mercoledì 25 settembre 2024

ITALIENAREN – Lavatrici

I parenti in visita se ne sono appena andati. È stato bello rivederli. Lasciano sempre un vuoto difficilmente colmabile nel nostro cuore. Quello che invece non lasciano per niente vuoto è il cesto dei vestiti sporchi. Dopo solo tre giorni siamo sommersi da lenzuola e asciugamani che abbiamo prestato a nonni, zie e nipoti. Ogni volta che entro in bagno mi sembra di tuffarmi nel mare di capi e tessuti sparpagliati tra le immancabili borse blu IKEA e il pavimento. Mi sento annegare. Basta. Devo fare qualcosa.
Per fortuna c’è la tvättstuga, la lavanderia condominiale. Per un ragazzo di campagna come me, che veniva dalla provincia della provincia italiana, scoprire più di quindici anni fa l’esistenza delle lavatrici a disposizione di tutti i condomini è stato qualcosa di sconvolgente e stupefacente. La tvättstuga può trovarsi nelle cantine o al piano terra di un palazzo oppure in una stanza annessa nelle vicinanze. Se va male però può trovarsi in una casetta separata e per arrivarci occorre farsi una cinquantina di metri a piedi con le ciabatte e la vestaglia esposti alle intemperie svedesi quali vento, pioggia, neve o vicini di casa che non salutano.
Come si può intuire, i pericoli sono sempre dietro l’angolo. In alcuni casi, se le lavatrici sono poche e gli appartamenti tanti, può essere difficile prenotare la lavanderia. Succede così che appena noto nel calendario della tvättstuga un giorno infrasettimanale libero dopo le cinque di sera mi lancio giù in picchiata come un’aquila reale verso la rarissima preda nel deserto. Oppure può anche capitare di trasformarsi in avvoltoi e cominciare a svolazzare sopra la prenotazione in attesa che il leone si sia dimenticato di consumarla. In base alle regole condominiali, infatti, dopo circa dieci o quindici minuti, si può “rubare” il posto agli altri e accaparrarsi le tanto agognate lavatrici gratuite.
La tvättstuga è molto influente e può portare addirittura a cancellare appuntamenti, cene e feste perché del domani non v’è certezza e il prossimo slot disponibile per lavare i panni potrebbe slittare al mese successivo. È definitivamente più facile posticipare l’uscita con gli amici.
Come in una moneta non contraffatta, da un lato la lavanderia svedese offre le lavatrici (quasi) sempre funzionanti e dall’altro le asciugatrici. La scelta varia tra quelle classiche elettriche col rotore e la stanza calda con il filo stendipanni, una specie di sauna o viaggio ai caraibi per i vestiti bagnati. Là dentro si sta così bene che durante le serate buie e fredde invernali non vorrei mai uscirne. Una volta terminata l’asciugamento si può passare alla stesura ed è qui che la Svezia sorprende ancora una volta e non lascia nessuno solo. Con il lakansträckare, uno strumento meccanico formato da due rulli attaccati alla parete che bloccano il bucato, se ho perso a pari e dispari con mia moglie e sono stato condannato a fare il bucato da solo posso tranquillamente piegare le lenzuola senza dover chiedere l’aiuto di nessuno. Stile svedese allo stato puro.
Sebbene evento raro, non è da escludere il furto. Per questo motivo, ammaliato da quel cerchio metallico che gira e rigira come un anello del potere alla Tolkien col bucato in mezzo, ogni tanto mi è capitato di perdere la testa dimenticando i pasti per proteggere il mio “tessssoro”. Ci sono ovviamente metodi più ortodossi per serrare la porta della tvättstuga. Uno è sicuramente la vecchia e classica chiave a lucchetto. Non è una semplice chiave ma un blocchetto metallico corredato di targhetta con il numero del proprio appartamento. Serve sia a prenotare la lavanderia sia a chiudere la porta. Ovviamente col tempo sono stati soppiantati dalla tecnologia e ora nella maggior parte dei casi c’è un sistema elettrico molto rigido e rigoroso che non permette di accedere alla tvättstuga né un minuto prima né uno dopo il tempo assegnato. Per questo motivo gli inquilini più sbadati potrebbero arrivare in ritardo all’orario prenotato e incontrare i vicini abbaianti come doberman inferociti del turno successivo oppure ritrovarsi il bucato fradicio ammonticchiato per terra senza alcuna pietà. Quindi niente distrazioni e occhio all’orologio quando si tratta di tvättstuga. Io oggi per esempio ho tempo fino alle 22.00 per scrivere questo pezzo prima di scendere giù in lavanderia altrimenti la porta elettronica si bloccherà e dovrò tornarci mezzo assonnato domani mattina per supplicare il vicino che ha prenotato il primo turno alle 7 e recuperare la roba umida e stropicciata. Aspetta un attimo, che ore sono adesso? Le 22.01… Noooooo!
 
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venerdì 13 settembre 2024

ITALIENAREN – Parassiti

I bambini ritornano come sempre dalla scuola come una banda chiassosa completa di grancassa, tromboni e clarinetti. Per una volta tanto però, a fare più rumore non sono loro, ma la banda di delinquenti che si portano dietro. Più sopra che dietro, a dire il vero. In testa, per la precisione. Sono i temutissimi pidocchi. Nonostante quei piccolissimi stronzetti fossero stati preannunciati dalla lettera informativa della scuola le nostre precauzioni non sono state sufficienti. Non è bastato inondare il cuoio capelluto dei bambini prima di andare a scuola con abbondanti spruzzate di Linicin Prevent, che da quanto descritto dal bugiardino dovrebbe dare ai pidocchi lo stesso disgusto che dà la puzza d’aglio dei pendolari sul treno alle mie narici. Neanche i nostri discorsetti catechizzanti mirati a incoraggiare i miei figli a stare ad almeno dieci metri di distanza dagli altri bambini, specialmente quelli che si grattano la testa e che assomigliano a Telespalla Bob o Caparezza, sono serviti.
Ora serve intervenire in fretta. Bisogna passare alle misure forti.
Chiamo subito i vigili del fuoco, l’impresa di disinfestazione Anticimex, l’esercito svedese e la malavita organizzata stoccolmese, per la par condicio. Infine giusto per non sapere a quale santo votarsi mando un’enciclica anche al Papa in Vaticano. Qualcosa dovevo fare. Qualcosa deve succedere. Non posso vivere con dei parassiti in casa. E, per chiarezza, non mi riferisco ai miei figli.
In pochi minuti non solo il mio appartamento, ma anche tutto il palazzo è ricoperto da teloni a strisce alternate verdi e gialle come quelle dei film americani o – vista la mia reazione esagerata e alquanto ridicola – simili a quelle di un circo, non delle pulci ma ci andiamo vicino.
Mi faccio coraggio e m’infilo la tuta gialla di plastica isolante, i guanti protettivi, gli stivaloni di gomma e il casco ermetico con visiera. Walter White di Breaking Bad scansati che non sei niente in confronto.
Sulla mano destra tengo la fiamma ossidrica e sulla sinistra uno scudo medioevale raffigurante un imponente drago alato rosso fuoco. I miei figli tremano per la paura ma con un cenno di assenso del capo mi fanno capire che sono pronti a compiere il sacrificio per il bene della famiglia. Ora tutto è pronto per la fumigazione dei due pargoli.
Faccio un passo in avanti e proprio in quel momento mia moglie mi dà un buffetto in testa e mi scuoto da quello stato confusionale. Stavo solo sognando a occhi aperti. Queste barbarie non sono necessarie. Il problema però rimane e va risolto comunque al più presto.
Ci sono metodi migliori e meno brutali per liberarsi dei pidocchi. Punto primo, è fondamentale l’utilizzo di un pettine speciale a denti stretti. Come i fanoni delle balene che filtrano tutto e fanno passare solo il minuscolo plancton questa spazzola specifica blocca uova vuote – riconoscibili dal color bianco – e animaletti indesiderati morti – riconoscibili dall’espressione arrogante di sfida nei confronti dell’ospite. Non c’è dunque il rischio di finire come Pidocchio… hm, pardon, come Pinocchio e Geppetto nella pancia del grosso cetaceo. Punto secondo, bisogna applicare Linicin shampoo o lozione per uccidere i pidocchi vivi. Con forza bruta come se si dovesse arare un campo dopo l’estate afosa? No, basta lascialo riposare sui capelli per 15 lunghissimi minuti prima di sciacquare via tutto. La difficoltà sta nel trovare una canzone abbastanza lunga da cantare sotto la doccia. Punto terzo, per eliminare anche le uova che devono ancora schiudersi – riconoscibili per il colore più scuro – bisogna tornare al punto primo e ripassare il pettine mattina e sera. Una faticaccia. E io che pensavo che per eliminare le uova bastasse metterle in acqua e buttare via quelle che galleggiano.
Dopo un’oretta, mi siedo sul divano e rilasso i muscoli delle spalle, ma il bugiardino del Linicin mi richiama all’ordine. Niente soste: Il trattamento va ripetuto dopo dieci giorni seguendo l’alternanza punto uno, punto due, un-due, un-due, un-due, come una vera marcia dell’esercito.
Alla fine io e mia moglie siamo sudati in acqua, ma abbiamo finalmente completato la procedura. È stata durissima e ci meriteremmo un po’ di riposo, ma sento la maglietta tirare da sotto. È l’altro figlio che mi ricorda che ora è il suo turno e che poi toccherà anche a noi genitori: un bel grattacapo.
 
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mercoledì 4 settembre 2024

ITALIENAREN – Cambio d’aria

Pedalo sulla pista ciclabile come faccio ogni mattina per andare al lavoro. Alterno lo sguardo tra l’orizzonte fatto di bivi davanti a me e la strada sotto le ruote. Mi fermo al semaforo rosso e mi scappa un sospiro più forte del dovuto. Il ciclista alla mia sinistra mi lancia uno sguardo e sorride. Siamo solo a inizio settembre ma i marciapiedi hanno già le prime foglie sparpagliate per terra. Sono gialle, arancioni e rosse. Sugli alberi ce ne sono ancora di verdi però.
Un seme di acero atterra come un elicottero sulla manica del maglione all’altezza dell’avanbraccio. Lo spingo via con un gesto sovrappensiero e un brivido mi percorre la pelle dalla mano alla schiena. Mi sistemo il colletto e scuoto le spalle. Le temperature si sono abbassate nelle ultime settimane. Il vento che sprezza impavido da nord ne è la testimonianza. L’orlo dei pantaloni sulle caviglie ondeggia a intervalli regolari. Non è più tempo ormai per i vestiti estivi che lasciano scoperte le braccia e le gambe. Il labbro inferiore si sovrappone a quello superiore con un gesto automatico e trasforma la bocca in un broncio fanciullesco.
Mi stringo nelle spalle. Mi sa che anche stasera non potremo cenare in balcone, penso. Non è solo per il buio che ormai avanza a passi spediti verso il ritorno all’ora solare quando tutto sarà avvolto nelle tenebre dalle tre di pomeriggio fino a marzo inoltrato. Alzo gli occhi al cielo. È grigio. Tra poco pioverà, di una pioggia fine e irregolare, che va e viene, che non ti bagna ma che non ti lascia certo asciutto. Anche se non ci fossero le nuvole, il cielo non sarebbe dello stesso azzurro di un mese fa. Sembra strano a dirsi ma è così. Inarco il sopracciglio sinistro e abbasso quello destro, gli occhi non sono più allineati, storco il naso e sulle labbra ho ancora il broncio di prima. Sembro un quadro cubista di Picasso.
C’è qualcosa che si respira nell’aria oggi, ma non so ben descrivere. È un odore di nostalgia con un retrogusto d’angoscia per quello che mi aspetta nei prossimi mesi. Lo stomaco si contorce ma non per la fame perché ho da poco ingurgitato un maritozzo con la panna per colazione. Lo sguardo si perde nel vuoto alla ricerca di speranze. Nella testa parte Wonderwall degli Oasis e mi riporta così, senza senso, all’adolescenza. Sorrido, solo con un lato della bocca. Non era il periodo più sereno della mia vita ma mi ha fatto piacere ripassarci per un attimo, a rivedere vecchi amici e compagni di classe. I muscoli delle spalle si rilassano, le narici si gonfiano e sospiro di nuovo.
Delle imprecazioni giungono alle mie spalle. Non è certo il ritornello della canzone. Sono tutti i ciclisti dietro di me che stanno aspettando la mia ripartenza. È arrivato il semaforo verde e con lui anche l’autunno.
 
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