martedì 29 agosto 2023

RACCONTI – Crescere

Sono una persona matura. Sono cresciuto.
Le cose importanti le faccio subito. Non rimando. Non procrastino. A parte quando penso a un racconto che poi inizio a scrivere sempre dopo qualche settimana e che forse finirò tra qualche giorno, dopo aver controllato più volte le mie pagine sui social media.
So comunicare e gestire le emozioni. Quando parlo con gli altri porto avanti con compostezza e decisione le mie opinioni e non mi faccio prendere dal nervosismo. A parte tutte le volte che sbotto quando mi punzecchiano nei miei punti deboli, mi ritrovo all'improvviso nudo e insicuro e parto nel mio classico atteggiamento passivo-aggressivo.
Mi assumo le mie responsabilità. Sia quando ho ragione sia quando ho torto. So accettare le sconfitte. A parte quando rido sotto i baffi rinfacciando a tutti che avevo previsto quello che sarebbe successo e nessuno mi aveva ascoltato oppure quando mi nascondo ed evito le conversazioni se mi accorgo di aver fatto qualcosa di sbagliato. E comunque io non ho mai torto… gne-gne-gne-gne!
Prendo cura di me stesso, del mio corpo e della mia mente. A parte che mi lascio sempre crescere la barba per pigrizia, spesso mi ritrovo inavvertitamente con le dita annegate nella Nutella e il più delle volte mi ammazzo con pensieri autocritici, a volte fondati a volte no.
Sono un bravo partner. Sono presente, premuroso e attento alle sue esigenze. A parte quando sono troppo stanco per ascoltare i problemi di mia moglie oppure quando sto sveglio fino a tardi per scrivere e nonostante cerchi di essere silenzioso nel mettermi il pigiama, la sveglio nel cuore della notte.
Sono diventato un bravo genitore. Sto ai giochi ma so dare regole severe ma giuste ai miei bambini. Sono amorevole e insegno i buoni valori della vita. A parte quando li piazzo davanti alla televisione per due ore alla sera per riposare il cervello e annebbiare la mente con i video su YouTube oppure quando quasi perdo mio figlio alla metro portandolo a scuola, come è successo la settimana scorsa.
Faccio il mio dovere al lavoro. Do il meglio di me stesso con i miei pazienti e li guido verso un percorso lungo e tortuoso che li porterà a realizzare i propri obiettivi e a vincere le proprie paure. Sono leale col mio datore di lavoro. A parte quando giudico il comportamento dei miei clienti, quando scappo dai pazienti esigenti e logorroici inventandomi impegni lavorativi durante le pause, quando mi mordo l'interno delle guance o trattengo il respiro per restare sveglio durante le sedute con le persone più noiose oppure quando scappo di nascosto dal lavoro a fine giornata anche se avrei dovuto restarci ancora per almeno altri trenta minuti.
Faccio scelte economiche sensate. Penso al presente con risparmi e spese accurate e penso al futuro con investimenti adeguati. A parte che guadagno di meno perché lavoro all'80 % facendo finta che non influenzerà la mia pensione e non seguo i consigli di mia moglie, ormai diventata una broker di Wall Street, e continuo a investire in fondi bancari con spese alte solo perché hanno un nome simpatico.
Va bene, forse non sono ancora così maturo, però una settimana fa ho fatto qualcosa di meraviglioso che mi dà diritto a soprassedere a tutte le inadeguatezze sopraccitate: per la prima volta in vita mia ho mangiato i broccoli di mia spontanea volontà, senza essere forzato dalla mamma.

mercoledì 23 agosto 2023

ITALIENAREN – Colazione

Da circa un mese ogni mattina mi alzo e piango. Mi sveglio da una notte parzialmente insonne, vado in bagno, mi siedo al tavolo della cucina e piango. Non perché fuori sembra novembre quando siamo ancora in agosto o perché devo andare a lavorare anche oggi. Piango per quello che sto mangiando.
Davanti a me ho una ciotola con una sbobba grigia e un cucchiaio in mano. Affondo la posata nel cibo, prendo un'abbondante cucchiaiata, apro la bocca e riluttante mi costringo a buttare giù un bel boccone di poltiglia calda.
Per me è uno shock. Ero abituato ad altro. Di solito prendevo latte e cereali oppure pane, burro e marmellata nei festivi. Nelle giornate di lusso cornetto e cappuccino al bar quando vivevo ancora in Italia.
Ora, invece, questa pappetta informe e incolore, che mi fa sentire un carcerato anche se non ho il pigiama a righe bianche e nere e non sto dietro le sbarre, è la mia nuova colazione. Si chiama pappa d'avena o porridge, ovvero il gröt, come dicono gli svedesi. Ho fatto questa scelta da quando mi sono schierato dalla parte svedese nella lotta agli zuccheri, da quando ho cominciato a sposare la filosofia che inquadra i carboidrati come male assoluto dell'umanità (esclusi quelli della pasta e della pizza perché ci tengo ancora a conservare la mia cittadinanza italiana) e da quando ho fatto mio il mantra che paragona gli zuccheri a Hitler, Stalin, Crudelia de Mon, il leone Scar, il Sergente Maggiore Hartman, Keyser Söze, mia moglie quando la contraddico e altri cattivoni vari della storia reale o letteraria.
Dopo le prime mattine di adattamento nelle quali mi sentivo smarrito e non sapevo da dove cominciare vedendo la mia mano che andava in automatico verso il cartone del latte, la procedura è diventata semplice. Aggiungo 300 millilitri d'acqua a 150 grammi d'avena (non Cristina). Faccio scaldare in microonde per due minuti. Mi scotto le mani prendendo la ciotola incandescente. Butto abbondanti porzioni di bacche tipo mirtilli e lamponi o purea di mele fredda dal frigorifero che vanno mescolate con l'intruglio da stregone nel tentativo di raffreddarlo e di evitare che sappia di cartone bagnato. Mi siedo comodamente a tavola dopo essermi chiesto per l'ennesima volta perché ho deciso di farmi del male e dopo aver insultato mentalmente mia moglie perché lei mi ha un po' spinto verso questo cambiamento epocale fungendo da precorritrice. Mi becco una sberla in testa da mia moglie per il pensiero che ho appena espresso e che lei ha capito dall'espressione accigliata del mio sguardo. Comincio a mangiare bruciandosi comunque la lingua, la gola e l'esofago e provocandomi probabilmente un'ulcera gastroduodenale. Come ultimo passaggio respiro profondamente mettendomi la coscienza in pace per aver vinto una nuova battaglia e aver sconfitto quei brutti ceffi puzzosi degli zuccheri complessi. Evvai!
Evvai? Eh no!
Infatti piango ancora.
La pappa d'avena è buona. Davvero! Il gröt mi è sempre piaciuto, sin dal giorno in cui lo preparavo ai miei figli piccoli e mangiavo quello che restava per non sprecare cibo. Non mi pento quindi della mia scelta ma il gröt non ha proprio l'aspetto di un risotto allo zafferano impiattato da uno chef di un ristorante stellato. Siccome anche l'occhio vuole la sua parte e io non ho voglia di infilarmi un cucchiaio all'altezza dell'iride mi limito a piangere per annegare la tristezza della nuova routine immaginandomi dietro le sbarre, costretto a ingurgitare la sbobba che la guardia mi offre. Pensare di essere costretto a farlo, mi aiuta a superare lo shock iniziale.
Alla fine, però, sorrido grazie ad una semplice riflessione. Per le lacrime che mi provoca ogni giorno e per la mia ormai proverbiale difficoltà a distinguere la pronuncia della vocale svedese Ö dalla vocale Å, la pappa d'avena dovrebbe cambiare nome da gröt a gråt (che si traduce "pianto" in italiano).
 
---
Ecco il link all’articolo su Italienaren - Il lavoratore:
https://italienaren.org/Colazione/

giovedì 17 agosto 2023

ITALIENAREN – Collezionismo

Celo.
Celo.
Aspetta, aspetta… sì, celo.
Celo.
Nooo! Manca.
Qui ci metterei una bella imprecazione, ma mi autocensuro.
Anche se sembra, questo non è lo scambio di figurine Panini doppie tra bambini di dieci anni. Questo è il dialogo interno nel mio cervello quando scorro sul cellulare in cerca della app giusta per parcheggiare in questo posto sperduto in mezzo al nulla. Ho il sole in faccia e devo aumentare la luminosità dello schermo per vederci meglio. La batteria si sta scaricando e questo m'innervosisce perché sarà l'unico strumento per controllare la durata del parcheggio.
Va sempre così, posso essere preparato e ben equipaggiato sul mio cellulare, ma troverò sempre un parcheggio da qualche parte a Stoccolma che richiede una app che io non ho scaricato. Sempre. Va da sé ovviamente che ogni posto a Stoccolma richiede un pagamento per parcheggiare la macchina, anche a chilometri di distanza dal centro, in mezzo a un parco naturale.
Com'è possibile che non abbia l'app giusta? Eppure ce n'erano tante tra cui scegliere: Easypark, Parkster, MobilPark, ePARK, Flowbird, Mobil Perkering… ma quante sono? Tantissime, incalcolabili. Leggenda narra infatti che ora, nell'istante in cui state leggendo questa frase, un team di ingegneri informatici della Silicon Valley stia progettando e sviluppando tre nuove app per parcheggi sempre più complesse per far innervosire gli utenti. Non faccio fatica a crederci: sono infinite. Tutte richiedono un log-in e l'inserimento dei dati per il pagamento. Tutte con sovrapprezzo sul reale costo del parcheggio, ovviamente. Tutte a parte una: Betala P di Stockholms Stad… che non funziona molto bene, almeno non per me, ovviamente.
Una volta però scaricate le app principali e fatto il giro di tutti i musei e i parchi preferiti, il problema sarebbe risolto se non fosse che i comuni si affidano tutti ad aziende diverse per il parcheggio e cambiano le app continuamente, anche da una settimana all'altra.
Quindi ora sono sotto il sole cocente e aspetto che l'app venga scaricata, mentre i miei figli cominciano a diventare impazienti di andare al parco. Sudo copiosamente mentre inserisco i dati della mia carta di credito al riparo da occhi indiscreti (sono pur sempre italiano e non mi fido neanche di mia moglie). Alzo gli occhi al cielo, non per imprecare ma per ricontrollare il cartello della sosta. Dopo aver interpretato il geroglifico inciso sul cartello stradale e dopo aver chiesto conferma a mia moglie e a tre passanti, mi accorgo di essermi sbagliato: oggi non serve pagare. Tiro un sospiro di sollievo. Per fortuna basta esporre il disco orario.
Allungo la mano dentro il cruscotto del sedile passeggero. Cerco frettolosamente a tastoni.
Il libretto di circolazione: celo.
Il libretto di istruzioni: celo.
Il disco orario: nooo, manca.
Era meglio quando si giocava ancora con le figurine panini.
 
---
Ecco il link all’articolo su Italienaren - Il lavoratore:
https://italienaren.org/Collezionismo/

venerdì 11 agosto 2023

ITALIENAREN – Festa

Cultura, arte, letteratura, teatro, musica, danza, sport, cibo e bevande, attività per grandi e per piccini, un po' come si diceva nei Grandi Magazzini per i nostalgici dei film anni '80. Tutto questo bendidio nella stessa città e nella stessa settimana, dalla mattina alla sera. Sembra impossibile, ma è vero.
Più di cinquecento attività di ogni tipo e genere, questa è la proposta dello Stockholms Kulturfestivalen (https://kulturfestivalen.stockholm.se) che da mercoledì 16 a domenica 20 agosto 2023 avrà luogo a Stoccolma. È un'iniziativa del comune che si svolge ogni anno dal 2006 in centro città (Sergels torg, Kungsträdgården, Karl XII:s torg, Gustav Adolfs torg, Skeppsbron, Norrbro) e che attrae migliaia di visitatori.
È davvero un appuntamento da non perdere. Quando gli anni scorsi ho partecipato, la sensazione che ho sempre avuto è quella di essere in una sagra paesana italiana, dove l'atmosfera è più rilassata rispetto alla solita vita frenetica della grande città, si passeggia liberamente per le strade senza correre il rischio di essere investiti dalle automobili o dalle biciclette (ma attenzione agli ubriachi molesti) e attività e cibo sono disponibili a pochi passi con l'opportunità di sedersi sulle classiche panche in legno delle feste patronali sotto i tendoni o all'esterno. Strano, ma vero. Fa quasi commuovere e stimola la nostalgia.
Certo, spesso si deve chiudere gli occhi e usare un po' di immaginazione pensando di avere nel piatto polenta e frico (qui cado nel campanilismo regionale d'origine) invece di köttbullar e potatismos ma il risultato è comunque molto gradevole. Ovviamente anche i prezzi si discostano da quelli delle sagre italiane, ma almeno non si deve pagare in euro e venire vessati dal tasso di cambio ostile degli ultimi mesi tra la corona svedese e la moneta europea (credo si sia capito che sto ancora bestemmiando dopo le vacanze in Italia).
Io non mancherò di godermi a pieno il contatto con la gente e le tantissime attività offerte da questo meraviglioso festival all'aria aperta… senza ovviamente dimenticare un particolare per niente scontato a queste latitudini: sperare che il tempo sia benevolo.
 
---
Ecco il link all’articolo su Italienaren - Il lavoratore:
https://www.italienaren.org/festa-stockholms-kulturfestivalen/

mercoledì 9 agosto 2023

ITALIENAREN – In vetrina

PLING.
Il microonde suona e mi segnala che il pranzo è pronto. Apro lo sportellino. Prendo il piatto e lo appoggio sulla tavola. Mi giro un attimo a versarmi un bicchiere d'acqua e quando torno al tavolo i miei colleghi svedesi hanno costruito una vetrinetta attorno al mio piatto di pappardelle al sugo d'anatra. È una vetrina perfettamente pulita. Non c'è un graffio, né una macchia o una ditata. Hanno installato una luce calda e avvolgente puntata sul piatto per esaltare anche l'aspetto estetico del prodotto.
Mi siedo esterrefatto e comincio tranquillamente a mangiare, ma c'è qualcosa di strano. Mi sento gli occhi di tutti addosso. Mi sento in esposizione. Non faccio in tempo a chiedere che cosa sia successo che i colleghi costruiscono una vetrina anche attorno a me. Non che io sia bello o degno come il delizioso pranzo che ho portato, ma perché l'esibizione comporta anche che le pappardelle vengano mangiate e a loro sembra giusto che sia l'autore a farlo (in effetti sembra giusto anche a me). Come ogni turista che si rispetta, i miei colleghi si lanciano in commenti sfrenati ogni giorno quando porto il pranzo. Alcuni invidiano la mia pizza fatta in casa, la pasta al ragù di una ricetta centenaria della nonna, scaloppine al vino bianco con contorno di funghi porcini che si sciolgono in bocca, risotto alla zafferano preparato come si deve e che non sembra la colla che vedo spesso nei loro piatti. Altri invece mi criticano velatamente per i troppi carboidrati, per le poche verdure, per la poca varietà di proteine, per la scarsità di piatti vegani o per lo sbilanciamento nutrizionale complessivo del prodotto. Un po' come fanno quelli che davanti alla concessionaria della Ferrari schioccano la lingua, fanno spallucce e commentano con gli amici del bar con aria forzatamente distaccata che loro, anche se avessero i soldi, non si comprerebbero mai un'auto del genere perché è uno spreco. Oppure come quando si dice che Venezia è bella, ma non ci vivresti mai. In pratica anche loro sono invidiosi ma lo dimostrano in altre maniere e non lo ammettono.
Ad ogni modo, indipendentemente a quale gruppo appartengono mi subissano di domande sulla cucina italiana. Provo a dir loro che non sono Antonella Clerici o Carlo Cracco ma loro non si fermano.
La pasta è fatta in casa? Ho la Nonna Papera in un armadio della cucina ma non la uso ogni giorno.
Hai chiuso i tortellini a mano, uno ad uno? No, li ha fatti mio zio Giovanni.
Hai preparato tu gli gnocchi (che loro ovviamente pronunciano <ghnocci>) partendo da zero con le patate? No, anche quelli sono fatti da mio zio Giovanni. Non colgono la battuta sul signor Rana e ora credono che mi sia portato dall'Italia il fratello di mia madre come cuoco personale.
E avanti così con domande di ogni tipo sui tempi di cottura, sulla lavorazione, le richieste di ricette dettate a memoria. Va bene che ogni lunedì arrivo con la pizza fatta col fornelletto da 400 gradi che sembra uscita dalla pizzeria, ma non è che devo sentirmi la nonna Pina per ogni piatto che presento in tavola.
Essere sulla bocca di tutti a ora di pranzo, però, non è solo il privilegio di salire sul piedistallo, ma è anche il rischio di caderci rovinosamente. Stare in vetrina a volte comporta pressioni da top-model sulla passerella del gran gala e ogni tanto ci può scappare un passo falso. Delle volte, infatti, per poco tempo, voglia o mancanza di ingredienti mi presento in sala da pranzo con un toast. Errore che pago caro venendo scherzosamente additato come traditore della patria italica, suscitando la delusione di tutte le loro aspettative e provocando la vergogna sul mio volto. A guardarli meglio, però, vedo le loro spalle rilassarsi e li vedo tirare un sospiro di sollievo, come quando a scuola godevi per un 5 e mezzo della secchiona della classe. Non per sadismo ma perché rendeva quella persona un umano imperfetto come te.
Io comunque non ce la facevo più a essere sotto la lente ogni giorno e ad andare avanti con tutta quella pressione addosso. Ieri, infatti, ho scaldato il mio cibo e ho puntato dritto verso lo sgabuzzino, determinato a mangiare in solitaria. Ho aperto la porta e con mia grande sorpresa ho scoperto di non essere solo: al buio, con una torcia puntata sulla fotocopiatrice, la segretaria stava stampando la ricetta del mio ultimo pranzo da distribuire ai colleghi. È vero che ho sempre voluto diventare uno scrittore… ma non di ricette italiane per svedesi.
 
---
Ecco il link all’articolo su Italienaren - Il lavoratore:
https://italienaren.org/in-vetrina/