È ora di pranzo. Ho fame. Oggi ho
proprio voglia di un burrito o dei nachos. Hm… che buoni. Per fortuna che sotto
casa hanno da poco aperto un nuovo ristorante che ne vende. Guardo l'orologio. Controllo
sul sito gli orari di apertura e corro giù dalle scale come un bambino al quale
hanno promesso la Playstation, anzi la estación de juego. Apro il portone e raggiungo
l'ingresso a grandi falcate e col fiatone. Il ristorante però è chiuso.
Inspiegabilmente chiuso. Nessun cartello. Nessun avviso. Chiuso e basta. Non so
se essere deluso o arrabbiato. Opto per entrambi allo stesso momento. Questo locale ha aperto da poco e non sembra
essere interessato ai clienti o alla ristorazione in generale. Non so darmi
altre spiegazioni se non che sia un ristorante filo messicano, filo texano e un
filo sospetto per quanto riguarda l'aspetto legale. Io credo che questo ristorante
sia un'attività malavitosa come riciclaggio di denaro sporco, deposito di merce
rubata, nascondiglio per boss latitanti. Mia moglie mi dà del pazzo per questo
ma io porto avanti la mia ipotesi. Gli orari di apertura sono limitatissimi, vanno
dalle 11 alle 14 (i primi giorni solo dalle 12 alle 13) e mai durante i sabati
e le domeniche. C'è pochissima clientela e sembra sempre tutto pulito e ordinato
come se non venisse mai usato. In effetti, visti gli orari d'apertura, potrebbe
essere semplicemente che non venga proprio usato ma l'ipotesi malavitosa è più
scenica e dà più sfogo alla mia fantasia. Chiude quando gli pare senza dare
nessun avviso alla clientela. Infine ha persino un errore sull'insegna (una i
dimenticata sulla parola "burrtos").
Sto guardando attraverso la vetrina in cerca dei narcos, di membri del cartello messicano o di una botola che porti ad una cantina segreta dove sono nascoste montagne di dollari falsi o una prigione per immigrati clandestini, ma non trovo niente. Solo un locale ordinato, pulito e recentemente rinnovato. Provo ad aprire la porta d'ingresso ma non si smuove di un centimetro. Mi devo arrendere.
Mentre mi allontano guardo con disprezzo il ristorante e la sua insegna. Solo in quel momento mi accorgo di un particolare che mi era sfuggito. Il nome del ristorante è coperto da un'etichetta gigante di plastica dello stesso colore dello sfondo appiccicata sopra con cautela. L'errore sulla scritta burrtos mi aveva distratto durante tutte queste settimane e forse quella era la sua funzione. Il caldo di queste giornate però ha sciolto un po' la colla e l'etichetta ora si sta staccando. So che non dovrei farlo. So che dovrei andarmene a casa e farmi i fatti miei. So che non si scherza con questa gente, ma la tentazione è troppo forte. Il fato mi assiste perché mi guardo a destra e a sinistra e in quel momento non sta passando nessuno per strada. Nessuno che cammina, nessuno in macchina, nessuno affacciato alle finestre. È il destino che mi incita ad eseguire l'ordine che i miei pensieri mi stanno mandando. Devo farlo. Allora mi riavvicino al ristorante. Salgo in piedi sulla sedia messa quasi di proposito davanti all'ingresso. Con un po' di sforzo, in punta di piedi, prendo un lembo dell'etichetta e la stringo forte tra le dita. Comincio a tirare con forza e velocità, perdo l'equilibrio cadendo dalla sedia ma non mollo la presa. In un secondo l'etichetta si stacca dall'insegna rivelando il vero nome del ristorante e corroborando i miei sospetti. Rimango a bocca aperta mentre leggo ad alta voce la scritta rossa su sfondo giallo "Los pollos hermanos". E prima di immaginarmi che un gruppo di uomini poco raccomandabili dal forte accento ispanico mi infilino un cappuccio nero in testa e mi portino via con la forza riesco a pensare: "Lo avevo detto… I was goddamn right!"
Sto guardando attraverso la vetrina in cerca dei narcos, di membri del cartello messicano o di una botola che porti ad una cantina segreta dove sono nascoste montagne di dollari falsi o una prigione per immigrati clandestini, ma non trovo niente. Solo un locale ordinato, pulito e recentemente rinnovato. Provo ad aprire la porta d'ingresso ma non si smuove di un centimetro. Mi devo arrendere.
Mentre mi allontano guardo con disprezzo il ristorante e la sua insegna. Solo in quel momento mi accorgo di un particolare che mi era sfuggito. Il nome del ristorante è coperto da un'etichetta gigante di plastica dello stesso colore dello sfondo appiccicata sopra con cautela. L'errore sulla scritta burrtos mi aveva distratto durante tutte queste settimane e forse quella era la sua funzione. Il caldo di queste giornate però ha sciolto un po' la colla e l'etichetta ora si sta staccando. So che non dovrei farlo. So che dovrei andarmene a casa e farmi i fatti miei. So che non si scherza con questa gente, ma la tentazione è troppo forte. Il fato mi assiste perché mi guardo a destra e a sinistra e in quel momento non sta passando nessuno per strada. Nessuno che cammina, nessuno in macchina, nessuno affacciato alle finestre. È il destino che mi incita ad eseguire l'ordine che i miei pensieri mi stanno mandando. Devo farlo. Allora mi riavvicino al ristorante. Salgo in piedi sulla sedia messa quasi di proposito davanti all'ingresso. Con un po' di sforzo, in punta di piedi, prendo un lembo dell'etichetta e la stringo forte tra le dita. Comincio a tirare con forza e velocità, perdo l'equilibrio cadendo dalla sedia ma non mollo la presa. In un secondo l'etichetta si stacca dall'insegna rivelando il vero nome del ristorante e corroborando i miei sospetti. Rimango a bocca aperta mentre leggo ad alta voce la scritta rossa su sfondo giallo "Los pollos hermanos". E prima di immaginarmi che un gruppo di uomini poco raccomandabili dal forte accento ispanico mi infilino un cappuccio nero in testa e mi portino via con la forza riesco a pensare: "Lo avevo detto… I was goddamn right!"
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