venerdì 28 marzo 2025

ITALIENAREN – Montagna

Sciare è meraviglioso. Non è però uno sport per tutti. Non mi riferisco soltanto all’aspetto economico con costi elevati per accaparrarsi l’equipaggiamento adeguato, i vestiti giusti, il viaggio nella località sciistica e l’acquisto dello skipass. Mi riferisco anche alla sofferenza collegata agli sci. È una pena che chi si dedica a questo sport deve decidere se tollerare o meno. Trasportare tutto il necessario e la fase preparatoria prima di lanciarsi finalmente sulla pista innevata sono operazioni non da poco, che richiedono pazienza e una certa dose di dolore fisico.
Ho da poco sperimentato tutto ciò sulla mia pelle dopo un fine settimana lungo passato in montagna con la mia famiglia. A dire il vero, in Svezia, la parola montagna dovrebbe essere scritta tra virgolette. Al mio arrivo alla base dell’impianto di risalita, infatti, alzo gli occhi per seguire con lo sguardo il percorso della pista e invece di trovarmi un muro di montagna trovo la cima perfettamente visibile a occhio nudo. Le Fjällar svedesi non sono molto alte, spesso si aggirano attorno ai 300 o 500 metri sopra il livello del mare. Solo molto a nord, dopo molte ore di viaggio si raggiungono i 1000-1400 metri. Le Fjällar sono dunque delle collinette che di primo acchito mi provocano sempre una lacrima di nostalgia perché mi fanno ripensare ai colli dietro casa mia in Italia dove si coltiva l’uva e perché mi sbattono in faccia il duro confronto con le Dolomiti.
Mi asciugo la lacrimuccia e inforco gli sci. Basta con le solite lamentele da italiano medio. È ora di darsi da fare. Salgo in cima e faccio la prima discesa. La neve è fresca. La pista è ben curata. La discesa è stimolante. Sorrido soddisfatto ma mi passa subito, appena mi rendo conto di essere già a valle, dopo solo un paio di minuti. Mestamente scivolo verso la seggiovia e mi metto in fila. La coda è lunga e lenta perché molti sciano in questo periodo dell’anno e perché i visitatori sono nordici e vogliono stare larghi lasciando malvolentieri il posto ai vicini. Hanno però il pregio di farmi sentire a casa perché è un po’ quello che succede in autobus o in metropolitana a Stoccolma. Ci metto dunque tra i dieci e i quindici minuti per risalire. I muscoli hanno fatto in tempo a raffreddarsi, ma mi consolo ammirando il panorama rilassante della campagna svedese e lodando le tante pale eoliche disseminate nel territorio. Dopo aver fatto una pista rossa per rompere il ghiaccio – metaforicamente, s’intende – ora mi sento pronto per le piste più impegnative. La difficoltà è di poco maggiore. Ogni volta che qualcuno definisce queste piste “nere”, un altoatesino muore, penso divertito – non per la morte dell’altoatesino, s’intende, anche quella era una metafora.
Nulla però mi toglie la voglia di continuare a sciare e godermi la bella giornata di sole. Col passare delle ore le code agli impianti diminuiscono e posso salire e scendere a ripetizione in modo soddisfacente. La giornata passa in fretta. Mi diverto e ammiro l’abilità svedese nel valorizzare qualsiasi piano inclinato per trasformarlo in una pista da sci apprezzabile. Mi ricorda molto quelle poche rovine romane fuori dai confini italiani trattate giustamente come un patrimonio storico e culturale da preservare con cura.
Nonostante sia felice e grato di poter sciare, – ho sognato a occhi aperti di poterlo fare prima di arrivare qui e so che stanotte lo sognerò a occhi chiusi – rimango dell’idea che sciare sia una sofferenza, ma anche tanto altro. È uno sfogo fisico, è contemplazione della natura, è un attimo di meditazione soli con sé stessi, è libertà al vento che ti sferza la faccia, è velocità che ti fa sfrecciare sulla neve fresca. Infine, sciare è anche sollievo, soprattutto quando al termine della giornata arrivi a casa e ti sfili gli scarponi dai piedi indolenziti.