la compagnia, prende la macchina e va a tutta velocità verso il suo obiettivo. Alla radio stanno dando la canzone Macho Man dei Village People e lui prova un’irrefrenabile voglia di ballare che lo fa quasi sbandare fuori strada. Amanda sorride beffarda e comincia l’atto finale del suo spettacolo maligno. Gira di schiena il pupazzo giocattolo e prende lo spillo. Arturo macina chilometri su chilometri e si avvicina. Amanda si prepara a colpire, pregustando il colpo. Sta per compiere il gesto ma sul più bello una tenda si scosta, Amanda si blocca e qualcuno entra: è una donna anziana, di carnagione scura, addobbata da molte collane, amuleti e braccialetti. La donna si dice pronta per il rito Voodoo richiesto da Amanda. La chiromante spiega che la bambola Voodoo Ken non è ancora stata “attivata”. Disorientata da quest’affermazione, Amanda lascia cadere il giocattolo. Solo ora capisce che quello che ha tenuto in mano fino a ora era solo un pezzo di plastica e quindi si rende conto di non aver fatto proprio niente ad Arturo. La chiromante racconta i pericoli della magia nera e vuole ancora accertasi che sia quello che la sua cliente vuole veramente. Amanda è confusa e piena di dubbi. All’improvviso si pente e se ne va. Arturo, invece, si è perso. Non riesce a trovare il campo nomadi. È abbattuto perché è ancora erroneamente convinto di essere vittima di un rito voodoo, ma alla fine si arrende lo stesso. Ferma la macchina e va a bere un bicchiere nel primo bar che trova. Inconsciamente, il suo girovagare per la città l’ha portato nel quartiere gay e la notte è ancora giovane.