mercoledì 27 settembre 2023

ITALIENAREN – Parchi acrobatici

Sto sudando freddo. Ho le vertigini. Lo stomaco è in subbuglio. Mi tremano le gambe. Normale quando la tua vita è appesa a un filo. Letteralmente.
Il filo in questione è quello di un parco di divertimento con le teleferiche e i percorsi ad ostacoli sospesi. Ce ne sono tanti sparsi fuori città a Stoccolma. Ognuno di loro ha piste e tracciati di diversa difficoltà, sia per bambini sia per adulti, alcuni vicini al terreno, altri a dieci metri sospesi tra i tronchi dei pini silvestri del bosco svedese. Sono sicuri e ben costruiti e permettono di godere la natura e mettersi alla prova, fisicamente e mentalmente. Non sono però raccomandabili a chi soffre troppo di vertigini.
Io ho voluto osare e ho fatto subito lo sfrontato provando le piste intermedie. Dopo lo shock iniziale per l'altezza che mi aveva un po' paralizzato, deglutisco, mi faccio coraggio e, passo dopo passo, con cautela riesco a superare le mie paure e vado avanti. Mi asciugo il sudore dalla fronte e sorrido. Ce l'ho fatta. Ho superato il primo ostacolo. Sono orgoglioso di me stesso. Guardo avanti e osservo il resto della pista pianificando le mie mosse. Ora mi aspettano altre sfide.
Proprio quando mi decido a proseguire sento un rumore fastidioso provenire da lontano. Sono delle grida che giungono dal bosco. Non sono i bambinetti fastidiosi che poco fa rompevano le palle lanciando sassetti agli altri durante la breve introduzione sulla sicurezza dell'imbracatura tenuta dal personale. È qualcos'altro. Non è umano. Affretto il passo, ma le urla si avvicinano. Salto da un ramo all'altro, mi volto e scorgo delle ombre dai movimenti rapidi. Sembrano degli animali neri e pelosi. Sono dei primati, delle scimmie urlatrici, per la precisione. Comincio a percepire il loro odore. Sento il loro fiato sul collo. Ormai sono vicinissime. Mi toccano le spalle. Mi prendono una mano. Mi bloccano un piede. Mi sono addosso e urlano festanti. Passano le loro mani prensili sulla mia fronte e mi bloccano la testa. Io cerco di chiudere gli occhi ma loro mi costringono a guardare. Ridacchiano e saltellano seguendo un rito collettivo. I loro versi sembrano quasi parole che intonano una canzone tribale. Mi sembra di sentire un ritmo di tamburi di sottofondo. A quel punto la mia trasformazione è iniziata. Ormai tutto è compiuto. Sono pronto. Mi hanno liberato. Impossibile dire se siano passati minuti o ore.
Improvvisamente mi sento forte e spavaldo. Senza paura. Eseguo i passaggi velocemente e con una semplicità imbarazzante. Ora sono io la scimmietta della foresta. Mi lancio da un cavo all'altro al grido di "I believe I can fly". Sono sicuro dei miei mezzi. Mi sento onnipotente. Ho la sensazione che niente mi potrà mai fermare ora che sono una copia di Indiana Jones.
Qualche minuto più tardi sono bloccato a dieci metri d'altezza, appeso a una corda, con un piede su una pedana e l'altro su una rete oscillante. Non so cosa fare. Non posso tornare indietro. Non posso andare avanti. Comincio a sentire dell'umido nella parte posteriore delle mutande. L'incantesimo è finito. Lo spirito degli scimpanzè mi ha abbandonato di colpo distratto da un passante che mangiava noccioline. Le dita delle mani sono in tensione e mi fanno male. Non posso staccarle dalla corda per cercare nelle tasche la sicurezza che avevo fino a qualche minuto fa. Non resta altro che trovare il coraggio per superare anche questo ostacolo nel percorso più difficile del parco. Devo ammettere che avevo sottovalutato la difficoltà. Sorrido nervosamente a un bambino di dodici anni che sta aspettando annoiato che io vada avanti. Tremante muovo in avanti il piede destro. Il bambino stronzo saltella sulla pedana e fa oscillare tutto pericolosamente. Poi ridacchia divertito gustandosi il mio sguardo preoccupato e perso nel vuoto che ho sotto di me. Non ho né tempo né mani libere per mandarlo a fanculo, quindi sono costretto a trovare una soluzione al problema. Sposto un piede a destra, uno a sinistra, torno indietro con il piede destro, faccio roteare la mano sinistra, eseguo un passo di salsa sulla corda a penzoloni ripensando al gioco Twist e quasi per magia mi ritrovo a fine percorso. In fin dei conti forse una scimmietta mi è rimasta sulla spalla.
Scendo subito e vado a riconsegnare l'imbracatura prima che mi venga la malsana idea di riprovarci e prima che le gambe tremanti recuperino energie. Meglio accontentarsi per oggi. Ho già fatto troppo l'eroe e l'esploratore di sta ceppa per questa domenica.
All'ingresso del parco una ragazza del personale mi chiede come sia andata dicendo di avermi visto disinvolto alle prese con la pista più difficile. Sorrido con aria sfacciata fingendo di impugnare una pistola immaginaria e mostrandomi di profilo.
«Pericolo è il mio secondo nome!» Lei aggrotta la fronte e alza gli occhi al cielo. Ho come l'impressione di non averla impressionata. «… e immagino che Poco sia il tuo primo nome!» Mi risponde con arguzia e un pelo, giusto un pelino, di sarcasmo. Me lo sono meritato. Così me ne vado nascondendo la coda tra le gambe.
Poco pericolo insomma nei parchi acrobatici di Stoccolma ma tanto divertimento.
 
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venerdì 22 settembre 2023

ITALIENAREN – Falso allarme

Stop. Fermi tutti. Calma. Non ci sarà nessun blocco della metropolitana tra T-Centralen e Slussen[1] come era stato annunciato qualche giorno fa. Nessun terrorismo psicologico. Chiedo scusa. Spero mi darete la possibilità di fare pace, proprio come hanno fatto il comune e la regione di Stoccolma scongiurando il cataclisma che avevo esageratamente paventato pochi giorni fa.
Falso allarme dunque. Niente tragedia greca.
Come quando ti fa tanto male la pancia e ti scappa la cacca, corri disperatamente in cerca di un bagno, lo trovi, ti sembra di scoppiare, ti cali i pantaloni ma scopri che era solo un'innocua scoreggina (non tanto innocua a dire la verità).
Come quando vi guardate intensamente negli occhi e con voce rotta vi convincete di essere incinta (in alcuni casi vi disperate, in altri saltate dalla gioia), ma alla fine era solo un ritardo nel ciclo.
Come quando è mezzanotte e mezza al pranzo di matrimonio di tuo cugino Mario, ti servono un sorbetto al limone ed esulti perché credi che sia finita, ma è solo una pausa per sciacquare la bocca tra i dodici primi piatti e i nove secondi piatti (poi ci saranno i dolci ovviamente).
Come quando i Troiani temevano un attacco letale da parte dei Greci, si erano assediati armati fino ai denti dietro le mure di casa, ma poi per fortuna a bussare al portone non era l'esercito ma solo un bel regalo a forma di cavallo gigante corredato da un biglietto di scuse… ops!
Come quando hai finito l'esame più importante della tua vita, sei soddisfatto, hai risposto a tutte le domande in maniera egregia, ti pavoneggi per avere pure risparmiato quindici minuti, ma giri il foglio e ti accorgi che c'era anche il retro da risolvere.
Come quando i tuoi figli si sono addormentati dopo che hai letto loro cinque libri e raccontato quindici favole a lieto fine, li senti ronfare e molto delicatamente ti allontani come un ladro che ha rubato tutte le caramelle, ma loro spalancano gli occhi vispissimi e chiedono senza pietà un'altra storiella.
Come quando si accende lo speaker di Trenitalia in stazione, balzi in piedi trepidante, sei speranzoso che annunci l'arrivo al binario due dopo che ha già accumulato venti minuti di ritardo, ti allontani dalla linea gialla in maniera preventiva, ma la voce robotica aggiunge ulteriori venti minuti d'attesa.
Come quando… va bene, basta. Mi sono spiegato. Falso allarme.
Non bisogna però cantar vittoria troppo in fretta. Infatti, anche se il blocco tra T-Centralen e Slussen è stato tolto, alcuni disagi come ritardi e treni cancellati rimarranno, quantomeno per la giornata di venerdì. Non ho ancora capito dov'è la novità.
 
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[1] https://sl.se/aktuellt/nyheter/avstangning-avbruten/

mercoledì 20 settembre 2023

ITALIENAREN – Stop

Chiudo gli occhi e inspiro.
Stop. Non ce la posso fare. Ho appena letto una notizia devastante e solo dopo qualche secondo ne ho realizzato le potenziali conseguenze. Brutta notizia per me… e per molti altri come me.
Ho ancora gli occhi chiusi e la mia fantasia comincia come sempre a farmi brutti scherzi. Immagino i ritardi dei treni. Mi vedo invecchiare seduto alla panchina della banchina mentre la vita mi scorre a fianco e i figli dei miei figli vanno avanti per la loro strada mentre io sono ancora alla fermata. Non mi è difficile pensare a tutte le persone come me che iniziano una lotta all'ultimo sangue per i pochi posti rimasti nel vagone. Corriamo come soldati scozzesi comandati da William Wallace nella battaglia di Falkirk, dove è importante ricordare che furono quasi tutti sterminati. Mi visualizzo tra i fortunati passeggeri sopravvissuti, schiantato contro un muro di altri passeggeri infastiditi e sudati. Siamo pressati come aringhe in una scatola di latta di surströmming. La puzza che ne viene fuori è purtroppo la stessa. Mi sento addosso i microbi di tutti, soprattutto di quello che mi ha appena starnutito in faccia il suo raffreddore e di quello che non fa altro che tossire come un motorino ingolfato da più di dieci minuti. Infine mi osservo da lontano tra la cordata di disperati che camminano da T-Centralen verso sud. Siamo come schiavi egiziani che trasportano pesanti pietre di gesso cubiche per la costruzione non delle piramidi ma della nuova dannatissima chiusa di Slussen.
Finalmente arriviamo alla fermata successiva e all'improvviso comincia a fare caldo. Troppo caldo per essere fine settembre. Non è normale. Il cielo si tinge di rosso, la terra brucia, l'asfalto si scioglie e dalle viscere emergono le fiamme dell'inferno. Una voce dall'altoparlante della metropolitana ci invita a salire sul vagone che ci porterà a destinazione senza bloccare le porte. Lo speaker informa che non tutti ce la faranno. Suona sinistramente come la voce di Satana mascherata da quella di un dipendente della SL, la ditta dei trasporti stoccolmese. L'allarme delle porte automatiche fischia e quest'ultime si chiudono alle mie spalle.
A quel punto mi risveglio dall'incubo. Sto bene. Non è stato niente di così grave a dire il vero. È solo il disagio che immagino avverrà prossimamente tra venerdì e lunedì, quando bloccheranno la tratta della metro tra T-Centralen e Slussen[1]. Problemi da Primo Mondo, niente di più per fortuna. E così finalmente espiro. Avevo trattenuto il fiato per tutto il tempo senza rendermene conto. Normale che il cervello non avesse abbastanza ossigeno per ragionare correttamente.
Inspiro ed espiro di nuovo. Più lentamente. Mi aiuta a calmarmi ed essere più consapevole del problema e più attento alle possibili soluzioni. Apro gli occhi e ora ci vedo chiaro.
Potrei lavorare da casa ma non mi è concesso perché devo essere al lavoro per fare terapia ai miei pazienti.
Potrei usare la macchina ma sarebbe un errore madornale pensando al traffico che sicuramente si creerà in quei giorni. Lì sì che farei davvero esperienza dei gironi infernali danteschi.
Potrei prendere il bus numero quattro per quasi tutta la tratta e aggirare lo stop ma è un percorso troppo lento e non lo consiglierei nemmeno al mio peggior nemico.
Potrei dirottare per un breve pezzo sul pendeltåg, il treno dei pendolari di Stoccolma, ma mi scappa una risata sarcastica per aver solo pensato a questa soluzione in quanto i suoi problemi e ritardi sono risaputi come le scappatelle del re.
Ci penso e ci ripenso… giusto: ci sono. Ho la bicicletta. Sono "solo" 10 chilometri, ma di tutta salute ed esercizio fisico. Non mi fanno paura. In fondo li ho fatti per venti mesi durante la pandemia, anche durante tempeste di neve invernali e piogge torrenziali.
Prendo dunque il casco, mi vesto sportivamente per stare più comodo, infilo i guanti perché ormai fa freddino, scendo in garage e sono pronto. La bici però non lo è: la gomma infatti è a terra. Stop anche qui.
Alzo gli occhi al cielo scoraggiato e penso: quando parte il prossimo pendeltåg? Devo essere proprio disperato.
 
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giovedì 14 settembre 2023

RACCONTI – Anestetici

Gli antichi abitanti di Babilonia usavano comprimere con forza le carotidi per far perdere i sensi, senza però mettere in conto i possibili e probabili danni cerebrali del povero malcapitato. Nell'impero romano si somministrava la mandragola per raggiungere il fine di sedare i pazienti e giustificare i propri mezzi alquanto avventati. Nel medioevo era l'oppio ad abbondare anche quando non era strettamente necessario, mentre nelle caravelle di ritorno dalle Americhe erano le foglie di coca da masticare che mandavano al tappeto i marinai con arti da amputare o con sogni da smorzare. I soldati feriti durante la prima guerra mondiale venivano invece anestetizzati con gli alcolici che l'infermeria aveva a disposizione nel caso non se li fossero già bevuti tutti.
 
E nell'Anno Domini 2023?
 
Un bambino di cinque anni entra in cucina piangendo disperatamente. Potrebbe essere di tutto: un litigio per i videogiochi col fratello più grande, una difficoltà a staccare due pezzi di lego incollati tra di loro con un po' del proprio moccolo oppure perché il latte del bicchiere ha preso l'iniziativa di versarsi da solo sulla maglietta per fare un bel dispetto. Invece la causa delle lacrime è un taglietto da carta che, secondo i decibel delle grida del bambino, dovrebbe richiedere un'amputazione del dito o addirittura di tutta la mano se la mamma o il papà non interverranno nel giro di qualche secondo.
Dopo aver abbandonato di colpo qualsiasi attività stesse compiendo e dopo aver imbevuto il cotone nel disinfettante, il genitore si avvicina con aria risoluta verso il figlio. Il bambino vede da lontano quello che sta per succedere e intuisce al volo la reazione da mettere in atto. Le sue cellule ippocampali richiamano alla memoria il bruciore al ginocchio sbucciato di qualche settimana fa e il bambino reagisce senza doverci pensare con una smorfia di dolore che gli sfigura il volto. È inconsolabile. L'adulto non fa in tempo a toccare la ferita con il cotone che il bambino già si lamenta battendo i pugni sulle cosce della mamma e affossando le unghie con veemenza. Il papà cerca di distrarre il figlio facendo il pagliaccio, l'unica attività nel suo repertorio che gli riesce davvero bene, e la mamma cerca di passare in fretta il disinfettante sulla ferita. Il bimbo però si accorge dell'astuto stratagemma e, al grido di "non sono nato ieri, ma ben 1754 giorni fa", si scansa all'ultimo secondo come Neo di Matrix. Tentativo fallito miseramente. I genitori si guardano, si infilano gli occhiali da sole neri e dopo un cenno d'assenso col capo si dirigono risoluti verso la teca del salotto. Ormai c'è solo una cosa da fare. Inutile girare attorno ad altri espedienti inutili.
Ai genitori non resta che usare un metodo simile a quello usato dai cavernicoli dell'età della pietra per sedare i propri compagni di grotta prima dell'estrazione di un dente o per curare il morso di una tigre dai denti a sciabola: i cazzotti, le botte in testa o i pugni in zona parietale. I cari e vecchi cartoni sono infatti estremamente efficaci, specialmente sui bambini.
Stop. Fermi tutti. Non chiamate i servizi sociali, la polizia o lo spirito di Maria Montessori. S'intende i cartoni animati. Quelle figurine buffe in movimento sullo schermo della televisione sono infatti potentissimi mezzi per anestetizzare e distrarre dal dolore qualsiasi bambino da più di cent'anni a questa parte, quando fece la sua prima comparsa "Fantasmagorie " di Émile Cohl nel 1908.
I genitori del bambino con il taglio da carta estraggono dunque l'unico strumento che sia veramente in grado di portare a termine l'arduo compito. Uno strumento che i chirurghi dell'antichità, ma anche quelli delle epoche più recenti, avrebbero voluto e dovuto sfruttare nelle loro pratiche cliniche. Mentre la mamma imbeve di nuovo il cotone con la boccetta di disinfettante, il papà continua nel suo ruolo d'intrattenitore e porta davanti agli occhi del fanciullo uno schermo che può essere di un tablet, di un cellulare o di una televisione. Accende l'apparecchio e fa partire il cartone animato preferito. Il bambino si volta verso le immagini colorate in movimento e il suo sguardo si fa lieve. Gli occhi brillano. I muscoli della fronte si rilassano. La punta esterna delle labbra si allungano all'insù. La faccia assume un'espressione alla Trainspotting e le spalle si abbassano sciogliendosi come burro al sole.
La mamma capisce che è il momento di agire. Strofina pesantemente il cotone sulla ferita e, oltre a vari strati di derma, toglie ogni traccia di batterio senza che il bambino batta ciglio. Infine applica un cerotto gigante ritagliato dallo spinnaker di Luna Rossa per evitare che in seguito il bambino si lamenti che il cerotto non copra bene tutta la ferita. Il gioco è fatto.
I genitori si accasciano al suolo stremati. Il loro lavoro di base è terminato. La vita del bambino è salva. La continuità della specie è garantita. Per questa volta non ci sarà bisogno dell'aiuto del buon Alexander Fleming per curare il piccino. Dove soffi sulle ferite o bacetti sulla botta non funzionano, arrivano i cartoni animati a recuperare situazioni ormai date per perse. Santi cartoni animati. Ovviamente la loro funzione non si limita solo ad anestetizzare i bambini in queste situazioni di dolore "insopportabile" ma anche quando c'è da tagliare i capelli, da accorciare le unghie oppure per somministrare sciroppi alla tosse al gusto cianuro aromatico.
Certo, i cartoni animati possono dare dipendenza. Possono portare a crisi d'astinenza al limite dei capricci insopportabili. Possono causare esaurimenti psicofisici ai genitori. Sono però uno strumento imprescindibile e ineguagliabile (in fondo basta leggere attentamente il foglietto illustrativo). I cartoni vanno preservati ma anche centellinati e usati con cautela.
I cartoni, infatti, sono l'oppio dei popoli… sotto gli otto anni d'età.

martedì 5 settembre 2023

ITALIENAREN – Kräftskiva

Immigrant-Man giace a terra stremato. La faccia schiacciata sul pavimento e la polvere negli occhi. La mente annebbiata per le botte subite e il corpo immobile. Non ce la fa ad andare avanti e tutto attorno a lui sembra girare all'impazzata.
Eppure era arrivato con molte aspettative e tante speranze. Pensava di poter spaccare il mondo, difendere il suo popolo e la sua dignità. Invece si ritrova a pezzi e senza fiato. Immigrant-Man, l'Uomo Immigrato, è stato preso alla sprovvista e maledice il suo nemico che lo sottomette con un ghigno sulle labbra. Nonostante le energie della giovane età, la preparazione etilica con gli amici del bar e la spavalderia acquisita nei primi mesi nordici, il nostro supereroe s'è imbattuto in un avversario subdolo e sleale. Goblin? No. Magneto? No. Dottor Octopus? No, ma quasi. È un mostro dal costume rosso a mezzaluna attorniato da una nube di vapore. Lui è Crayfish-Man, il terribile Uomo Gamberetto: un essere mite e dolce, ma se rievocato a fine estate svedese in qualche festa aziendale o in una cena da amici scandinavi si trasforma ed è in grado di scatenare tutta la sua forza sui neofiti della cultura svedese. L'uomo Gamberetto non agisce mai da solo ma sempre in coppia con il suo aiutante Dill-Boy, il disgustoso Uomo Aneto, che ama intrufolarsi in qualsiasi ricetta della cultura culinaria svedese, peggiorandola. Il duetto da solo non ce la farebbe mai a sconfiggere Immigrant-Man se non fosse sotto le influenze negative del potente e scaltro Loki, il dio norreno dell'astuzia e degli inganni, che fornisce armi implacabili: i liquori svedesi come il brännvin, l'Akvavit e le Snaps. Con movimenti oscillanti e ubriacanti l'Uomo Gamberetto innaffia i presenti e poi sacrifica il suo corpo dando ai presenti la falsa illusione di mangiare qualcosa di consistente, lasciando invece tutti a bocca asciutta e a stomaco vuoto. Così, con la vista annebbiata dall'alcol, è facile dimenticare la presenza di pane, formaggio speziato e västerbottenpaj che vengono magistralmente nascosti agli occhi dei commensali dal dio Loki.
L'Uomo Immigrato è dunque dolorante al suolo e invoca pietà. Ha bisogno di una mano. Le sue grida di aiuto vengono captate in lontananza da un altro supereroe norreno. Thor lo assiste e lo rimette in piedi. Il dio dei fulmini gli dà consigli su come sconfiggere il fratello Loki. Immigrant-Man raccoglie le forze, schiva i liquori e finge di essere stato colpito. Crayfish-Man se la ride sadicamente intonando Helan går perdendo però la concentrazione dalla battaglia. L'Uomo Immigrato capisce che quello è il momento di colpire con le decorazioni della festa e il cappellino di carta appuntito. Schivando un altro bicchierino di brännvin abbatte il suo avversario e può finalmente abbuffarsi in santa pace con torta al formaggio mentre nella sala riecheggia trionfante Immigrant Song dei Led Zeppelin tra lo stupore generale degli astanti.
 
TRADUZIONE
Il Kräftskiva, o Crayfish party, è una festa tradizionale svedese di fine estate nella quale si gustano gamberetti di acqua dolce cotti a vapore e aromatizzati con l'aneto. Si accompagnano tipicamente con pane, formaggi, västerbottenpaj e soprattutto con molti liquori svedesi (distillati da patate, grano o cellulosa di legno) che devono essere tracannati tutti d'un fiato. Tra un brindisi e l'altro si mangiano i gamberetti e s'intonano canzoncine folkloristiche. Data la scarsa quantità effettiva di polpa nel gamberetto e il forte tasso alcolico dei liquori l'ubriacatura è assicurata per chi non è abituato a questa tradizione. Il segreto è fingere di bere tutto il bicchiere di alcol o riempirne solo metà e tenere bene a portata di mano pane e formaggi per dare sostanza al pasto.
 
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